Bioetica e nuovi steccati


Il dibattito sui limiti o sulle libertà da stabilirsi nei confronti delle pratiche di fecondazione assistita non è certo esaurito, ma la votazione dell’ultima legge ha costituito un momento importante della discussione, per molti aspetti addirittura una svolta.


Infatti, anche se i toni sono stati molto accesi – come sempre quando si tratta di vita e di morte – sono andate in pezzi molte tradizionali contrapposizioni: fra uomini e donne, fra laici e cattolici, fra destra e sinistra. Grazie soprattutto al direttore de Il Foglio Giuliano Ferrara – che ha aperto sul suo quotidiano un dibattito coraggioso e senza preconcetti – non si può più ricorrere allo schema che vede “intellettuali e scienziati” contrapposti a “clericali e conservatori”. La questione infatti è stata posta da Ferrara come centrale, che tutti devono discutere, perché riguarda l’umanità di oggi e ne definisce il rapporto, teorico e concreto, con il futuro. E su questo tema intellettuali, anche di sinistra, hanno osato pronunciarsi a favore di una legge che pone alcuni limiti. Opponendosi all’idea che queste scelte appartengano all’individuo e alla sua sfera morale privata, e che quindi lo Stato non possa esercitare un ruolo di guida nelle scelte etiche.



E’ venuto così in luce come al centro del dibattito, più che il desiderio di concepire un figlio per coppie sterili, ci sia l’idea di esaudire ogni desiderio, a qualsiasi costo. La nuova utopia è infatti quella scientifica, cioè la speranza che la scienza non soltanto permetta di eliminare – se non la morte – ogni tipo di dolore e di frustrazione, ma consenta anche di esaudire i nostri desideri. Non solo si vuole sopprimere il dolore della malattia, ma anche quello che deriva dal mancato esaudimento di un’aspirazione come la maternità e la paternità, nonché il dolore di avere un figlio non perfetto, da accudire e assistere invece che da esibire come un “bel prodotto”. Per realizzare questa utopia alcuni sembrano disposti a tutto, anche a un cortocircuito fra l’irrazionalismo più totale, cioè l’assolutizzazione di un desiderio, e la tecnologia più avanzata. Cosa sarà di questi bambini disperatamente desiderati e poi gelidamente costruiti da un medico, che sceglie gli embrioni migliori, magari conservati per anni nel gelo? Come possono gli aspiranti genitori far coesistere il desiderio primitivo e antichissimo di avere un figlio del proprio sangue nel quale ravvisare somiglianze (ma non debolezze) ataviche e la più avanzata tecnologia?


La questione è molto complessa e non facilmente definibile in base alla dialettica tra “progressisti” e “oscurantisti”. Da parte di chi non vuole porre limiti alla sperimentazione scientifica molte sono infatti le contraddizioni non risolte e gli equivoci non chiariti. Per esempio, la posizione dei Verdi e degli ecologisti, da anni impegnati nella critica a una modernità solo acquisitiva, dove la dimensione tecnologica sembra divorare quella umana. Questi, mentre vegliano sulle manipolazioni genetiche di cavolfiori e fragole, davanti a quelle umane si aprono a ogni tipo di “progresso”. L’utopia scientifica dell’uomo che si mette al posto di Dio e che promette di assicurare, se non la felicità, almeno la rimozione del dolore, è troppo forte anche per loro, che si dipingono votati a resistere alle lusinghe della modernità. La procreazione assistita promette infatti di esaudire un desiderio, ed esaudire i desideri è considerata la formula sicura per la felicità su questa terra. E davanti al mito della felicità individuale anche i Verdi, severi difensori di cavoli e zanzare, perdono la testa.



Ma non sono gli unici disposti a travolgere i loro principi per difendere a oltranza la libertà individuale: ci sono anche le femministe, dimentiche di avere manifestato per anni al grido “giù le mani dal corpo delle donne”, che non sanno vedere come la procreazione assistita costituisca proprio un momento essenziale di questa espropriazione. A differenza di quanto hanno detto molte femministe nell’ultimo dibattito, infatti, è proprio l’ingegneria genetica a togliere alle donne l’esclusiva della maternità e a tramutarle in uteri consenzienti, in cui degli scienziati inseriscono come un prodotto l’embrione, scelto e manipolato da loro. La lotta contro la legge che regola la fecondazione assistita non è quindi il prolungamento di quelle fatte per reclamare l’ultima parola alle donne a proposito di natalità e aborto, ma tutto il contrario. La fecondazione assistita toglie infatti alle donne la centralità nella procreazione, restituendola – rivestita scientificamente – all’uomo. Ma anche per le femministe queste contraddizioni svaniscono davanti all’unica utopia di felicità dell’uomo moderno: quella di controllare il più possibile il destino ed esaudire tutti i propri desideri.



Così come una evidente contraddizione è stata rilevata da Antonio Socci nel corso del dibattito tenutosi a Excalibur su questo tema, quando Giovanna Melandri non ha voluto rispondere alla domanda: “Perché gli embrioni non si possono vendere, ma si possono eliminare, cioè uccidere?”. Tutte le pratiche della procreazione assistita eterologa, nonché l’affitto dell’utero, sono infatti palesemente contradditorie: da una parte è vietato vendere ovuli e spermatozoi (come ogni pezzo del proprio corpo) e farsi pagare per ospitare una gravidanza estranea nel proprio utero, dall’altra queste pratiche avvengono continuamente in cambio di un cospicuo “rimborso spese”. Anzi, negli Stati Uniti affittare l’utero è diventata una professione ben remunerata, come prova il caso di una donna che ha già affrontato dieci gravidanze in affitto, e per l’undicesima ha alzato le tariffe. Non ha tutti i torti: ha un buon curriculum, è una seria professionista e siamo sicuri che non avanzerà mai diritti sui bambini portati in grembo. Individuare queste contraddizioni e discuterne con onestà ci può far capire meglio in che direzione la nostra società si sta avviando.


Lucetta Scaraffia
© Ideazione gennaio-febbraio 2004