Turchia, allarme libertà religiosa
La denuncia del Nunzio apostolico: «In Turchia, Paese che si definisce una democrazia laica, la libertà religiosa esiste solo sulla carta. Viene sancita dalla Costituzione, ma nei fatti non viene applicata…». Il premier: reintrodurrò il velo islamico
Ma quale libertà religiosa… «In Turchia, Paese che si definisce una democrazia laica, la libertà religiosa esiste solo sulla carta. Viene sancita dalla Costituzione, ma nei fatti non viene applicata. Mancanze nell’applicazione delle leggi a tutela dell’esercizio delle altre religioni, processi che durano decenni, strani ritardi e rinvii a ripetizione, reticenze e resistenze fanno pensare ad una strategia per non consentire ai cristiani la stessa libertà di cui le religioni non cristiane godono in Europa. In Turchia c’è una cristianofobia istituzionale non molto dissimile da quella esistente in altri Paesi musulmani». Lo ha affermato, nel corso di un’intervista il Nunzio apostolico del Vaticano in Turchia, il monsignore libanese Edmond Farhat.
Il prelato cita ad esempio la vicenda di alcuni missionari protestanti, che avrebbero distribuito Vangeli gratis in alcune città e che è stata riportata da giornali e politici definendola, con allarme, “pericolo missionario”. «Si è creato clamore e si è gridato allo scandalo per una semplice e presunta attività di proselitismo. Il proselitismo è forse un reato? No. Eppure, ci sono state interrogazioni parlamentari e si è detto che i missionari minaccerebbero l’unità della nazione turca».
La polemica sui missionari ha avuto il suo culmine alcuni mesi fa. Il ministro di Stato per gli affari religiosi, Mehmet Aydin dichiarò, in effetti, allora che «i missionari minacciano l’unità della nazione», benché lo stesso ministro abbia poi dovuto ammettere che in 5 anni vi sono state in Turchia solo 368 conversioni al cristianesimo.
La direzione generale per gli affari religiosi (“Diyanet”, un nutrito “quasi-ministero” di cui è responsabile Aydin) regola la vita religiosa in Turchia sulla base dell’assunto che «il 99,7% dei turchi sono musulmani»; un dato contestato da molti, ma che al governo sembra ragione sufficiente per non concedere alcuno spazio alle altre religioni. «Quella sui missionari – continua monsignor Farhat – è una polemica che rinasce di tanto in tanto in Turchia e che sembra riesumata a bella posta per limitare la libertà di culto dei cristiani. Questo non è serio». «Un sacerdote cristiano, per avere il permesso di soggiorno, che tra l’altro deve essere rinnovato ogni anno, viene sottoposto a pratiche lunghissime e complicate con ritardi inspiegabili e rimpalli da un organismo ad un altro». «Dal 1970 stiamo chiedendo un riconoscimento giuridico della Chiesa cattolica e delle sue istituzioni in Turchia. Nel 2003 tutte le chiese cristiane hanno chiesto unitariamente allo Stato turco questo riconoscimento. Nel 2004 lo ha fatto anche la Conferenza episcopale dei vescovi cattolici. Io sono andato dal premier Erdogan. Successivamente, nel febbraio scorso, gli ho scritto anche una lettera ufficiale».
«L’Unione Europea sta facendo molto per la libertà religiosa in Turchia. Ma non è abbastanza. Bisogna porre la libertà religiosa non come una condizione, ma come un diritto».
Intanto il premier turco Tayyip Erdogan continua a spingere per l’abolizione del divieto di portare il foulard islamico negli edifici di stato e nelle università, parlando davanti al gruppo parlamentare del suo partito, l’Akp di forti radici islamiche. «Risolveremo questa ed altre questioni rispettando la volontà popolare ed evitando di provocare tensioni», ha detto Erdogan. Il velo islamico è considerato dai laici e dai “kemalisti” turchi un “simbolo antilaico” e la sua proibizione (statuita da sentenze della corte costituzionale) come un baluardo della laicità dello Stato.
La Padania [Data pubblicazione: 24/06/2005]