Staminali vuole sempre l’aggettivo
Adulte o embrionali, la ricerca sulle prime non è vietata (e dà frutti)
di Giuliano Ferrara
Ricercatori del “Carlo Besta” di Milano e degli Ospedali Civili e dell’Università di Brescia hanno isolato e riprodotto cellule staminali da un muscolo umano: un importantissimo risultato nella ricerca sulle cellule staminali adulte. Ma certo si manifesterà anche in questa occasione la strana sindrome che coglie non pochi commentatori e politici italiani quando si parla di staminali. Uno dei colpiti è Riccardo Chiaberge, che sul Domenicale del Sole 24 Ore, dopo aver dato notizia di altri due successi italiani nella ricerca su staminali adulte (dal cervello e dal midollo), non resiste alla tentazione di scagliarsi contro chi contesta la ricerca sulle staminali embrionali. “Teocyn”, li chiama, cinici di Dio, dimentico che tra loro si annoverano personaggi come Rita Levi Montalcini e Angelo Vescovi, uno dei nostri più importanti studiosi nel campo delle staminali adulte.
La sindrome che ha colpito Chiaberge (abbinare ritualmente alla notizia dei successi delle staminali adulte l’anatema contro chi contesta l’uso delle staminali embrionali) si manifesta anche in un modo più subdolo. Quante volte ci è capitato di sentire (e ci capiterà) che la legge 40 sulla procreazione assistita, vietando la clonazione terapeutica (cioè la creazione di embrioni a fini di ricerca) vieta la ricerca sulle staminali tout court? Troppo faticoso o imbarazzante aggiungere “embrionali”?
Insomma, ogni volta (sempre più spesso) che si registra un successo nella ricerca e nelle applicazioni terapeutiche legate alle staminali adulte, sulle quali c’è totale libertà di ricerca, spunta il paladino autonominato della scienza a sottolineare che ben altro si potrebbe ottenere con la clonazione terapeutica (ma finora di questi successi non c’è traccia, nemmeno là dove è consentita e ben finanziata). Oppure si gioca sull’equivoco, e si fa credere che quando si dice “staminali” ci si riferisce sempre a quelle embrionali.
Buona regola di un’igiene minima del linguaggio sarebbe abituarsi a chiamare le cose con il loro nome.
Il Foglio 24/11/2004