Il custode resta al suo posto alla faccia dei falsi buonisti
La decisione di non licenziare e anzi di riaffidare a Diego Lupo il suo ruolo di sorvegliante all’ingresso del museo, servirà a raffreddare un po’ gli animi dei professionisti dell’indignazione per i quali in episodi che vedono coinvolti extracomunitari, gente di colore, islamici o altri soggetti di ambito etnico, il poliziotto, l’agente, il custode o il sorvegliante di turno non solo ha sempre torto, ma il suo comportamento risulta anche immancabilmente ferino…
di Paolo Granzotto
Che nella vicenda della donna velata alla quale è stato impedito l’ingresso a Ca’ Rezzonico abbia prevalso il buonsenso è notizia che ci fa doppiamente piacere. Perché a invocare quel buonsenso siamo stati soprattutto noi e perché la decisione di non licenziare e anzi di riaffidare a Diego Lupo il suo ruolo di sorvegliante proprio lì, all’ingresso del museo, servirà a raffreddare un po’ gli animi dei professionisti dell’indignazione. Per i quali in episodi che vedono coinvolti extracomunitari, gente di colore, islamici o altri soggetti di ambito etnico, il poliziotto, l’agente, il custode o il sorvegliante di turno non solo ha sempre torto, ma il suo comportamento risulta anche immancabilmente ferino e indotto da un evidente raptus razzista. Per rimanere alla cronaca recentissima, la fotografia di una prostituta nigeriana che dopo un selvaggio corpo a corpo (calci, pugni, morsi) con gli agenti che l’avevano fermata s’era accasciata esausta sul pavimento («triste pavimento», come ha voluto precisare Lidia Ravera dell’Unità) fornì ai professionisti dell’indignazione il pretesto per scagliarsi contro le forze dell’ordine che con piglio nazista avevano torturato, proprio così, torturato, quella povera donna oltre tutto impegnata nel sociale perché offriva – è stato scritto, nero su bianco – sesso a pagamento non ai ricchi, ma ai poveri costretti a raccattarlo sui viali di periferia. Quindi è stata la volta del vu’ cumprà che opponendosi anch’egli (deve essere una consuetudine di quella gente) al fermo divincolandosi e tirando botte da orbi era stato «impacchettato», sollevato di peso dagli agenti dell’ordine e condotto in Questura. Anche in questo caso, i professionisti dell’indignazione hanno strillato come aquile accusando la polizia di brutalità, di insensibilità e di razzismo facendo, tanto per caricare la dose, espliciti riferimenti a Abu Ghraib e a Guantanamo. Infine è stato il turno della donna catafratta, con conseguente licenziamento del sorvegliante di Ca’ Rezzonico il quale, regolamento alla mano, le aveva vietato l’ingresso. Solita solfa: razzismo, violazione dei diritti umani, soperchieria, gretta mancanza di rispetto per gli usi e costumi altrui, offesa ai sentimenti religiosi eccetera.
Cosa gli sia preso, ai professionisti dell’indignazione, per darsi tanto da fare, non è dato sapere. Forse il solleone. Forse il desiderio di distrarre l’opinione pubblica dai successi del Cavaliere da un lato, dall’altro dalla sciagura di una sinistra che, senza più una idea, si limita a rimirarsi l’ombelico e a far volare stracci e coltelli. Se poi la loro è una missione di vigilanza democratica, cogliere e denunciare ogni gesto, ogni parola non ritenuta in regola col canone del politicamente corretto, fatica sprecata. Non tanto perché l’opinione pubblica diffida delle cacce alle streghe, ma perché promuovendo a martire, costi quel che costi, la battona nigeriana, il vu’ cumprà marocchino o l’islamica che pretende di introdursi in un luogo pubblico bardata com’era bardata, finiscono non per farci detestare, questo no, non è da noi, ma a renderci meno simpatici, meno graditi, proprio coloro che la sedicente società civile ci intima di amare. E anche di tutto cuore. Se il problema è quello di favorire l’integrazione, non è che si va molto lontano seguitando ad accusare di razzismo chi è incaricato di rispettare le regole e assurgere a vittima sacrificale chi quelle regole infrange o intende infrangere. Intanto, Diego Lupo è tornato al suo posto. E questa è una gran bella notizia, di quelle che fan ben sperare.
Il Giornale n. 206 del 2008-08-29