«L’Iraq? Doveva essere la guerra della sinistra italiana»
di Alessandra Farkas
NEW YORK – «L’Italia deve sentirsi fiera d’aver svolto un ruolo centrale in Iraq. E un eventuale governo italiano di sinistra, erede della grande tradizione antifascista, sbaglierebbe a seguire la strada del disimpegno auspicata da Zapatero: un terribile e tragico sbaglio». Parla Paul Berman, lo scrittore liberal americano il cui nuovo libro «Terrore e Liberalismo» (Einaudi, Stile Libero) sta per uscire in Italia.
«Nello slogan dei terroristi di Madrid, ” viva la muerte “, Zapatero avrebbe dovuto riconoscere subito la parentela col franchismo, rispondendo con lo stesso ” no pasaràn “, simbolo della lotta dei socialisti spagnoli contro la dittatura».
Secondo molti la guerra è stata delegittimata dall’incapacità dell’amministrazione Bush di trovare armi di distruzione di massa.
«La guerra in Iraq era giusta, ma questo prescinde da ciò che si pensa di Bush: un leader che trovo ripugnante, dannoso e assolutamente da sconfiggere a novembre. Ma è la causa che conta, non il leader. E la sinistra italiana dovrebbe dire alla destra: in Iraq e negli altri Paesi dove andremo a liberare popoli oppressi possiamo fare molto meglio di voi, proprio grazie alla nostra grande storia antifascista. Per lo stesso motivo Kerry in Iraq farebbe meglio di Bush».
L’Italia dovrebbe seguire gli Usa in eventuali future campagne contro altri paesi del cosiddetto Asse del male?
«Le società democratiche occidentali hanno l’obbligo di solidarietà nei confronti delle forze progressiste che in Iraq e in altri regimi totalitari del pianeta stanno morendo per costruire una società giusta e democratica. Se ci fossero stati più governi di sinistra come quello di Tony Blair, sarebbe stato meglio anche in Afghanistan».
Come si può giustificare moralmente questa guerra?
«Il regime di Saddam era uno dei più cruenti, oppressivi e tirannici della Storia, ma il problema Iraq va collocato in un contesto più ampio».
Quale?
«Negli ultimi decenni il mondo islamico è stato fagocitato da un’ondata di integralismo panarabo di cui il baathismo è solo un’ala, anche se strettamente imparentata col radicalismo islamico di Bin Laden. Dall’Algeria al Sudan e dalla Siria all’Afghanistan, le vittime di questi “ismi” sono milioni, proprio come quelle dei totalitarismi che hanno insanguinato l’Europa nel secolo scorso. Il terrore islamico ha le stesse radici del nazifascismo e dello stalinismo; la differenza scioccante è che la sofferenza immane da esso inflitta è rimasta invisibile in Occidente».
Come lo spiega?
«Miopia ed ingenuità dell’Occidente, persuaso che il problema sia confinato ai Paesi islamici per cui noi siamo immuni. Razzismo contro l’Islam, unito alla convinzione fallace che “tanto quelli sono incapaci di governi migliori”. La colpa è dei circoli conservatori dietro la politica estera Usa ed europea, per cui bisogna seguire la Realpolitik, non preoccuparsi di idee e diritti umani, appoggiando dittatori che facciano per conto nostro il lavoro sporco. Come Saddam Hussein, una creazione dell’occidente».
La sinistra ha delle responsabilità?
«Aver taciuto di fronte ai nuovi fascismi. Negli ultimi 40 anni la sinistra si è mobilitata contro i dittatori latinoamericani ma non ha fiatato su Saddam Hussein, l’ayatollah Khomeini, i talebani e i baathisti siriani. Gruppi nati come movimenti anticoloniali: un pedigree che per molti ne garantisce la bontà. Eppure Pol Pot avrebbe dovuto insegnarci la lezione».
Cosa può fare la sinistra a questo punto?
«Ciò che ha fatto nell’Europa dell’Est negli anni Ottanta. Gli intellettuali che corsero in aiuto dei dissidenti, creando dal nulla dei miti come Havel – uno sconosciuto senza seguito prima di venire lanciato dall’Occidente – debbono fare autocritica. La propria incapacità nel riconoscere che nel mondo arabo ci sono pensatori moderni le cui idee progressiste sono state ignorate sia da governi che dall’intellighenzia ci sta facendo pagare un costo molto alto».
Che effetto sta avendo il suo libro sulla sinistra?
«Ha provocato un dibattito intenso e straordinario, dimostrando che sbaglia chi pensa che la sinistra sia monolitica e priva di dissenso. Le mie teorie in fondo nascono dai movimenti antifascisti degli anni Trenta, che hanno ispirato la famosa domanda di George Orwell: “Siamo contro fascismo, ma che cos’è il fascismo?”».
© Corriere della Sera, 29 marzo 2004