Sembrava definitivamente scomparso dalle scene, inequivocabilmente dismesso dal linguaggio della scienza e dal quello comune. E invece eccolo di nuovo, il termine “pre-embrione”, spuntare improvviso nelle riviste scientifiche e in quelle divulgative, nelle notizie dei giornali e nei dibattiti televisivi.
Compare ad esempio una decina di volte in un articolo della rivista scientifica “Le Scienze” sulla procreazione assistita (N. Frontali e F. Zucco, Sterili per legge, “Le Scienze”, settembre 2004, pp. 58-63), utilizzato con noncuranza (così come “ovuli fecondati”), con valore scientifico e “non etico”. Tutto l’articolo, a dire il vero, punta a rivendicare le ragioni della scienza, di contro al significato teologico che il concepimento avrebbe per gli estensori della italiana n. 40 sulla procreazione medicalmente assistita (PMA), i quali, conclude il testo, “non hanno capito il legame che esiste fra l’evoluzione delle tecniche di PMA e il progresso della ricerca scientifica” (p. 63).
Eppure, utilizzando il termine pre-embrione, le autrici toccano un tasto che fin dal suo sorgere ha avuto poco a che vedere con il rigore scientifico. Il termine fu coniato nel 1979 dall’embriologo Clifford Grobstein, specializzato negli studi sulle rane, che ammise di volere in questo modo “ridurre lo status dell’embrione umano precoce” (cfr. C. Grobstein, External Human Fertilization, “Scientific American”, 240, 1979, pp. 57-67).
A quel tempo, infatti, la nascita della prima bambina concepita in provetta, Louise Brown, nel 1978, aveva causato la vertiginosa proliferazione dei centri di fecondazione in vitro. Di conseguenza, l’allora Ministro della Sanità, Joseph Califano, nutrendo preoccupazioni etiche relativamente a quella che si presentava come sperimentazione umana, aveva chiesto pubblicamente indagini sull’embrione umano precoce. Grobstein cercò di risolvere le preoccupazioni dichiarando l’embrione umano precoce un “pre-embrione”, cioè una “non-persona” (cfr. C.W. Kischer, When Does Human Life Begin? The Final Answer, 7/04/2004).
Successivamente il termine fu utilizzato in due importanti sedi internazionali: la Commissione Warnock in Gran Bretagna, volta a stabilire gli ambiti di liceità nella sperimentazione umana e nelle tecniche di riproduzione assistita (Department of Health and Social Security, Report of the Committee of Inquiry into Human Fertilization and Embryology , Her Majesty’s Stationary Office, London, 1984, pp. 27 e 63), e il Comitato etico della Società Americana per la Fertilità, di cui lo stesso Grobstein faceva parte (The Ethics Committee of The American Fertility Society, The biologic characteristics of the preembryo, “Fertility and sterility”, Supplement 1, 46, 1986, pp.27 ss.).
La letteratura scientifica, sia specialistica che divulgativa, si è poi appropriata del termine, divenuto ben presto un utilissimo strumento persuasivo dell’opinione pubblica sull’innocuità etica della manipolazione embrionale. In tutti i documenti favorevoli alla manipolazione del “pre-embrione” venivano identificati alcuni criteri che ne giustificavano la distinzione dal vero embrione, quello che apparirebbe magicamente dal quattordicesimo giorno di vita in poi o anche oltre. Tali criteri si fondavano sull’osservazione secondo cui attorno al quattordicesimo giorno avverrebbero alcune sostanziali “novità” nello sviluppo del piccolo uomo: 1. si completa l’impianto nella parete dell’utero materno, iniziato verso il V-VI giorno dal concepimento; 2. aumenta la differenziazione cellulare, così da rendere impossibile la gemellazione monovulare, cioè il fatto che da un solo ovulo fecondato derivino due individui gemelli; 3. compare la stria primitiva, ovvero il disco embrionale da cui si svilupperebbe “direttamente” il corpo dell’embrione (cfr. A: Serra e R. Colombo, Identità e statuto dell’embrione umano: il contributo della biologia, in Pontificia Accademia Pro Vita, Identità e statuto dell’embrione umano, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998, pp. 106-158).
In realtà, proprio l’indagine della biologia ha stabilito con certezza che tali “progressi” nello sviluppo embrionale non rappresentano novità sostanziali, ma sono parte dell’evoluzione ininterrotta dell’organismo dal primo istante, la fecondazione, all’ultimo, la morte della persona. Dal momento della fecondazione in poi, infatti, l’essere umano (ogni essere vivente), possiede alcune proprietà biologiche fisse: la coordinazione, cioè il fatto di rappresentare un’unità funzionalmente organizzata secondo uno scopo stabilito e autonomamente perseguito dal programma genetico dell’organismo; la continuità, ovvero il fatto che in ogni momento dell’evoluzione si tratta sempre dello stesso individuo che si va via via modificando; la gradualità, ossia il progressivo costituirsi attraverso le varie fasi dello sviluppo della forma finale dell’individuo, secondo la propria identità, individualità e unicità. La possibilità della gemellazione non rappresenta un’obiezione valida: non vi è infatti alcuna ragione per cui, dal fatto che un embrione possa “generarne” un altro – per una sorta di “clonazione naturale” –, si debba dedurre l’inesistenza individuale dell’embrione originario (A: Serra e R. Colombo, Identità e statuto…cit., pp. 143-145).
Le argomentazioni sinteticamente riportate hanno trovato largo consenso nella comunità scientifica, fino alla quasi totale messa al bando (almeno a livello internazionale) dell’espressione ambigua (cfr. ad esempio R. O’Rahilly, e F. Müller, Human Embryology and Teratology, Wiley-Liss, New York 1992; B.M. Carlson, Human Embryology and Developmental Biology, Mosby, St. Louis 1994; T.W. Sadler, Langman’s Medical Embryology, 7 ed., Williams and Wilkins, Baltimore 1996).
Fino ad ora. Negli ultimi anni, i tentativi di diffusione massiva della “pillola del giorno dopo”, da un lato, e l’interesse a portare avanti la ricerca con le cellule staminali embrionali, dall’altro, hanno ripristinato il vecchio dibattito sull’individualità umana dell’embrione precoce, stavolta non più a livello strettamente scientifico, ma culturale e politico. In altre parole: siamo di fronte ad una grande e consapevole bugia, che ha trovato in Italia un terreno particolarmente favorevole a causa del dibattito vivacissimo sulla fecondazione artificiale, e soprattutto sulla selezione genetica preimplantatoria degli embrioni.
Come afferma C. Ward Kischer: “il cosiddetto pre-embrione è una falsa fase dello sviluppo umano, inventata da un embriologo degli anfibi solo per ragioni politiche. Non ha alcuna giustificazione credibile. Pertanto, la sua inclusione nel linguaggio dell’embriologia rappresenta un imbroglio di dimensioni colossali. Adolph Hitler diceva: ‘Le grandi masse saranno più facilmente vittima di una grande bugia che di una piccola’” (C.W. Kischer, The Big Lie in Human Embryology. The Case of the Preembryo , 17/9/2004).
Claudia Navarini, docente della Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.
Codice: ZI04091902
Data pubblicazione: 2004-09-19
ROMA, domenica, 19 settembre 2004 (ZENIT.org).