Il controverso intervento del Card. Poupard
In occasione della presentazione del Congresso sull’infinito, promosso dal Progetto Stoq (Science, theology and the ontological quest) alla Pontificia Università Lateranense, il Card Paul Poupard ha pronunciato un discorso che ha avuto un’immediata eco mediatica, ma ha anche suscitato polemiche. L’argomento trattato ha a che vedere con «evoluzionismo», «creazionismo» e ultime scoperte scientifiche…
DOSSIER:
1. La Chiesa: Darwin non è in contrasto con la Creazione
2. La Chiesa evoluzionista
3. Finalmente una sfida seria alla religione evoluzionista
La Chiesa: Darwin non è in contrasto con la Creazione
E sulla censura all’evoluzionismo ancora polemiche tra sinistra e ministero dell’Istruzione
di ANDREA TORNIELLI
La teoria dell’evoluzione di Darwin e la creazione del mondo secondo le Sacre scritture possono convivere tranquillamente. Parola di cardinale. È stato Paul Poupard, porporato francese e «ministro» della cultura del Vaticano a bacchettare ieri il rigido «creazionismo» di quanti pretendono di leggere alla lettera la Bibbia negando le acquisizioni della scienza. Lo ha fatto ieri, in occasione della presentazione del congresso sull’infinito, promosso dal progetto Stoq (Science, theology and the ontological quest), in programma dal 9 all’11 novembre alla Pontificia università lateranense.
Proprio la teoria evoluzionistica e la sua presenza nei programmi della scuola italiana, è stata al centro di una polemica non ancora sopita: il ministro della Pubblica istruzione Letizia Moratti è stato infatti accusato di volere far scomparire Darwin dai programmi. La rivista Micromega, nell’ultimo numero, scrive di un presunto intervento censorio da parte del ministro per modificare il documento preparato proprio su questo argomento dalla commissione presieduta dal premio Nobel Rita Levi Montalcini. Dal ministero le accuse vengono respinte al mittente, dato che le indicazioni della commissione Montalcini sulle teorie evoluzionistiche «sono state puntualmente recepite e inserite come indirizzo programmatico negli argomenti di insegnamento nella secondaria di primo grado». Dunque Darwin e la sua teoria non verrà cancellato dai libri di testo.
Dalla conferenza stampa che si svolta ieri in Vaticano emerge ancora una volta che la Chiesa cattolica non lancia anatemi contro Darwin. «I fondamentalisti – ha spiegato il cardinale Poupard – vogliono prendere alla lettera e dare un contenuto scientifico a una parola che non aveva alcuna finalità scientifica. Quando la Genesi, nel primo capitolo, ci parla dell’origine del mondo, quello che interessa è la lezione che ci viene da quei testi sacri. E cioè che l’universo non si è fatto da solo, che ha un creatore. Ma sulla modalità della creazione la discussione è aperta da secoli e continuerà tuttora».
Anche monsignore Gianfranco Basti, direttore del Progetto Stoq – che coinvolgendo ricercatori, filosofi e teologi mira proprio a superare qualsiasi pregiudizio reciproco fra scienza e fede – attacca i fondamentalisti «che se la prendono con l’evoluzionismo, usando in maniera ideologica il concetto di creazione». Lo stesso Giovanni Paolo II aveva definito il principio dell’evoluzione «più che un’ipotesi». «Un’ipotesi può essere vera o falsa – ha spiegato Basti – e dire che è più di un’ipotesi vuol dire che a favore dell’evoluzione ormai ci sono delle prove che fanno tendere verso una teoria scientifica abbastanza consolidata. Ma da qui, dire che il principio di evoluzione è contro il principio di creazione non sta né in cielo né in terra: è proprio un’affermazione falsa». La Chiesa oggi può guardare con maggiore attenzione alla teoria evoluzionistica perché da decenni la stessa biologia ha superato la tesi, osserva ancora monsignore Basti, «della pura casualità di tipo stocastico, abbandonata perché non sta in piedi scientificamente».
Il Giornale n. 262 del 04-11-2005
La Chiesa evoluzionista
di MAURIZIO BLONDET
CITTA’ del VATICANO – Tempo fa ebbi modo di ascoltare il cardinale Paul Poupard: lo giudicai, come molti della sua casta, un «superficiale», per usare un eufemismo.
L’impressione è confermata dall’ultima uscita del prelato, che ha voluto spezzare la sua lancia a favore del darwinismo. L’evoluzionismo, ha assicurato, «è più che un’ipotesi».
La fede nella creazione e la teoria dell’evoluzione «convivono perfettamente».
La colpa è dei «fondamentalisti», che «prendono alla lettera il libro della Genesi» e vogliono dargli «un contenuto scientifico».
«Quando la Genesi, nel primo libro, parla della creazione del mondo», vuole dire solo «che il mondo non si è fatto da solo, che ha un creatore».
Queste frasi rivelano che il cardinale Poupard non sa di cosa parla, e che egli ha tratto tutta la sua informazione dell’attuale polemica fra «creazionismo» ed «evoluzionismo» da un’affrettata lettura di qualche giornale.
Sono infatti i giornali che mettono la polemica in questi termini: «creazionisti» ignoranti guidati dalla fede, e «evoluzionisti» scientifici e razionali.
In realtà, l’opposizione all’evoluzionismo nasce negli ambienti scientifici, da decenni insoddisfatti di una teoria che si scontra con i dati paleontologici e biochimici.
E non è «creazionismo». Il vero nome della teoria è «intelligent design»: che non significa, come dicono i giornali, «disegno intelligente» bensì «progetto intelligente».
E questa teoria non dice, come ripetono i giornali e il cardinale Poupard, che il mondo vivente è così complesso, da richiedere di postulare un creatore di infinita intelligenza: questa è filosofia da bar Sport, non quello che dicono i sostenitori della nuova teoria.
La teoria dell’«intelligent design» è una teoria scientifica: ha il suo rigore sottile, che probabilmente supera le capacità intellettuali di Poupard.
L’«intelligent design» si fonda su un altro concetto (anch’esso non da Poupard) che si chiama «complessità irriducibile».
Di che si tratta?
L’inventore del concetto, il biochimico Michael Behe, lo spiega con l’esempio della trappola per topi.
Si tratta del manufatto più semplice che si possa immaginare: una tavoletta di legno su cui è inchiodata una piccola tagliola, con una molla al posto giusto per farla scattare; di una bacchetta metallica che tiene la molla aperta, e di un pezzo di formaggio come esca.
Quattro o cinque pezzi in tutto.
Semplicissima.
Il punto è che questa sua modesta complessità è «irriducibile».
Non può essere semplificata ulteriormente, non può essere ridotta.
Basta togliere uno qualunque dei cinque componenti – la molla, o il formaggio, o la tavoletta – e la trappola non funziona più.
Non è che funzioni meno bene, che prenda meno topi.
Non funziona per niente.
Non prende più nemmeno un topo.
Ora, applichiamo il principio a un essere vivente, al più «semplice» dei batteri, quelli ciliati, con delle «code» che permettono loro di navigare nel liquido.
Creaturine unicellulari.
E in realtà, nient’affatto semplici, anzi molto complesse (i biochimici le paragonano ad astronavi sofisticatissime in miniatura).
Ebbene, anche la loro complessità è «irriducibile».
Non possono essere semplificate.
Basta che manchi una sola proteina, un solo amminoacido delle centinaia di cui la cellula è composta, e le ciglia non funzionano più. Non è che funzionino meno; si bloccano, si trasformano in grovigli, si paralizzano. Ecco dunque l’idea: le cellule, come la trappola per topi, devono essere state progettate in una volta sola, in un unico processo intellettuale.
Con tutti gli elementi a posto.
Non sono il risultato di una casuale, cieca accumulazione di proteine dovuta alle mutazioni genetiche e alla selezione naturale prodottesi nei secoli dei secoli, perché un presunto antenato «più primitivo» del batterio ciliato, mancando di una sola proteina, non avrebbe potuto né nuotare né vivere.
E così, avviene per tutti gli organi e gli esseri viventi.
Il sangue e l’occhio sono altrettante complessità «irriducibili».
Se gli si sottrae un singolo elemento, una singola proteina, non abbiamo sangue «primitivo» e un occhio «imperfetto»: abbiamo sostanze morte e inerti, che non adempiono alla funzione.
Occhi ciechi. Sangue che non porta ossigeno agli organi.
Reni che non filtrano le tossine.
Così, una normale intelligenza (eccettuati i giornalisti e i Poupard) riesce a intuire che cos’è la teoria della «progettazione intelligente».
C’è una complessità nella vita che non può essere il risultato di evoluzione, di perfezionamento casuale; le cose viventi sono perfette fin dall’inizio (perfettamente adatte alla propria nicchia ecologica), e non può essere che così. Ci sono animali primitivi come gli squali, che vivono da milioni di anni (esistevano prima dei dinosauri) e non sono mai cambiati, come dimostrano i loro resti fossili: perfetti, nel loro genere, fino dal principio. E così certe piante primitive, che hanno fatto ombra ai dinosauri, come le Gingko Biloba .
Primitive?
Non so.
Perfette sì.
Mai incomplete, ma complete di ogni elemento biochimico.
Il DNA è un altro esempio, e quello definitivo.
Il DNA non è una catenella proteica, è una macchina vivente: con apparati di autocorrezione, che gli consentono di mantenere il «messaggio» nelle replicazioni che si sono susseguite nei milioni di anni.
E’ una scrittura che corregge le proprie bozze ed espelle i refusi.
Insomma che si protegge da quelle mutazioni casuali che, secondo gli evoluzionisti, sono alla base dell’evoluzione. Perciò è stabile, la materia più stabile dell’universo.
Il DNA, pur replicandosi di continuo, resta sempre uguale a se stesso.
Le lapidi di bronzo si cancellano in pochi secoli, il DNA dura uguale per milioni di anni.
Certo, se lo bombardate con raggi gamma, il DNA perde alcune capacità, i «refusi» non vengono tutti corretti.
Ma allora quello che ottenete non sono esseri viventi superiori: sono mostri, sempre mostri.
Nel 100 % dei casi. Incapaci di vivere.
L’intrusione e l’aggressione del caso nella complessità irriducibile del DNA non lo migliora: lo distrugge, lo fa impazzire e basta.
E’ come dice Behe: provate a mettere in un computer un programma fatto a casaccio, e vedete se «gira».
E vedete se, nel tempo, a forza di stare nel computer, «migliora».
Il programma, il software, deve essere già perfettamente «pensato» fin dall’inizio, riga per riga.
Una sola mancante, un solo refuso (bug) e non «gira».
Il più semplice software non è risultato di un’evoluzione cieca, ma di un progetto intelligente.
E perché allora pensiamo che l’occhio, il polmone, quella meraviglia che è un’epidermide o un rene, così perfettamente funzionali e funzionanti, siano dovuti al caso?
Ho cercato di spiegare. Ho forse fatto ricorso a citazioni dalla Genesi biblica?
Ho accennato a un Creatore?
Ho fatto appello alla fede?
Non mi pare. Ho esposto una teoria scientifica contro un’altra, che lo è meno.
E’ Poupard che confonde la creazione con l’evoluzione, quando ci assicura che sono «compatibili».
E’ lui che confonde i due piani.
E s’immagina che Dio abbia alitato su una materia plasmatica qualunque, lasciando poi al caso e alla necessità il compito di migliorare il lavoro.
E’ una visione da «superficiale», sempre per usare un eufemismo.
Da scienziato da bar Sport. Poupard ha perso un altra occasione per tacere.
Con un’aggravante: che ha voluto mettere il peso della presunta autorità dogmatica a favore del darwinismo.
Da domani, tutti gli evoluzionisti grideranno: dovete credere a noi, voi credenti, anche la Chiesa ci ha approvato! Splendidi «scienziati», che si rifugiano sotto l’ala dell’infallibilità pontificia.
E magari vorrebbero l’Inquisizione, contro i «creazionisti».
EFFEDIEFFE 04/11/2005
Finalmente una sfida seria alla religione evoluzionista
Il “creazionismo scientifico” scuote il torpore del dogmatismo darwinista e scansa i bassifondi in cui s’incagliano i letteralisti biblici…
di GUGLIELMO PIOMBINI
La clamorosa abiura dell’ateismo da parte di uno dei suoi esponenti più famosi, il filosofo Anthony Flew, raccontata e descrita sulle pagine del Dom da Philip Larrey, ha suscitato scalpore all’interno della comunità scientifica perché a fargli cambiare idea non è stata un’improvvisa illuminazione religiosa o una nuova argomentazione filosofica, ma le sempre più convincenti prove empiriche che sembrano dimostrare, per l’estrema complessità dell’universo e dei modi in cui si è formata la vita, il coinvolgimento di un’intelligenza superiore.
Flew ha cioè fatto proprio il “creazionismo scientifico” che il movimento dell’“Intelligent Design” (“disegno intelligente”) ha iniziato a far circolare con successo sulla scena pubblica statunitense a partire dalla metà degli anni Novanta del secolo scorso. La tesi centrale del “disegno intelligente” è che il caso e la selezione naturale, le forze che per i darwinisti spingono l’evoluzione, non sono sufficienti a spiegare le caratteristiche degli esseri viventi, la cui complessità si comprende meglio postulando una causa intelligente piuttosto che un processo senza direzione.
Questa rivolta contro le dominanti teorie evoluzioniste, nata all’interno del mondo scientifico, ha la sua data di origine nel 1985, anno di pubblicazione del libro Evolution: a Theory in Crisis di Michael Denton. Secondo questo chimico e medico australiano, la teoria evoluzionista aveva accumulato troppi problemi irrisolti che non si potevano più ignorare. Denton elencava in maniera dettagliata più di venti organi esistenti in natura, a partire dal polmone degli uccelli, che non avrebbero mai potuto formarsi a poco a poco, per numerose, successive e piccole modificazioni, perché nella forma intermedia non avrebbero funzionato.
La conclusione del libro era perentoria: la teoria darwiniana della macroevoluzione, che dovrebbe spiegare il passaggio da una specie all’altra, «dal 1859 a oggi non è stata confermata da una sola scoperta empirica ». In queste condizioni, avvertiva Denton, il paradigma scientifico del darwinismo era destinato a entrare presto in crisi.
UOMINI E TOPI, E SCIENZIATI
Denton si considerava peraltro agnostico e non proponeva una teoria alternativa al darwinismo. Il suo libro si rivelò tuttavia decisivo nella nascita dell’“Intelligent Design” perché aveva un’impostazione scientifica molto più rigorosa del tradizionale creazionismo biblico. Anche l’attuale leader del movimento del “disegno intelligente”, il docente di Diritto dell’università californiana di Berkeley Philip Johnson, ha affermato di essersi «risvegliato dal sonno dogmatico» proprio grazie alla lettura di questo libro. La storia della conversione di Johnson è singolare: nel 1987, osservando la vetrina di una libreria scientifica di Londra, nota due libri affiancati, The Blind Watchmaker di Richard Dawkins – il più famoso sostenitore del darwinismo – ed Evolution: A Theory in Crisis di Denton. Li acquista entrambi e li legge senza interruzione la sera stessa. Alla fine le argomentazioni di Dawkins l’avevano lasciato perplesso, ma la critica di Denton gli era apparsa irresistibile.
Non essendo uno scienziato, Johnson decide che da quel momento avrebbe studiato quanto più poteva l’argomento. Negli anni successivi, terminato il periodo di preparazione, organizza dunque una serie di convegni in ambito universitario e s’impegna personalmente in decine di dibattiti pubblici con i maggiori campioni dell’evoluzionismo (come Stephen Jay Gould), mettendo le proprie notevoli capacità logiche e dialettiche, allenate in decenni di pratica giudiziaria, al servizio della critica al darwinismo.
Nel 1991 pubblica un libro che diventa una pietra miliare del movimento, Darwin On Trial, nel quale accusa i darwinisti di fondare le proprie teorie non su prove scientifiche, che anzi le smentirebbero, ma su una filosofia metafisica a priori, il materialismo. Il darwinismo, secondo Johnson, svolge infatti il ruolo di mito fondante della cultura moderna; funziona cioè come un dogma religioso che tutti debbono accettare come vero, piuttosto che come una ipotesi scientifica da sottomettere a test rigorosi.
L’attività di Johnson apre così la strada alle intuizioni di alcuni scienziati creativi che nella seconda metà degli anni Novanta sviluppano esplicitamente, in maniera costruttiva e positiva, una teoria a favore del “disegno intelligente”. Nel 1996 in un articolo pubblicato dal biochimico Michael Behe su The New York Times, intitolato (in traduzione) “Darwin al microscopio”, compare per la prima volta – tutto verrà poi sviluppato e approfondito nel libro Darwin’s Black Box. The Biochemical Challenge to Evolution – l’“eresia” secondo cui esisterebbe una teoria chiamata “disegno intelligente” in grado di spiegare meglio del darwinismo la formazione di tanti meccanismi molecolari “irriducibilmente complessi”, quali per esempio le funzioni della cellula o la coagulazione del sangue.
Il concetto di “complessità irriducibile” viene elaborato da Behe per descrivere quei meccanismi il cui funzionamento dipende dall’interazione di molte parti. Questi sistemi non possono formarsi per lenta evoluzione, ma debbono necessariamente essere progettati e assemblati tutti in una volta, come solo l’intelligenza sa fare. Per spiegare il concetto in termini comprensibili, Behe fa l’esempio della trappola per topi, che è composta da cinque parti e che non potrebbe funzionare se anche solo una di queste venisse rimossa. La stessa cellula è infinitamente più complessa di quanto si poteva ipotizzare ai tempi di Charles Darwin.
La credibilità di Behe come scienziato dà al suo libro un grande successo (45mila copie vendute in un anno e centinaia di recensioni) e fa di lui il personaggio più in vista del movimento. I darwinisti lo accusano però di aver mischiato le proprie convinzioni cattoliche con la scienza. Ma per quale motivo, si chiede Behe, bisogna limitare l’oggetto della scienza alle sole spiegazioni materialiste, anche quando la ricerca conduce a spiegazioni diverse?
Se le prove empiriche rendono plausibile l’esistenza di un “progetto intelligente” nella natura, perché un ricercatore non dovrebbe accettarle? Esaminando un sistema, spiega Behe, lo scienziato può inferire l’esistenza di un “disegno intelligente”, ma non può stabilire chi sia il progettista. È possibile immaginarlo come un essere supremo, ma non spetta agli scienziati descriverlo. La scienza a questo punto deve fermarsi, lasciando il posto alla teologia.
IL FILTRO DI WILLIAM DEMBSKY
Un importante contributo alla questione del rapporto tra religione, scienza e “disegno intelligente” viene dunque sviluppato dal matematico William Dembsky nel libro Mere Creation del 1997, che raccoglie gl’interventi del convegno svoltosi nel novembre 1996 alla Biola University di Los Angeles, vero punto di svolta per l’intero movimento.
Dembsky osserva che in altri campi l’individuazione degl’indizi di un intervento intelligente è un’attività comunissima: si pensi all’archeologia, quando occorre stabilire se un oggetto ritrovato sia o meno un manufatto; al programma SETI per intercettare eventuali segni d’intelligenza extraterrestre provenienti dal cosmo; alle investigazioni legali per stabilire se un determinato evento sia stato causato da un fatto naturale o da un’azione dolosa e intenzionale; ai brevetti, dove occorre stabilire se si è verificata un’imitazione deliberata o dovuta al caso; all’analisi della falsificazione dei dati; alla crittografia e alla decifrazione dei codici segreti.
Nell’esperienza comune, infatti, la presenza d’informazioni viene sempre associata all’intelligenza, che si tratti di un algoritmo informatico, di un geroglifico, di un utensile o di un disegno tracciato sulle pareti di una caverna. Per Dembsky non c’è ragione per non applicare queste stesse tecniche anche alle scienze naturali, onde spiegare per esempio l’enorme quantità d’informazioni presente nel DNA come il prodotto di un “disegno intelligente”.
Dembsky propone infatti un “filtro” capace d’identificare statisticamente in via generale se un determinato risultato è prodotto dall’intelligenza oppure dal caso. A un primo livello si verifica se l’evento è altamente probabile, e in questo caso lo si può attribuire a cause naturali escludendo fin da subito che sia stato progettato. A un secondo livello, il filtro stabilisce se l’evento è solo mediamente improbabile (per esempio, una scala reale nel poker): anche in questa ipotesi il caso è una spiegazione sufficiente.
Al terzo livello del filtro rimangono solo i risultati altamente improbabili, ma anche in questi casi non li si può classificare subito come progettati. Debbono infatti anche essere “specifici”, ovvero debbono conformarsi a un determinato schema identificabile. Così, per esempio, se per cinque volte consecutive durante una partita di poker capita una scala reale alla stessa persona, è più razionale attribuire questi esiti non alla fortuna, ma alla deliberata azione di un baro.
Vi sono però moltissimi sistemi del mondo naturale che gli evoluzionisti attribuiscono al caso, come l’origine e l’evoluzione della vita, che sono in verità così altamente improbabili da passare questo severo test statistico e rientrare necessariamente tra quelli progettati da un’intelligenza. Ogni persona sana di mente, osserva Dembsky, guardando i volti dei presidenti degli Stati Uniti scolpiti sul famoso monte Rushmore, li attribuirebbe a una causa intelligente e non all’erosione naturale. Ma allora, se è logico vedere l’intelligenza all’opera in una scultura, come non vederla in un corpo umano infinitamente più complesso?
LE ICONE DI JONATHAN WELLS
Un altro duro colpo all’ortodossia evoluzionista è poi arrivato dallo scienziato “iconoclasta” Jonathan Wells, il quale, per mettere in luce l’approccio dogmatico e fideistico con cui il darwinismo viene insegnato nelle scuole, ha denunciato, nel libro The Icons of Evolution (uscito nel 2000), le inaccuratezze scientifiche, se non le vere e proprie frodi, che riempiono i più diffusi manuali di biologia.
Le “icone” dell’evoluzione sarebbero quelle quattro immagini ormai classiche che da decenni continuano a essere riproposte nei testi degli studenti per illustrare le “conquiste scientifiche” del darwinismo: l’esperimento di Stanley Miller sull’origine della vita, l’albero della vita darwiniano, gli embrioni di Ernst Haeckel e l’archaeopterix, cioè il presunto anello di congiunzione tra i rettili e gli uccelli.
Malgrado la scienza abbia da tempo negato ogni loro validità, queste proverbiali quattro immagini continuano a essere proposte come se nulla fosse. Non è vero infatti che nel 1953 Miller riuscì a ricreare la vita in laboratorio da una mistura chimica simile al brodo primordiale: riuscì solo a far scaturire un aminoacido, ma per arrivare da questo a una cellula vivente il salto è lunghissimo. Anche l’immagine dell’albero darwiniano della vita, con i rami che si dipartono da un capostipite comune, non ha nessuna corrispondenza con le scoperte della paleontologia, dato che non sono mai stati ritrovati gli “anelli intermedi” tra una specie e l’altra. Dai ritrovamenti fossili, al contrario, sembra che le specie viventi siano apparse più o meno simultaneamente, già perfettamente formate, nella grande esplosione di vita del Cambriano, circa 540 milioni di anni fa. E l’archaeopterix, come si è scoperto, non era affatto mezzo rettile e mezzo uccello: non era nemmeno il progenitore degli attuali uccelli, era solo il membro di un gruppo di uccelli totalmente estinto.
La presenza nei libri di testo dei disegni degli embrioni di Haeckel (uno dei padri fondatori dell’eugenetica, morto nel 1919) è però ancora più grave, trattandosi di una frode conclamata. L’obiettivo di Haeckel, mostrando la rassomiglianza tra diverse specie nelle prime fasi di vita, era quello di dimostrare l’origine comune di tutti i viventi, come se lo sviluppo dell’embrione riproducesse il meccanismo generale dell’evoluzione da uno stadio indifferenziato verso stadi differenziati. Peccato però che Haeckel avesse alterato di proposito i disegni degli embrioni e che avesse scelto degli esempi di comodo, oltretutto non riguardanti i primi stadi di vita.
Oggi i biologi sanno bene come gli embrioni delle varie specie all’inizio non si somiglino affatto tra loro. Per Wells una frode di questo genere, per altro ben risaputa, rappresenta l’equivalente accademico di un omicidio ed è altamente rappresentativa dei metodi sleali che l’establishment evoluzionista è disposto ad adottare per difendere le proprie teorie. Oggi, insomma, i fautori del “disegno intelligente” si sentono dei rivoluzionari intenzionati a trasformare il modo in cui l’origine della vita viene insegnata nelle scuole, nelle università e nei programmi televisivi, e affermano di voler combattere in nome della libertà di pensiero: non cioè per cancellare l’evoluzionismo dai programmi scolastici, ma per farlo studiare di più, approfondendone anche i punti deboli e le teorie alternative.
Per l’ortodossia darwinista sono avversari molto più pericolosi dei creazionisti biblici, perché grazie alle loro eccellenti credenziali accademiche hanno reso per la prima volta la critica antievoluzionista intellettualmente rispettabile.
Il Domenicale N.36 di Sabato 3 settembre 2005
Per saperne di più:
«Sono molto portato a inventare coscienti bugie» parola di Darwin