Il testo è tratto dalla pag. 79 del libro di Claudio Risè “Il Padre. L’assente inaccettabile” ed. San Paolo.
Nell’insieme dei paesi occidentali, come nota Sanford Benver, psicologo all’Università di Stato dell’Arizona, circa il 70% delle rotture matrimoniali avviene per iniziativa femminile. Alla rottura del matrimonio, la madre è spinta sovente, e sempre poi sostenuta, dal variegato gruppo di operatori interessati nella fabbrica dei divorzi. Il fenomeno non è difficile da capire: la rottura della famiglia è lo strumento indispensabile perchè l’attività di coloro che Michel Foucault chiamava “gli ortopedici dell’anima” generalmente stipendiati dalla fabbrica dei divorzi, possa dispiegarsi efficacemente e moltiplicarsi in modo redditizio. Nei soli Stati Uniti, tre su cinque rotture familiari coinvolgono bambini: più di un milione di bimbi americani all’anno vengono dunque presi dagli ingranaggi della Fabbrica dei divorzi. Anche in Italia a chiedere la fine dell’unione matrimoniale sono soprattutto le donne, in misura non diversa dal dato medio occidentale. Secondo l’Istat nel 1998 le domande di separazione presentate dalla moglie, costituiscono il 67,9 % dei casi, più del doppio di quelle presentate dal marito (32,1%). L’aspetto dell’autonomia economica della moglie, che si separa più facilmente se il marito non è al suo livello di reddito, sembra rilevante: “Nel caso in cui la donna sia occupata, la percentuale si eleva al 69,8%, mentre se è casalinga scende al 66,6%.