di Marina Corradi. Sul sito Internet di un autorevolissimo quotidiano compare questa cronaca: «La Procura di Torino, come riportato ieri, indaga su uno scambio di seme scoperto prima che la gravidanza andasse avanti. In questa circostanza dunque i bambini non sono nati, l’errore è stato scoperto poco dopo ed è stato possibile rimediare prima che fiocchi rosa o azzurri fossero esposti con sgomento sul portone».
Tutto è bene, insomma, ciò che finisce bene: lo sbadato scambio di provette è stato notato tempestivamente, e immediatamente bloccati i «clandestini» che, ignari di essere solo il frutto di una sbadataggine, si erano sventatamente avventurati ad insediarsi in quel ventre che credevano materno. Fortunatamente esistono oggi rimedi assai precoci adatti a queste eventualità, del genere «pillola del giorno dopo», e pare che una delle coppie, subito assunto il preparato, ansiosamente abbia sollecitato l’altra, che forse aveva avuto un istante di esitazione: «L’avete presa, la pillola?». Ma alla fine si è provveduto, e appunto non ci saranno fiocchi né rosa né azzurri da appendere ai portoni, «con sgomento».
Quanto a quelle altre due coppie di gemelli, nati neri a genitori bianchi, per scambi di provette, o addirittura per via di provette riciclate, illustri clinici spiegano che quando una tecnica diventa routine è nella logica l’abbassamento di attenzione, rischio incombente su ogni professionista.
E il solito profano vorrebbe, se gli è consentito, obbiettare che l’oggetto di quel mestiere non è la riparazione di un computer, né l’estrazione di un dente, e nemmeno la discussione di una causa penale, ma un uomo – un figlio, dentro una provetta. E che insomma tre storie come questa in tre giorni inducono a pensare la massa – non degli illustri clinici, né dei fautori del più totale libertarismo bioetico – ma la gente comune che legge e sta a guardare, che in quel trafficare di provette, semi, ovuli, con la routine appunto forse ci si è un po’ rilassati. E che occorre, come ha detto ieri il ministro Sirchia, l’occhio di un controllo pubblico, come quello previsto, delle Regioni, sull’attività dei centri di procreazione assistita. Fiorente attività, di cui sempre ci vengono raccontati i successi e addirittura i trionfi, mentre raramente ci vengono dette le percentuali di riuscita di tanti complessi trattamenti – la Fivet, fecondazione in vitro, non supera per esempio il 20% di gravidanze ottenute a tentativo, percentuale decrescente con l’aumentare dell’età della donna. Stimolazioni ormonali, stress, il dolore per ogni fallimento, e tentativi spesso più volte ripetuti, sono un calvario ben poco raccontato. E, ora scopriamo, l’errore. Davvero così raro? Se quei bambini di Torino e di Modena, pure «scambiati», non fossero stati di pelle nera, forse nessuno se ne sarebbe accorto.
Il ministro ha ragione, è ancora più urgente l’intervento del pubblico con controlli ravvicinati in un ambito che più di ogni altro deve almeno dare garanzie rigorose. Per chi ha accettato la legge sulla procreazione artificiale ritenendola un male minore rispetto alla libertà di tutto e di tutti, il pensare a una routine che corre il rischio di farsi sbadatezza è intollerabile. Certo, c’è sul mercato la pillola adeguata ad evitare fiocchi «da esporre con sgomento». Però, diciamolo, che faccenda bestiale: una provetta, un attimo di distrazione, quei due fiduciosamente ormai in viaggio. Ma non sono quelli giusti, occorre fermarli. Se arrivano, che sgomento.
Non è vero, tuttavia. Si potrà nascere per un «caso», ma nessun uomo è mai un errore.
(C) Avvenire, 7-9-2004