(Corrispondenza romana) Il 29 gennaio scorso, l’Assemblea del Consiglio d’Europa doveva discutere del rapporto sull’eutanasia presentato a nome della Commissione delle questioni sociali, della salute e della famiglia, dall’on. Marty (Svizzera, gruppo Liberale).
Questo rapporto, adottato in commissione il 5 settembre 2003 con 15 voti contro 12, è stato messo all’ordine del giorno dei lavori dell’Assemblea suddetta una prima volta alla fine del 2003; durante la sessione del 26 gennaio scorso, il dibattito è stato di nuovo rinviato ad una data ulteriore.
Questi rinvii dimostrano le difficoltà di fondo che sollevano questi rapporti e il loro contenuto. Il rapporto ha avuto origine da una proposta di risoluzione del 4 luglio 2001, presentata dall’on. Monfils (Belgio, gruppo Liberale) e da altri suoi colleghi, tra i quali Gilbert Mitterand (Francia, gruppo Socialista): secondo questo testo, di fronte a pratiche eutanasiche che, pur essendo “una realtà in molti Stati membri del Consiglio d’Europa, sono illegali nella più parte di essi, benché tollerate a certe specifiche condizioni, (.) una recente legge dei Paesi Bassi permette ai medici che accolgono la richiesta di eutanasia dei loro pazienti di sfuggire alle sanzioni, in presenza di alcune specifiche condizioni”.
Il rapporto del 2003 è molto più concreto: se esso si nasconde, all’inizio, dietro considerazioni teoriche di carattere generale, del tipo “esiste uno scarto evidente tra la legge e ciò che accade in pratica” e “bisogna colmare questo fossato se si vuole mantenere il rispetto della supremazia della legge”, successivamente afferma anche che “nessuno ha il diritto d’imporre ad un morente o a un malato terminale di continuare a vivere in un’angoscia e in sofferenze intollerabili quando egli esprime ripetutamente il desiderio di morire”.
Il relatore e la maggioranza della commissione propongono quindi che “l’Assemblea parlamentare inviti i governi degli Stati membri del Consiglio d’Europa a raccogliere e analizzare dei dati empirici sulle decisioni di interruzione della vita, (.) a promuovere l’analisi comparativa e la discussione di questi dati (.)
tenendo principalmente conto dei risultati delle nuove leggi del Belgio e dell’Olanda, in particolare dei loro effetti sulla pratica eutanasica”, e soprattutto ” a domandarsi se si può prevedere di introdurre, là dove ancora non esiste, una legislazione che esenti da ogni sanzione penale i medici che accettano di aiutare i malati incurabili, che subiscono sofferenze intollerabili e senza speranza di miglioramento, a mettere fine ai loro giorni se questi ne fanno ripetuta richiesta, volontaria e con riflessione matura, conformemente a delle condizioni e procedure rigorose e trasparenti fissate dalla legge”.
Le Federazioni europea e internazionale dei medici cattolici (FEAMC e FIAMC) hanno protestato contro il rapporto che “evidenzia una ‘grave’ mancanza di comprensione nei confronti del significato della richiesta di morte dei pazienti in fin di vita”.
Esse deplorano peraltro “che l’eutanasia non sia distinta dalle limitazioni e dalle cessazioni di trattamenti divenuti inutili o rifiutati dai pazienti (che dipendono da una buona pratica medica), né da alcune pratiche di sollievo di dolori persistenti o di angoscie insopportabili, che possono eventualmente condurre a una morte non voluta”.
Le due federazioni hanno ugualmente riaffermato “il rifiuto dell’accanimento terapeutico ingiustificato, il sostegno all’attitudine profondamente umana delle cure palliative, al loro progresso e sviluppo”, così come “all’assistenza dei malati in fin di vita, e ad una comprensione del profondo sconforto che può essere espresso da una domanda di morte, di fronte alla quale l’eutanasia sembra un rimedio semplicista e inumano”.
Corrispondenza romana
– Settimanale –
n.844 del 07 Febbraio 2004
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