DOCUMENTO
DA LONDRA PROPOSTA-CHOC:
«UCCIDIAMO I NEONATI DISABILI»
È questo l’inquietante messaggio lanciato dal britannico Royal College of Obstetricians and Gynaecologists (RCOG) in un documento indirizzato al Nuffield Council on Bioethics.
Il Sunday Times ha dato grande rilievo all’orribile appello del Royal College of Obstetricians and Gynaecologists…
di Riccardo Cascioli
«Dateci la possibilità di uccidere i neonati disabili». È questo l’inquietante messaggio lanciato dal britannico Royal College of Obstetricians and Gynaecologists (RCOG) in un documento indirizzato al Nuffield Council on Bioethics, una influente Commissione privata di Bioetica che la settimana prossima pubblicherà un rapporto sulle decisioni critiche in medicina fetale e neonatale.
Il RCOG, che vanta già una consolidata militanza per la diffusione di contraccezione e aborto, proclama una improbabile neutralità sul tema ma chiede che si apra il dibattito sull’eutanasia attiva in nome del bene superiore delle famiglie, per risparmiare ai genitori il fardello emotivo e il peso economico della cura per un bambino gravemente disabile. L’associazione britannica sostiene paradossalmente che la possibilità dell’eutanasia sui bambini limiterebbe il ricorso all’aborto tardivo: «Se fosse possibile l’intervento deliberato per uccidere i bambini – recita il documento – ciò potrebbe prevenire alcuni aborti tardivi in quanto i genitori sarebbero rassicurati sulla continuazione della gravidanza prendendosi un rischio sull’esito (della gravidanza)». In altre parole: laddove i genitori non vogliono un bambino malato e le ecografie mettono in evidenza la possibilità di un grave handicap ma non la certezza, i genitori stessi possono portare avanti la gravidanza, controllare il bambino che nasce («l’esito») e se è «buono» lo tengono altrimenti lo uccidono.
Il Sunday Times, che ha dato grande rilievo all’appello del Royal College, rincara la dose riportando la testimonianza di una donna, Edna Kennedy, che dopo aver convissuto con un figlio affetto da un grave cancro alla pelle che comporta indicibile sofferenze (morto nel 2003 all’età di 36 anni) si dichiara a favore dell’eutanasia per i neonati.
A dare man forte al RCOG ci sono anche membri influenti della Commissione governativa di Genetica umana, come il professore di Bioetica John Harris, che ha almeno il merito di mettere in ri lievo l’ipocrisia di chi difende l’aborto: «Attualmente si può abortire fino agli ultimi giorni di gravidanza se ci sono grossi handicap del feto, ma non possiamo uccidere i neonati. Cosa pensate che accada nel passaggio attraverso il “canale della nascita” per giustificare l’uccisione del bambino da un lato del canale e non dall’altro?»
Ci sono anche delle reazioni contrarie: Simone Aspis, del British Council of Disabled People, sostiene che il messaggio è che «essere disabili è una brutta cosa e gli adulti disabili valgono meno degli altri membri della società». John Wyatt, neonatologo all’University College Hospital di Londra, dal canto suo afferma che «la maggior parte dei medici e del personale sanitario è convinta che l’introduzione della possibilità dell’uccisione intenzionale nella pratica medica cambi la natura fondamentale della medicina stessa, trasformandola in una forma di ingegneria sociale dove lo scopo è massimizzare i benefici per la società e minimizzare la presenza di quelli che sono considerati senza valore».
«Massimizzare i benefici» sembra infatti il motivo vero che rende così affascinante la proposta dell’eutanasia per i bambini. È lo stesso Sunday Times a farlo capire: l’avanzamento della medicina è infatti tale che permette oggi la sopravvivenza di feti dalle 23 settimane, molti dei quali soffrono o soffriranno di gravi handicap. E il costo per la collettività, riporta il giornale, è notevole e non solo per la cura dei disabili: ogni posto-letto per la cura intensiva neonatale costa l’equivalente di 1.500 euro al giorno e bambini estremamente prematuri possono richiedere una cura intensiva per quattro mesi. Facendo due conti: la vita di un bambino prematuro vale molto meno di 180mila euro.
Avvenire 7 nov. 2006