Vescovi: finora le uniche certezze sono venute dalle cellule adulte. E invece c’è chi spinge verso altre direzioni…
Da Milano, Enrico Negrotti.
Da oggetto misterioso a panacea per tutti i mali. È il processo attraversato dalla ricerca sulle cellule staminali, utilizzate per quasi vent’anni senza saperlo nella cura delle leucemie, che ora suscitano grandi aspettative tra i pazienti e muovono interessi enormi nel mondo medico e nell’industria farmaceutica e biotecnologica.
La capacità delle cellule staminali – che, come si è scoperto nel corso degli ultimi dieci anni, sono presenti in quasi tutti gli organi del corpo – di rigenerare i tessuti danneggiati, ha fatto nascere la speranza di utilizzarle nella terapia.
Uno dei problemi è però quello di avere a disposizione cellule del tessuto giusto e in quantità sufficiente.
La scoperta dell’esistenza nell’embrione di cellule staminali potenzialmente in grado di dare origine a tutti i tipi di tessuti umani ha fatto intravedere la possibilità di «costringerle» a diventare qualunque tipo di tessuto.
Ma su questo punto si è aperto un lacerante dibattito etico: utilizzare gli embrioni umani per questo scopo significa distruggerli.
E il dibattito mediatico tende a trascurare il fatto che le cellule staminali embrionali solo in futuro potrebbero garantire (il condizionale è d’obbligo) alcuni risultati e trascura spesso il reale stato degli studi clinici realizzati viceversa con le cellule staminali prelevate da individui adulti.
Per fare un po’ di chiarezza sui risultati finora ottenuti dalla ricerca sulle cellule staminali, proviamo a dividere il campo in tre settori:
le terapie ormai consolidate, gli esperimenti che autorizzano a nutritre qualche speranza, gli studi condotti su animali o in laboratorio.
Le certezze.
Leucemia mieloide cronica, leucemie acute, talvolta mieloma multiplo, linfomi e leucemia linfatica cronica sono le malattie che da tempo beneficiano dell’impiego delle cellule staminali emopoietiche (quelle che formano il sangue) attraverso il trapianto di midollo osseo.
Un’altra fonte importante di cellule staminali, soprattutto per la cura delle leuc emie infantili, è il sangue del cordone ombelicale: molte «banche del cordone» sono già attive nel mondo, con l’Italia in prima linea. Altri esperimenti puntano ora a correggere malattie congenite del sangue, come la talassemia.
Un secondo ambito ormai consolidato per l’utilizzo di cellule staminali è quello del trapianto di cornea. Nel caso in cui questa parte dell’occhio sia colpita da ustioni da agenti chimici, può capitare che il semplice trapianto di cornea non funzioni perché il tessuto torna a vascolarizzarsi e a essere opaco.
È stata quindi sviluppata una metodica clinica che consiste nel prelevare dall’occhio sano del paziente le cellule staminali che si trovano nel «limbus», la zona dell’occhio che circonda la cornea: vengono poi coltivate in laboratorio e ritrapiantate nel paziente.
Infine le staminali presenti nei tessuti cutanei permettono di coltivare le cellule in laboratorio per curare le ustioni. A partire da piccoli lembi di pelle si riescono a creare ampi «fogli» che vengono utilizzati per sostituire il tessuto distrutto.
Le speranze.
Grande interesse viene rivolto alle possibili cure delle più gravi malattie.
Per quanto riguarda il cuore, l’obiettivo è di ricostituire il tessuto danneggiato in seguito a un infarto.
Negli ultimi tre anni sono stati già eseguiti alcuni esperimenti su pazienti, che hanno suscitato non poche reazioni negative nel mondo scientifico per l’assenza di una procedura sicura.
Altri studi riguardano il cervello: cellule staminali sono state isolate in almeno due aree, ma non è stato ancora possibile ipotizzare terapie. Si spera di ottenere risultati per le più gravi malattie neurodegenerative (Alzheimer, Parkinson, sclerosi laterale, distrofie, corea di Huntington), ma l’obiettivo è molto lontano anche perché le varie patologie hanno origini molto diverse tra loro.
Anche per il fegato, che è sede di cellule staminali, si cerca di sviluppare terapie che riparino i danni delle malattie epatiche. Terapie promettenti si profilano nella cura di malattie ossee e delle articolazioni, per ricostruire parti di ossa partendo da cellule staminali fatte crescere su biomateriali.
Le ipotesi.
Esperimenti con cellule staminali su topi indicano possibili terapie per ricostituire il tessuto danneggiato dei reni.
Interessante anche la prospettiva di iniettare le cellule staminali addirittura nel feto nell’utero materno: pochi esperimenti sono stati effettuati per correggere l’osteogenesi imperfetta, malattia genetica caratterizzata dall’estrema fragilità delle ossa.
da Avvenire on line del 5 dicembre 2004
http://www.db.avvenire.it/avvenire/edizione_2004_12_05/dossier.html