Il cardinale veggente
I quartieri islamici sono una polveriera. In Francia esplodono. Un’idea invece ci sarebbe, prima che sia troppo tardi. Riprendiamo le parole dette dal cardinale Giacomo Biffi nel settembre del 2000. La sua proposta era (ed è): lo Stato eviti di far arrivare gente dai Paesi musulmani, per il bene nostro e loro….
di RENATO FARINA
I quartieri islamici sono una polveriera. In Francia esplodono. Segue dibattito in Italia, cioè la noia. Si macinano le solite ovvietà sul multiculturalismo e il degrado delle periferie. Un’idea invece ci sarebbe, prima che sia troppo tardi, stop all’arrivo degli islamici. Tocca a noi rimettere in pista le parole dette dal cardinale Giacomo Biffi nel settembre del 2000. La sua proposta era (ed è): lo Stato eviti di far arrivare gente dai Paesi musulmani, per il bene nostro e loro. Allora Biffi era arcivescovo di Bologna. Adesso è a riposo (non il suo cervello), ma le sue tesi non sono affatto in età pensionabile, sono pronte all’uso, fresche come le rose. Non c’è neanche bisogno di lucidarle. Biffi anni dopo scrisse in un volume raro, dal titolo latino “Liber pastoralis bononiensis“, le sue considerazioni: «Ho avuto la presunzione di avere enunciato proposte “laicamente” ragionevoli. E moltissimi le hanno intese. Mi sfugge invece come sia stato possibile muovere a questa posizione accuse come quelle di integralismo, di prevaricazione clericale, di intolleranza, di atteggiamento antievangelico, eccetera». Trattarono e trattano così Oriana Fallaci. Una spiegazione in realtà lui se la dà: impegnati a parlare non hanno trovato il tempo di leggerlo. Troppo buono. Hanno letto, ma non vogliono guardare la realtà, preferiscono la loro utopia: comunista, evangelica, liberista. Era il settembre del 2000. Il cardinale presenta la sua nota pastorale intitolata “La città di San Petronio nel terzo millennio“. Spiega i doveri del cristiano. «Senza dubbio dovere nostro è anche l’esercizio della carità fraterna. Di fronte a un uomo in difficoltà – quale che sia la sua razza, la sua cultura, la sua religione, la legalità della sua presenza – i discepoli di Gesù hanno l’obbligo di amarlo operosamente e di aiutarlo a misura delle loro concrete possibilità ». Insomma: pane e medicine anche per i clandestini, e pure i clandestini musulmani. Poi però lo Stato ha il dovere di impedire che la società salti per aria. Ecco che cosa chiede ai politici: «I criteri per ammettere gli immigrati non possono essere solamente economici e previdenziali. Occorre che ci si preoccupi seriamente di salvare l’identità propria della nazione. L’Italia non è una landa deserta o semidisabitata, senza storia, senza tradizioni vive e vitali, senza un’inconfondibile fisionomia culturale e spirituale, da popolare indiscriminatamente, come se non ci fosse un patrimonio tipico di umanesimo e di civiltà che non deve andare perduto». Biffi scrive così bene che è un peccato sintetizzarlo. «In vista di una pacifica e fruttuosa convivenza, se non di una possibile e auspicabile integrazione, le condizioni di partenza dei nuovi arrivati non sono ugualmente propizie. E le autorità civili non dovrebbero trascurare questo dato della questione». Prosegue il cardinale: «Sotto questo profilo, il caso dei musulmani va trattato con una particolare attenzione. Essi hanno una forma di alimentazione diversa (e fin qui poco male), un diverso giorno festivo, un diritto di famiglia incompatibile col nostro, una concezione della donna lontanissima dalla nostra (fino ad ammettere e praticare la poligamia). Soprattutto hanno una visione rigorosamente integralista della vita pubblica, sicché la perfetta immedesimazione tra religione e politica fa parte della loro fede indubitabile e irrinunciabile, anche se a proclamarla e farla valere aspettano prudentemente di essere diventati preponderanti». Non c’era ancora stato l’attentato alle Torri Gemelle. Prima di Oriana Fallaci mostra di temere per la nostra identità. Come la Fallaci, Biffi punta il dito contro il relativismo, la distruzione dell’idea di famiglia. Gli chiedono: «Ritiene anche Lei che l’Europa sarà cristiana o non sarà?”. Risponde: “Io penso che l’Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana. Ciò che mi pare senza avvenire è la “cultura del niente”, della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale, che sembra essere l’atteggiamento dominante nei popoli europei, più o meno tutti ricchi di mezzi e poveri di verità. Questa “cultura del niente” (sorretta dall’edonismo e dalla insaziabilità libertaria) non sarà in grado di reggere all’assalto ideologico dell’Islam che non mancherà: solo la riscoperta dell’ “avvenimento cristiano” come unica salvezza per l’uomo – e quindi solo una decisa risurrezione dell’antica anima dell’Europa – potrà offrire un esito diverso». In sintesi. Il cristiano soccorre chiunque. Ma per favore lo Stato impedisca l’invasione di chi vuole annientare la nostra civiltà, e nel frattempo non accetta di integrarsi con essa. In quegli stessi giorni il vescovo di Como, Alessandro Maggiolini, sosteneva che «non esiste il diritto di invasione e di converso non c’è il dovere di lasciarsi invadere ». Si abbatterono fuochi, fulmini e saette. In conferenza stampa Biffi spiegò che non si trattava di impedire la libertà a nessuno. In realtà a quel tempo era previsto dalla politica un razzismo anticattolico. Funzionavano le quote di ingresso, stabilite Stato per Stato. E la selezione privilegiava i Paesi africani del Mediterraneo (islamici) rispetto ai latinoamericani. Dopo pochi giorni, il 30 settembre dello stesso anno, Biffi confermò le sue idee. Stilò un elenco delle nazionalità da favorire: latino-americani, filippini, eritrei, gli europei orientali. Poi via via gli asiatici disposti all’integrazione. Il criterio è laico, non razziale: quello dell’inserimento più agevole e meno costoso». Chiese la «reciprocità » in materia di libertà religiosa con gli Stati islamici. Gli saltarono in testa don Leonardo Zega, ex direttore di Famiglia Cristiana, Mario Pirani di Repubblica, il leader dei fratelli musulmani Hamza Piccardo, il capo della Caritas di Bologna don Giovanni Nicolini. Romano Prodi inaugurò per ripicca un tempio dei sikh (una religione tra l’islam e l’induismo) a Novellara, vicino a Reggio Emilia. Don Vitaliano Della Sala, più noto come “don Pistola”, denunciò Biffi per odio razziale. Michele Serra lo accusò di volere la «legge dell’occhio per occhio », siccome voleva anche la libertà per i cristiani, che non sappiamo se per Serra vada catalogata nella categoria dei denti cariati. Lo difese solo Giovanni Sartori. Poi ci fu l’11 settembre. Biffi ribadì le sue idee spiegando che non si può più eludere la “questione islamica” tenendola separata dalla questione del terrorismo, «quasi esso fosse senza radici e senza precise matrici culturali». Niente da fare: Biffi ha avuto il destino di Oriana, amata dal popolo, calunniata da politici e intellettuali. Ma dall’oblio lo tiriamo fuori noi, prima che sia tardi.
Libero 10 novembre 2005