Don Di Noto: «I Ds hanno bloccato il giro di vite contro la pedofilia»
Intervista al prete coraggio, che combatte la pedofilia, don Fortunato Di Noto. In essa rivela chi ha ostacolato il decreto legge che inasprisce le pene contro i pedofili…
Non chiamatelo investigatore, o peggio, flagello dei pedofili: don Fortunato Di Noto si schermisce, o piuttosto ci rimane un po’ male perchè la sua crociata in difesa dei piccoli, per quanto benemerita, non deve far dimenticare che innanzitutto abbiamo di fronte un ministro di Dio. Parroco di Avola, in Sicilia, questo prete cordiale e disponibile possiede comunque la tenacia del mastino nel lanciarsi alla caccia degli “orchi” che minacciano i bambini e dopo 15 anni non ha ancora mollato la presa.
Così invoca leggi più severe ed efficaci per punire i violentatori dell’infanzia e prevenire i loro misfatti: norme che, denuncia, sono già nero su bianco ma rimangono nel cassetto a causa di una precisa volontà politica.
Don Di Noto, anche di recente vaste operazioni antipedofilia su internet, peraltro originate da sue denunce o segnalazioni, hanno permesso di assicurare alla giustizia un buon numero di pervertiti.
L’impressione è che su questo odioso fenomeno la guardia ormai sia abbastanza alta…
«Credo che la nostra polizia postale e delle comunicazioni, diretta dal dottor Domenico Vulpiani, sia la prima al mondo per efficienza: certamente agisce a livelli eccellenti nel contrasto alla diffusione del materiale pedopornografico e si può essere molto soddisfatti del suo operato. Dispiace invece constatare che il decreto legge che prevedeva l’inasprimento delle pene, firmato anche dai ministri leghisti e approvato in commissione, sia ancora oggi bloccato e rischi di non venire approvato perchè la legislatura ormai è agli sgoccioli».
Chi può aver ostacolato un giro di vite contro la pedofilia?
«E’ presto detto. Il decreto legge risulta bloccato perchè i democratici di sinistra si sono opposti al suo inserimento nel calendario dei lavori. Hanno preferito che al suo posto si discutesse di araldica».
Cosa prevedeva la normativa anti-pedofilia rimasta, al momento, lettera morta?
«Pene più severe per chi venga trovato in possesso di immagini relative ad abusi sui bambini e lotta alla pedofilia virtuale».
Alla pedofilia virtuale?
«Esattamente. E’ un fenomeno in grande espansione. Esiste, ad esempio, una vasta produzione di cartoni animati di soggetto pedofilo, ma si è scoperto anche il traffico di ecografie di nascituri di 7-8 mesi con gli organi genitali in evidenza. Un fotogramma viene venduto a 125 euro, la collezione degli ultimi mesi di gravidanza a 500 euro».
I Ds che frenano il giro di vite in nome della tolleranza, i radicali che operano la speciosa distinzione tra pratica e opinioni riguardo a questa perversione. Non sono begli esempi del relativismo culturale laicista stigmatizzato da Benedetto XVI?
«E’ certamente così, e c’è molto altro: è in atto un tentativo di legittimare la pedofilia da parte di una lobby culturale molto organizzata. Ne ho parlato anche con Roberto Castelli e proprio l’altro giorno ho denunciato 90 siti pedofili “culturali” di molti paesi. Esistono riviste e agenzie che puntano a “normalizzare” una cosa gravissima».
Questa regia che cura la propaganda magari è la stessa che organizza il traffico dei bimbi violentati…
«Il problema è che ancora non si è arrivati alla cupola. Ma se si ragiona sulle proporzioni del fenomeno, con i 2 milioni di bambini coinvolti ogni anno nel traffico e nello sfruttamento, se si considerano le dimensioni dell’organizzazione on line, certo si pensa a una regia comune. Anche per questo si richiede uno sforzo europeo, ad esempio bollando la pedofilia come crimine contro l’umanità. Quanto al nostro paese, bisogna far passare il decreto legge prima che si concluda la legislatura e agire in una logica di prevenzione e informazione».
Dopo 15 anni sul fronte, lei sarà in grado di riconoscere il “nemico”. Voglio dire, può farci un identikit del pedofilo telematico?
«Non è facile, anche se vi sono elementi ricorrenti. L’età varia sempre ma possiamo dire che, mediamente, non supera i 40 anni. In genere questi soggetti posseggono una cultura media e sono di estrazione borghese. Recentemente si assiste a una crescita esponenziale di minori trovati in possesso di materiale pedopornografico. E anche se la percentuale è ancora bassa, si aggira sul 4-6%, fanno la loro comparsa anche le donne. Nell’ambito famigliare, per il 39% dei casi, si tratta di un conoscente. Fuori dalla famiglia, educatori, allenatori…».
…E, spiace dirlo, qualche prete indegno. I freddi numeri dicono che i sacerdoti cattolici, nonostante la campagna scandalistica, sono meno coinvolti di pastori luterani o rabbini. Però le mele marce ci sono.
«E’ così, ma non si può parlare per categorie: se un sacerdote si macchia di questa grave colpa si tratta di una responsabilità personale. Con ciò la condanna deve essere estrema, Giovanni Paolo II ha detto che non c’è posto nella Chiesa per queste persone».
Poi c’è un prete come lei, investigatore on line di prim’ordine. Come è nata questa “vocazione”?
«Non ho fatto l’investigatore, sono un parroco che ricorda la frase dell’esodo: “vide la sofferenza del suo popolo e se ne prese cura”. In Italia scompaiono duemila bambini ogni anno, mentre si ha notizia di altri settemila non accompagnati. Sono tutte potenziali vittime dei traffici che vanno dagli abusi sessuali all’espianto di organi. Nel 1999, al mio primo collegamento on line, mi erano capitate davanti le immagini di queste vittime, foto di bambini violentati. Mi sono chiesto, “cosa posso fare”. E ho pensato che se, collaborando con la polizia, fossi riuscito ad aiutare anche solo uno o due di quei piccoli, ne sarebbe valsa la pena».
di Giulio Ferrari
La Padania [Data pubblicazione: 13/01/2006]