L’omosessualità come fatto normale. Da almeno trent’anni nella società occidentale opera una potente lobby che vuole far entrare nella testa della gente questa semplice idea: l’omosessuale è come un mancino, certo più raro delle persone che usano la mano destra, ma non per questo giudicato una persona “che sbaglia”. Insomma: “gay è bello” almeno quanto essere un eterosessuale. Chiunque sostenga il contrario, perde il diritto di parlare nel grande salotto del villaggio globale e viene liquidato come un intollerante che discrimina gli omosessuali, che li odia e che li considera individui pericolosi e senza speranza. Ovviamente, si tratta di un’accusa completamente falsa, che vuole solo neutralizzare la verità: e cioè che l’omosessualità è una condizione patologica, che ostacola la piena realizzazione della persona. Un nuovo concetto di normalità Siamo di fronte a una classica operazione di ingegneria sociale che vorrebbe trasformare una normalità di tipo sociologico in una normalità di tipo antropologico morale: se gli omosessuali sono presenti in numero rilevante, e la gente li approva, allora significa che essere gay è un comportamento assolutamente innocente dal punto di vista etico. Non a caso, il Movimento di Liberazione Gay, fondato a New York nel i 969, rivendica due cose: la tolleranza, intesa come piena eguaglianza sociale, economica, politica e giuridica dell’omosessuale in quanto tale; e l’approvazione, intesa come l’idea diffusa che l’omosessualità sia una cosa normale. Ma se questa lobby gay si presenta all’opinione pubblica orgogliosa e compatta, ben diversa è la realtà esistenziale delle singole persone che vivono questa condizione: una vita segnata spesso dalla sofferenza e dall’inquietudine, aggravate dagli atteggiamenti urlati e provocatori del movimento d’opinione che cavalca la tigre della trasgressione sessuale. C’è un paradosso che molti ignorano: il primo passo per aiutare gli omosessuali è riconoscere serenamente che in quella condizione essi vivono male. Anche quando sia apparentemente accettata con serenità, l’omosessualità non sarà mai compatibile con i livelli più profondi della persona. A. L’omosessualità come malattia Dunque, giornali, TV, film, situation comedy sono pesantemente condizionate da questa lobby omosessuale, che ogni giorno muove qualche piccolo passo per “normalizzare” l’immagine dei gay agli occhi del pubblico. Le tecniche utilizzate sono molto simili a quelle messe in campo dalla lobby femminista negli anni Settanta, quando film e telefilm furono invasi da donne-giudice, donne-poliziotto, donne-soldato, allo scopo di suscitare processi di immedesimazione nel pubblico femminile. Oggi, le fiction tv e i film si riempiono di personaggi che non nascondono, e anzi ostentano la loro omosessualità, come affermazione di una categoria socialmente rilevante: il pubblico assimila così il messaggio subliminale che non c’è proprio nulla di strano ad assumere pubblicamente il “ruolo” di omosessuale, felice e contento della propria condizione. Anche nel campo della psichiatria e della psicanalisi la lobby gay ha esercitato fortissime pressioni per indurre gli studiosi a un riconoscimento della normalità della omosessualità. La gente non sa un fatto clamoroso: i tre grandi pionieri della psichiatria – Freud, Jung e Adler – consideravano l’omosessualità come una patologia. Oggi, invece, il termine omosessualità è scomparso dai manuali psichiatrici delle malattie mentali. Ma, come scrive lo psicologo americano Joseph Nicolosi, nessun tipo di ricerca sociologica o psicologica spiega tale cambiamento di tendenza, e nessuna prova scientifica è stata fornita per confutare 75 anni di ricerche cliniche sull’omosessualità come stato patologico. B. Omosessuale “per natura” Spesso, i gay credono di essere nati tali. La stessa opinione pubblica è portata a pensare che certe persone “sono fatte così, e non c’è nulla che possano fare per cambiare”. Il riconoscimento giuridico e sociale dell’omosessualità sarebbe scontato, se fosse scientificamente provato che essa è una condizione innata. Ma è stato provato esattamente il contrario: e cioè che i fattori genetici e ormonali non svolgono un ruolo determinante nello sviluppo della omosessualità. Possono predisporre, ma mai predeterminare l’omosessualità. Dunque, non esiste alcun “gene dell’omosessualità” che costringa una persona a essere tale. Possono esservi invece condizioni innate che rendono più facile lo scivolamento verso l’omosessualità. Ma l’essere gay resta un fenomeno prettamente psicologico. C. Guarire si L’omosessualità come fatto normale. Da almeno trent’anni nella società occidentale opera una potente lobby che vuole far entrare nella testa della gente questa semplice idea: l’omosessuale è come un mancino, certo più raro delle persone che usano la mano destra, ma non per questo giudicato una persona “che sbaglia”. Insomma: “gay è bello” almeno quanto essere un eterosessuale. Chiunque sostenga il contrario, perde il diritto di parlare nel grande salotto del villaggio globale e viene liquidato come un intollerante che discrimina gli omosessuali, che li odia e che li considera individui pericolosi e senza speranza. Ovviamente, si tratta di un’accusa completamente falsa, che vuole solo neutralizzare la verità: e cioè che l’omosessualità è una condizione patologica, che ostacola la piena realizzazione della persona. Un nuovo concetto di normalità Siamo di fronte a una classica operazione di ingegneria sociale che vorrebbe trasformare una normalità di tipo sociologico in una normalità di tipo antropologico morale: se gli omosessuali sono presenti in numero rilevante, e la gente li approva, allora significa che essere gay è un comportamento assolutamente innocente dal punto di vista etico. Non a caso, il Movimento di Liberazione Gay, fondato a New York nel i 969, rivendica due cose: la tolleranza, intesa come piena eguaglianza sociale, economica, politica e giuridica dell’omosessuale in quanto tale; e l’approvazione, intesa come l’idea diffusa che l’omosessualità sia una cosa normale. Ma se questa lobby gay si presenta all’opinione pubblica orgogliosa e compatta, ben diversa è la realtà esistenziale delle singole persone che vivono questa condizione: una vita segnata spesso dalla sofferenza e dall’inquietudine, aggravate dagli atteggiamenti urlati e provocatori del movimento d’opinione che cavalca la tigre della trasgressione sessuale. C’è un paradosso che molti ignorano: il primo passo per aiutare gli omosessuali è riconoscere serenamente che in quella condizione essi vivono male. Anche quando sia apparentemente accettata con serenità, l’omosessualità non sarà mai compatibile con i livelli più profondi della persona. A. L’omosessualità come malattia Dunque, giornali, TV, film, situation comedy sono pesantemente condizionate da questa lobby omosessuale, che ogni giorno muove qualche piccolo passo per “normalizzare” l’immagine dei gay agli occhi del pubblico. Le tecniche utilizzate sono molto simili a quelle messe in campo dalla lobby femminista negli anni Settanta, quando film e telefilm furono invasi da donne-giudice, donne-poliziotto, donne-soldato, allo scopo di suscitare processi di immedesimazione nel pubblico femminile. Oggi, le fiction tv e i film si riempiono di personaggi che non nascondono, e anzi ostentano la loro omosessualità, come affermazione di una categoria socialmente rilevante: il pubblico assimila così il messaggio subliminale che non c’è proprio nulla di strano ad assumere pubblicamente il “ruolo” di omosessuale, felice e contento della propria condizione. Anche nel campo della psichiatria e della psicanalisi la lobby gay ha esercitato fortissime pressioni per indurre gli studiosi a un riconoscimento della normalità della omosessualità. La gente non sa un fatto clamoroso: i tre grandi pionieri della psichiatria – Freud, Jung e Adler – consideravano l’omosessualità come una patologia. Oggi, invece, il termine omosessualità è scomparso dai manuali psichiatrici delle malattie mentali. Ma, come scrive lo psicologo americano Joseph Nicolosi, nessun tipo di ricerca sociologica o psicologica spiega tale cambiamento di tendenza, e nessuna prova scientifica è stata fornita per confutare 75 anni di ricerche cliniche sull’omosessualità come stato patologico. B. Omosessuale “per natura” Spesso, i gay credono di essere nati tali. La stessa opinione pubblica è portata a pensare che certe persone “sono fatte così, e non c’è nulla che possano fare per cambiare”. Il riconoscimento giuridico e sociale dell’omosessualità sarebbe scontato, se fosse scientificamente provato che essa è una condizione innata. Ma è stato provato esattamente il contrario: e cioè che i fattori genetici e ormonali non svolgono un ruolo determinante nello sviluppo della omosessualità. Possono predisporre, ma mai predeterminare l’omosessualità. Dunque, non esiste alcun “gene dell’omosessualità” che costringa una persona a essere tale. Possono esservi invece condizioni innate che rendono più facile lo scivolamento verso l’omosessualità. Ma l’essere gay resta un fenomeno prettamente psicologico. C. Guarire si
di Mario Palmaro. L’omosessualità è una condizione patologica. Dalla quale, se si vuole, si può uscire. Ma l’azione di una potente lobby gay mira a nascondere questa verità.
Il vero scoop, in termini giornalistici, è proprio questo: che dalla omosessualità è possibile liberarsi. Non si tratta di un’affermazione teorica, o di un auspicio di natura morale: autorevoli psicologi che da anni lavorano in questo campo possono documentare numerose “guarigioni” di persone gay che – ovviamente senza alcun tipo di costrizione hanno iniziato una cura psicanalitica seria, e sono completamente usciti dal tunnel di una personalità incompiuta. Certo, il primo passo di questo non facile cammino è riconoscersi bisognosi di aiuto, e infrangere il luogo comune imposto dai media secondo cui, al contrario, bisognerebbe arrendersi al fatto che omosessuali si nasce. Nulla di più falso: innumerevoli studi hanno ormai dimostrato che l’orientamento omosessuale è legato a una serie complessa di fatti accaduti alla persona durante l’infanzia e l’adolescenza. Questa rivelazione dimostra che la lobby gay non solo fa del male alle persone che afferma di voler tutelare, ma, ancor di più, induce l’opinione pubblica a trascurare una serie di informazioni educative che potrebbero in molti casi prevenire l’insorgere del problema.
Sappiamo, ad esempio, che nel vissuto di moltissimi omosessuali maschi adulti c’è un padre evanescente; e spessissimo ce una famiglia sfasciata, un divorzio. Non a caso, anche qui il miglior modo per prevenire è difendere la famiglia, recuperando in particolare la figura di un padre affettuoso ma autorevole, capace di dettare delle regole e dei divieti. In questo senso, i movimenti di liberazione omosessuale sono degli acerrimì nemici della famiglia.
D. L’insegnamento della Chiesa
La Chiesa cattolica continua a insegnare – in perfetta fedeltà alla Sacra Scrittura e alla Tradizione – che “gli atti dì omosessualità sono intrinsecamente disordinati, contrari alla legge naturale, e in nessun caso possono essere approvati” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2357). lì Magistero tiene distinti i comportamenti dalle tendenze: poiché la genesi psichica dell’omosessualità rimane in gran parte inspiegabile, la semplice presenza ditale tendenza non costituisce una colpa, e anzi le persone che si trovano in questa condizione devono essere accolte “con rispetto, compassione, delicatezza” (n. 2358). Ma è altrettanto evidente che le persone omosessuali sono chiamate alla castità e alla perfezione cristiana, traendo forza dalla preghiera e dalla grazia (n. 2359). Proprio questa parte del Catechismo sembra confermare la reale possibilità di cambiamento, cui la psicanalisi offre oggi importanti prospettive: “in questo senso – scrive Padre Livio Fanzaga – c’è affinità di vedute tra prospettiva scientifica e pastorale della Chiesa, scienza e morale qui procedono insieme verso un traguardo positivo di fiducia e di speranza”. Dall’omosessualità si può guarire.
Per saperne di più
Il CeSAD (Centro Studi Achille Dedè – Via Tonezza, 5 – Milano – tel 4043295) organizza una conferenza-dibattito intitolata “Identità sessuale maschile: un incontro con Joseph Nicolosi, presidente NARTH”.
L’appuntamento è per giovedì 576/2003, alle ore 9.30, presso il “Teatro Silvestrianum” (Via Andrea Maffei, 29 – Milano). Ingresso gratuito, fino ad esaurimento posti, previa segnalazione della partecipazione (tel e fax 02-5455615). Possibilità di parcheggio interno non custodito durante la conferenza. Tram 29-30,9,4 – MM3 Porta Romana.
Un libro da leggere
di Chiara Atzori
Nell’odierno panorama culturale, l’omosessualità maschile, sdoganata dall’area dei tabù, ammicca dai cartelloni pubblicitari e dagli spot televisivi, viene gridata nei “gay-pride days”, ma viene sottaciuta nella sua dimensione di frequente sofferenza individuale. Il libro di Joseph Nicolosi “Omosessualità maschile, un nuovo approccio” (SugarCo) è una voce fuori dal coro, che tenta di colmare una lacuna: infatti, tra i testi disponibili in Italia sull’argomento scarseggiano quelli riferibili all’esperienza, scientificamente solida e ben documentata, maturata dalla corrente degli psicoterapeuti che applicano la cosiddetta “terapia ricostituiva”. basata sulla teoria delle relazioni oggettuali e su studi empirici della identità sessuale.
L’analisi delle dinamiche familiari, il recupero della relazione con la figura paterna, l’autoaccettazione e la rimozione dei sensi di colpa, l’autoaffermazione e lo sviluppo dell’autostima, lo sviluppo di vincoli di amicizie non erotiche sono elementi fondamentali di questo approccio, che prevede una relazione importante con il terapeuta, la verbalizzazione e psicoterapia personale e di gruppo. É nota la crisi dell’identità maschile, la crescente incertezza della definizione di “genere sessuale”, prevale lo stereotipo politically correct per cui bisogna vivere e accettare serenamente il proprio “essere gay”.
Il malessere legato alla percezione della propria omosessualità è poco riconosciuto e considerato il risultato della chiusura della società. Ma una malintesa accettazione del pluralismo o della libertà di orientamento sessuale e la stessa legittima lotta alla discriminazione di persone omosessuali non possono prescindere dalla conoscenza delle possibili proposte alternative. lì rischio è una ghettizzazione di ritorno, ancorché dì avanguardia, della persona omosessuale e l’abbandono di quelli che chiedono aiuto per riappropriarsi della loro identità di genere. Nella mia quotidiana pratica clinica di medico infettivologo mi sono sentita rivolgere richieste di aiuto a riorientarsi da parte di pazienti che, avendo sperimentato pulsioni e comportamenti omosessuali, non avevano tuttavia trovato nel mondo gay (locali, circuiti associativi) risposte adeguate alla sensazione di malessere e di infelicità che sperimentavano. Cercare approcci psicoterapici alternativi alla terapia affermativa gay è stata una vera scoperta. Conoscere il lavoro dì Nicolosi è stato illuminante. Una formazione professionale e scientifica solida e lucida, accompagnata da una umanità ricca ed empatica, ha permesso a questo psicoterapeuta di offrire spunti inediti di riflessione a chiunque voglia documentarsi in modo scientifico, onesto e mai ideologizzato sul tema dell’omosessualità maschile. Penso che non solo psicologi, medici e psicoterapeuti ma educatori, genitori, sacerdoti e quanti sono interessati al tema dell’identità sessuale possono apprezzare questo volume. La postfazione di padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria, commenta rifacendosi al Catechismo della Chiesa Cattolica le posizioni etiche e morali, sfatando molte falsità che circolano a livello mass mediatico sulla presunta omofobia dei cattolici La strada per il cambiamento e per vivere con consapevole libertà di scelta la castità è aperta ad ogni persona.
Bibliografia:
Joseph Nicolosì, Omosessualità maschile: un nuovo approccio, Sugarco Edizioni, Milano 2002.
G. Van den Aardweg, Omosessualità e speranza, Ares, Milano 1985.
Catechismo della Chiesa Cattolica, Editrice Vaticana, n. 2357-2359.
© Il Timone – n. 25