Rapporto choc sulla sanità in Italia

L’ospedale sicuro: realtà o miraggio?


Dati forniti dal Consorzio universitario per l’ingegneria nelle assicurazioni del Politecnico di Milano rivelano che gli errori in corsia costano la vita a 14mila italiani l’anno

Sono 320mila l’anno, pari al 4% dei circa 8 milioni di italiani ricoverati in 12 mesi negli ospedali della penisola, i concittadini che sperimentano “effetti avversi” legati a errori in corsia. Tragiche sviste che ogni anno in Italia costano la vita ad almeno 14mila persone, con cause di risarcimento intentate a 12mila medici (+184% nell’ultimo decennio). Mentre recenti ricerche avevano attestato che gli errori dei medici rappresentano la seconda causa di morte in Italia, a diffondere i nuovi dati è il Cineas (Consorzio universitario per l’ingegneria nelle assicurazioni) del Politecnico di Milano, che ieri nel capoluogo lombardo, durante il convegno “L’ospedale sicuro: realtà o miraggio”, ha presentato i risultati di un’indagine condotta su 100 direttori sanitari, direttori generali ed esperti di gestione del rischio di ospedali (76%) e Asl (24%) in sei regioni dello Stivale (Campania, Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Piemonte e Sardegna). Risultato: per il 75% delle strutture sanitarie, specie al Nord, la ricetta della prevenzione è imparare dagli errori passati per evitarne altri in futuro; e il 91% di Asl e ospedali chiede più formazione sul risk management. Impreparazione, superlavoro, stanchezza e distrazione. Ma anche cattiva organizzazione, macchinari vecchi, prescrizioni illeggibili, scambio di farmaci diversi confezionati in flaconi simili e imprevisti operatori, con sprechi per miliardi di euro a carico di Servizio sanitario nazionale e Regioni.
Complici tutti questi fattori, calcola il presidente del Cineas, Adolfo Bertani, «è come se in un anno cadesse un jumbo ogni due settimane». Con un numero di morti che, «in 5 anni, cancellerebbe dalle cartine geografiche una città delle dimensioni di Pavia».
L’83% delle strutture (in Lombardia addirittura il 100%) assicura di essersi dotato di procedure di risk management. «Ma se così fosse – dice Bertani – non si spiegherebbe la richiesta di aiuto lanciata». Dati recenti, continua Bertani, indicano che «in 20 anni l’80% dei medici italiani viene coinvolto in almeno un episodio di “malpractica”». E così, come già accade negli Usa, anche nella penisola si innesca la «spirale viziosa che costringe i medici alla “medicina difensiva”, e cioè a furbizie e disinvolture per nascondere gli errori o a “variare” le prescrizioni di farmaci ed esami per proteggersi da ogni accusa. Occorre invece avviare una spirale virtuosa in cui si impara dagli errori. Qualcosa si è fatto: secondo il ministero della Salute, il 17% delle strutture pubbliche ha istituito Unità operative di risk management; la Lombardia ha siglato un accordo con la Joint Commission Usa per creare equipe ad hoc in ogni ospedale. «Ma ancora molto resta da fare», assicura il presidente del Cineas. Anche grazie alle proposte della tecnologia, come «braccialetti identificativi con codici a barre, carrelli intelligenti, “scatole nere” in sala operatoria e pc palmare agli infermieri». Da ospedali e Asl italiani arriva insomma un grido d’aiuto. Specie al Sud, se si pensa che il 29,4% degli intervistati campani e il 46,7% di quelli sardi – contro l’11,8% in Lazio e Piemonte e il 5,9% in Emilia Romagna – ammettono l’assenza di procedure di risk management nella struttura in cui lavorano.
Pronto soccorso a parte, a detta degli interpellati le insidie maggiori abitano in sala operatoria (60%) e durante la fase diagnostica (42%). Per colpa della carenza di procedure, ma anche di cattiva organizzazione (55%), scarsa attenzione dell’operatore (54%), problemi logistici e strutturali (39%) e apparecchiature obsolete (27%).
Per questo il 47% del campione chiede che i medici vengano affiancati da esperti del rischio, mentre il 42% invoca responsabilizzazione o cambi nella gestione del lavoro, soprattutto al Centro-Sud.



La Padania [Data pubblicazione: 16/05/2006]