Dal Paese di Papa Ratzinger arriva l’allarme
Islamizzazione silenziosa
La berlinese Porta di Brandeburgo, simbolo della storia tedesca, è sovrastata da una luminosa mezzaluna musulmana: «Mecca Germania, la silenziosa islamizzazione». A lanciare l’allarme in copertina non è la conservatrice die Welt o la tradizionale Frankfurter Allgemeine. A parlare di slittamento «strisciante» verso valori estranei alla società tedesca è l’organo ufficiale del giornalismo liberal, il settimanale amburghese Der Spiegel, bibbia della Germania che conta, più o meno un milione di copie alla settimana. E nell’ultimo numero in edicola il titolo delle pagine interne è, se possibile, ancora più allarmante: «Ma qui è già in vigore la sharia?».
In Germania i templi islamici crescono a ritmo impressionante mentre quelli cristiani, almeno 700, saranno sconsacrati per diventare uffici e supermercati. E già dal 2004 il ministero della Sicurezza sociale ha di fatto riconosciuto la poligamia…
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Islamizzazione silenziosa
La berlinese Porta di Brandeburgo, simbolo della storia tedesca, è sovrastata da una luminosa mezzaluna musulmana: «Mecca Germania, la silenziosa islamizzazione». A lanciare l’allarme in copertina non è la conservatrice die Welt o la tradizionale Frankfurter Allgemeine. A parlare di slittamento «strisciante» verso valori estranei alla società tedesca è l’organo ufficiale del giornalismo liberal, il settimanale amburghese Der Spiegel, bibbia della Germania che conta, più o meno un milione di copie alla settimana. E nel numero apparso ieri in edicola il titolo delle pagine interne è, se possibile, ancora più allarmante: «Ma qui è già in vigore la sharia?».
Il quesito che appassiona i giornalisti del settimanale è semplice: fino a che punto lo stato di diritto può e deve piegarsi alle richieste dei gruppi di immigrati, anche se queste fanno a pugni con i principi fondamentali di cultura e diritto occidentali? E fino a che punto può farlo senza danneggiare chi, tra quegli immigrati cerca l’integrazione, favorendo invece i fondamentalisti?
A segnare le contraddizioni più profonde tra identità culturali sono state, dice il settimanale, molte decisioni della magistratura, spesso inadeguata ad affrontare la complessità della situazione. L’ultima sentenza, che ha suscitato una sorta di sollevazione dell’opinione pubblica, è anche tra le più clamorose: riguarda una donna, 26 anni e madre di due bambini, quotidianamente maltrattata e picchiata dal marito, un marocchino. Nonostante le premesse il giudice incaricato del caso ha rifiutato la richiesta di divorzio immediato presentata dalla donna, anche se l’uomo l’aveva addirittura minacciata di morte. Il motivo? Il giudice l’ha spiegato così: «Nel Corano, alla Sura quarta verso 34, è previsto che l’uomo possa punire la moglie». Un riferimento spiegato con il fatto che la coppia si era sposata con rito islamico.
Il caso è estremo ma fa seguito a una serie di sentenze degne di una giurisprudenza da Paese del Maghreb. Già dal 2002 un magistrato aveva stabilito che i dipendenti musulmani possano fermarsi a pregare in orario di lavoro (sia pure in accordo con l’azienda). Nello stesso anno un altro tribunale stabilì la legittimità del rito di macellazione islamico (in deroga alle rigidissime norme previste dalla legge tedesca).
Una battaglia durissima durata 15 anni è stata quella sulle preghiere dei muezzin. Nel 1992 la Corte costituzionale stabilì un principio: i centri di preghiera islamici hanno il diritto di diffondere con gli altoparlanti le loro preghiere. Per le rituali cinque volte al giorno e a partire dal levar del sole. Qualche anno fa una cittadina dell’Assia, Dillenburg, cercò di proteggere il sonno degli abitanti ricorrendo a un cavillo: il disturbo potenziale alla sicurezza della circolazione creato dal rumore. Il tribunale amministrativo bocciò anche questo tentativo. In nome del principio di uguaglianza chi vuole far tacere i muezzin dai minareti deve emettere un’ordinanza che zittisca anche campane e campanili. Commento di Der Spiegel: «Evidentemente da queste parti il principio di uguaglianza vale anche per quelli che con l’uguaglianza non vogliono avere nulla a che fare».
Un altro caso famoso riguarda una polemica tra un Imam estremista di origine turca, Yaukub Tasci e la Zdf, il secondo canale della tv. Quest’ultima fu condannata e obbligata a togliere dal suo sito la definizione di «predicatore d’odio» usata per Tasci. Al processo fu dimostrato che durante le sue prediche l’Imam definiva i tedeschi «schifosi infedeli». Nessun provvedimento, anche minimo, fu preso contro di lui. Tutte sentenze emesse nel nome del rispetto delle differenze culturali. Che coinvolgono spesso anche minorenni. Abbastanza comuni sono, per esempio, i ricorsi delle famiglie islamiche contro la partecipazione delle figlie a lezioni di ginnastica (o, peggio, di nuoto) e a gite scolastiche. Di solito i ricorsi vengono accettati e le ragazze esentate, a meno che le lezioni e le gite non vengano effettuate a sessi rigorosamente separati. Il risultato, secondo le organizzazioni che si occupano di uguaglianza tra uomo e donna, è che sempre meno ragazze di religione islamica partecipano alle attività sportive o alle attività comuni delle classi. Un problema ancora da poco, sottolinea Der Spiegel, di fronte a una decisione del ministero della Sicurezza sociale che dal 2004 ha di fatto riconosciuto la poligamia in Germania. Le prestazioni del servizio sanitario, ha chiarito a suo tempo il ministero, si estendono a tutte le mogli del lavoratore che paga i contributi. L’unica condizione è che a riconoscere il diritto a più mogli sia il Paese (islamico) di provenienza.
di Angelo Allegri
Il Giornale n. 73 del 2007-03-27
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Sempre più moschee e meno chiese
I templi islamici crescono a ritmo impressionante mentre quelli cristiani, almeno 700, saranno sconsacrati per diventare uffici e supermercati
Nel suo libro La Festa è finita in cui analizza mode e tendenze delle nuove generazioni tedesche, lo scrittore Peter Hahne si domanda se «la Germania di oggi può ancora definirsi un Paese cristiano o se non sarebbe più esatto dire che la Germania è un Paese prevalentemente ateo dove convivono varie minoranze religiose». Un dubbio, quello di Hahne, largamente condiviso da sociologi e opinionisti che nasce non tanto dall’avanzata dell’Islam quanto dal ruolo sempre più marginale che le Chiese cristiane, quella cattolica e quella evangelica, esercitano nella vita del Paese. Secondo il più grande sondaggio sulla religiosità dei tedeschi, promosso nel 2006 dal canale televisivo Zdf e dal settimanale Stern su un campione di 356 mila cittadini di fede cristiana, poco più del 5 per cento va in chiesa regolarmente e la stragrande maggioranza ammette di andarci una o al massimo due volte l’anno, a Natale e a Pasqua, più per abitudine che per convinzione religiosa.
Un dato che trova conferma in un fenomeno allarmante. Nella terra del Papa un numero sempre maggiore di chiese cristiane sono costrette a chiudere per mancanza di fedeli e dei fondi necessari per sostenere le spese di manutenzione (si parla di 700 Chiese nei prossimi dieci anni). Nei prossimi dieci anni saranno sconsacrate settecento Chiese cattoliche e gli edifici verranno convertiti a usi prettamente terreni: ristoranti, parcheggi per auto, uffici, alberghi, centri per congressi, ricevimenti e matrimoni. La regione più colpita è la (un tempo) cattolicissima Renania, dove a Essen la diocesi ha deciso la chiusura di novantasei delle sue 350 chiese. Per gli evangelici la situazione è un po’ meno drammatica, ma soltanto perché dispongono di un numero inferiore di chiese. Il caso più clamoroso è quello della Sankt Raphael Kirche nel quartiere berlinese di Gatow che presto verrà abbattuta e il terreno sarà utilizzato per costruirci sopra un supermercato.
Il consumismo avanza, la religiosità indietreggia. Ma non tra i musulmani che vivono in Germania. Sul fronte dei seguaci di Maometto è tutto un fiorire di moschee e luoghi di preghiera, che sarebbero oltre 2.500. Alle 159 moschee già esistenti se ne aggiungeranno 128 nei prossimi anni di cui dieci nella capitale Berlino, la città più musulmana della Germania. Numeri impressionanti che sono comunque destinati a lievitare. Basti pensare che i musulmani in Germania sono, in base ai dati rilevati nel 2005, circa 3,3 milioni (il 4 per cento della popolazione) e che nel 2030 diventaranno 7 milioni.
Un altro segno del calo di religiosità tra i tedeschi si manifesta al momento della dichiarazione dei redditi. In Germania la kirchensteuer, la tassa per la Chiesa, è pari al 9 per cento dell’imposta sul reddito e viene destinata alla religione dichiarata dal contribuente. Ma non è una tassa obbligatoria, chi non vuole pagarla deve solo dichiararsi ateo e negli ultimi anni il numero dei tedeschi che hanno scoperto di non credere in nulla, almeno al momento di confessarsi con il fisco, è quasi decuplicato. Tempo fa Günther Jauch, noto presentatore televisivo, in un programma di quiz, inserì alcune righe sparse del Padrenostro chiedendo agli interrogati, tutti giovani, di metterle nell’ordine giusto: nessuno ci riuscì. Ancora più sconvolgenti furono le risposte alla domanda «che cosa è il Golgota». Ci fu chi rispose che era una crema, chi un dentrificio, chi un formaggio italiano. Per non parlare di un sondaggio dal quale risultò che l’istituzione che ispira maggiore fiducia tra i tedeschi non è la Chiesa bensì l’Adac, l’organizzazione per il soccorso stradale (che in Germania funziona molto bene).
Un altro dato allarmante rilevato dal sondaggio della Zdf e da Stern sulla religiosità dei tedeschi riguarda il Venerdì Santo. In tutti Länder è una festa religiosa, ma è anche uno dei giorni dell’anno in cui ristoranti, cinema, teatri, birrerie e locali di divertimento registrano l’affluenza più alta. Non sorprende quindi che molti si domandino se non sia meglio definire la Germania un paese prevalentemente ateo dove convivono varie minoranze religiose.
di Salvo Mazzolini
Il Giornale n. 73 del 2007-03-27