L’avvocato Annamaria Bernardini De Pace: ecco come utilizzare il diritto privato
Pubblichiamo un contributo di un noto avvocato che, sebbene ricco di contraddizioni e irragionevolezze che abbiamo commentato, è utile a far comprendere come le leggi attualmente vigenti siano sufficienti a regolamentare le cosiddette unioni di fatto.
“Non c’è alcun bisogno di approvare una legge sulle coppie di fatto. Abbiamo già a disposizione una serie di strumenti del diritto privato che possono rispondere con efficacia alle esigenze di tutela dei conviventi. Al limite si può suggerire uno schema-tipo di accordo fra i partner“.
Annamaria Bernardini De Pace, avvocato civilista tra i più in vista di Milano, specializzata in diritto di famiglia, separazioni e tutela degli interessi di personaggi famosi, parla a raffica tra un atto da correggere e un cliente da ricevere.
Piano, piano avvocato. Ci faccia capire bene: lei è contraria all’approvazione di una norma che riconosca le convivenze?
Certo, dal punto di vista del diritto non vedo alcuna ragione per farlo. Il dibattito intorno alla questione è viziato dallo scontro ideologico. La Chiesa e i cattolici difendono le ragioni del matrimonio e della famiglia tradizionale. Ma anche da un punto di vista laico il matrimonio è un istituto importantissimo da difendere: è un atto sacrale…
Scusi se sobbalzo, ma sentir parlare di “matrimonio sacro” da un avvocato divorzista del suo calibro suona strano. Qualcuno potrebbe obiettare…
Non c’è contraddizione. Lasciamo da parte le questioni di fede. Anche sul piano laico il matrimonio civile è un atto sacro, con il quale due persone si impegnano solennemente davanti alla comunità e allo Stato, assumono una serie di doveri e, in conseguenza di questi, godono di alcuni diritti particolari. Tanto che “rompere” questo patto comporta una serie di adempimenti onerosi: divorziare non è cosa da poco, si va davanti a un giudice. Non si può svilire il matrimonio prevedendo un altro istituto – un “piccolo matrimonio” o un riconoscimento pubblico delle convivenze – con tanti diritti e nessun dovere, risolvibile con due righe scritte e un “buonasera”. Sarebbe uno squilibrio. Più corretto, dal mio punto di vista, sarebbe consentire velocemente il secondo matrimonio a chi vuole tutelare il proprio partner malgrado il divorzio in corso [Naturalmente, questa opinione dell’avvocatessa è contraria ad un’etica secondo ragione, essendo il matrimonio indissolubile per natura, NdR].
L’ho interrotta, stava parlando dello scontro ideologico…
Sì, la mia impressione è che da parte della sinistra ci sia soprattutto una volontà perversa di allargare l’assistenzialismo dello Stato anche alle famiglie di fatto, anche a quei conviventi che deliberatamente, coscientemente, decidono di non assumersi doveri davanti allo Stato. Allora, da un lato un vero Stato liberale deve difendere anche la libertà dei propri cittadini di non assumersi doveri. E dunque non si può attribuire “d’ufficio” dei diritti ai conviventi – in quanto tali – senza una loro espressa volontà. Sarebbe un accanimento garantista verso coloro che hanno rifiutato un’invadenza o comunque un ruolo dello Stato nel loro privato sentimentale. La stessa Corte costituzionale ha sottolineato che si potrebbe configurare “una violazione dei principi di libera determinazione delle parti”. Dall’altro, come sostenevo prima, un riconoscimento pubblico tramite un registro o peggio delle “simil-nozze” sarebbe iniquo. E pericoloso: ci sarebbe infatti il rischio di legittimare e tutelare persino i matrimoni poligamici dei musulmani, con tutto quel che ne conseguirebbe in tema di assistenzialismo statale a plurime convivenze.
E siamo al vicolo cieco di sempre: sarebbe sbagliato sia il riconoscimento pubblico sia l’attribuzione di diritti ai partner per il solo fatto che convivono. Come se ne esce?
Usando quel che già c’è. Se si vuole essere garantiti del tutto c’è il matrimonio, altrimenti si possono utilizzare una serie di strumenti come le polizze assicurative, la co-intestazione di beni come la casa o il contratto d’affitto. E poi ci sono i cosiddetti “Contratti di convivenza” che i partner possono stringere per definire alcuni aspetti della loro convivenza: dai lavori domestici alla suddivisione delle spese, alla creazione di un fondo comune da suddividere in caso di rottura del rapporto. Infine una procura per poter rappresentare il compagno in caso di grave malattia o invalidità. Si tratta di contratti privati, che possono essere liberamente stipulati e che non necessitano di un riconoscimento pubblico.
Qualcuno potrebbe contestarle un conflitto d’interessi: ecco un modo per far guadagnare avvocati e notai. Per le coppie di fatto non abbienti potrebbe essere un costo non sopportabile…
I costi sarebbero certamente inferiori a quelli di un banchetto di nozze. Comunque, se si vuole, si può perfino ricorrere a una semplice scrittura privata o rivolgersi a un consultorio familiare. Oppure si può studiare uno schema-tipo da proporre, che ogni coppia possa far proprio adattandolo, portando poi l’atto in tribunale per l’omologa, così come si usa per le società. Ma, al di là delle modalità, conta il principio della responsabilizzazione personale. Lo Stato non può sempre fungere da balia. Se una coppia decide di non sposarsi, non si assume doveri, non cerca di tutelarsi attraverso polizze e contratti privati, la società non può “inseguirla” stendendo sopra di essa una legge, come fosse una coperta, per metterla comunque al riparo. Qui emerge un nodo culturale: le nuove generazioni non sono educate alla responsabilità personale.
Troppe persone, troppe coppie hanno perso il coraggio di affrontare un progetto di vita definitivo, almeno nelle intenzioni. Epperò si pretende per loro delle tutele…
Al di là di altre questioni come l’assistenza in ospedale o gli affitti – facilmente risolvibili se non già risolte nelle prassi – le due problematiche fondamentali riguardano le pensioni di reversibilità e l’eredità, dalle quali oggi i conviventi sono esclusi.
Le pensioni di reversibilità vanno riservate alle vedove. Non abbiamo fondi per le pensioni minime e per quelle future dei giovani, non vedo perché si dovrebbe allargare l’assistenzialismo dello Stato in questo campo. Vi sarebbero poi enormi rischi di abusi, basti solo pensare ai casi di badanti che accudiscono anziani soli… Quanto all’eredità – oltre alla quota disponibile (il 25% nel caso ci siano eredi legittimi) che un convivente può già lasciare all’altro – si potrebbe ipotizzare un intervento “leggero” sul codice civile. Eliminando il coniuge separato e/o i genitori dall’asse ereditario e inserendovi l’eventuale compagno con il quale si sia volontariamente concluso e registrato un contratto di convivenza privato. [Anche in questo caso siamo di fronte ad una grave violazione del diritto naturale: è, infatti, contrario alla ragione escludere dall’asse ereditario il primo ed unico vero coniuge o, addirittura, i genitori, NdR].
Anche in questo caso non ci sarebbe necessità né di riconoscimenti pubblici né di registri né di grandi leggi, foriere di possibili stravolgimenti sociali.
Dietro la battaglia politica per l’istituzione dei pacs o dei registri delle coppie di fatto c’è sicuramente anche la forte spinta degli omosessuali per ottenere un riconoscimento pubblico.
Conosco e tutelo gli interessi di molte coppie gay. Ma istituire per loro un simil-matrimonio rappresenterebbe una risposta sbagliata a un’esigenza legittima.
[omissis… L’Avvocatessa prosegue con considerazioni teoriche sui diritti degli omosessuali, che nella realtà dei paesi di antica tradizione cristiana sono però del tutto inutili, in quanto è assente ogni e qualsiasi forma di discriminazione, NdR].
Il matrimonio è, e deve essere, un’altra cosa.
© Avvenire, 19 gennaio 2007