Cinquant’anni fa, Napolitano elogiò la repressione sovietica; oggi mette fiori sulla tomba di Nagy… Ma il pentimento dove è?
Una presa di distanze di dubbia sincerità
Ma, si dirà, non è apprezzabile che oggi egli abbia preso le distanze da quel suo errore giovanile? E non solo oggi, dato che una prima autocritica sull’Ungheria venne da lui fatta nella “Intervista sul Pci” (1975), anche se in termini ben più cauti di quelli espressi lo scorso anno nel suo scritto autobiografico “Dal Pci al socialismo europeo”. Riconoscerei propri errori è segno di onestà e di saggezza. Ma qual che dubbio insorge quando si pensi a come è avvenuto il “pentimento”. Non alla Giolitti, alla Gobetti o alla De Felice, ma lentamente e cautamente, senza mai voltare le spalle al partito ancora comunista, del quale fu sino alla fine un importante dirigente. In fondo Napolitano, facendo autocritica, si serviva di un metodo inventato dai comunisti. Dato che il Partito ha sempre ragione, quando un iscritto si allontana dalla linea del Comitato Centrale (obbligatoria per tutti secondo l’articolo 5 dello Statuto), ha davanti a sé due strade: o l’espulsione, «per indegnità morale e politica (si pensi ai compagni de Il Manifesto) l’autocritica. La storia dei comunismo è cosparsa di autocritiche, dato che l’adepto può mostrare di avere una coscienza pulita solo quando accetta in toto le direttive del Partito, questo “Nuovo Principe” (Gramsci), superiore alla morale in quanto esso stesso produttore di morale. In Ita ha, la storia del Pci è stata in ogni momento una variabile di quella del Pcus, anche quando se ne differenziava in qualche punto: cosa consentita dai sovietici, in quanto utile alla vittoria dei partiti comunisti nei Paesi ancora borghesi.
I soliti metodi da Unione Sovietica
Napolitano non ha fatto eccezione. La “via italiana al comunismo”, il “migliorismo”, I “fronti popolari”, erano tutte strategie dettate da Mosca, come gli storici degli archivi segreti del Pcus hanno mostrato. Solo quando il comunismo sovietico e la stessa URSS sono caduti il Pci ha preso finalmente le distanze. Rimanendo ancora, in termini negativi, una variabile del comunismo: «Come si può essere ancora comunista, se non c’è più il comunismo?». Ecco allora il Pci diventare Ds: sul passato di esaltazione e di complicità con il più sanguinario regime della storia è stato steso un pudico velo di oblio: tutti dissociati e ben pochi pentiti. E la tomba di Imre Nagy, per decenni senza nome, come richiede la damnatio memoriae del comunismo, avrà oggi una corona inattesa: quella di chi, cinquant’anni or sono, appoggiò e difese gli invasori che sterminarono lui e il suo popolo.
Gianfranco Morra – LIBERO 26 settembre ’06