Contro la cosiddetta ‘riduzione’ embrionale

Assistiamo in questi ultimi anni ad una sorta di tentativo da parte della comunità scientifica di riportare nell’ambito della “normalità” alcuni interventi, compiuti da medici, che in sè si presentano invece molto discutibili sul piano etico in quanto comportano la soppressione diretta di una vita umana. In altre parole, si cerca di conferire il carattere di atto medico ad interventi che di medico hanno veramente molto poco.

E’ il caso della cosiddetta “riduzione” embrionale, cioè l’intervento di aborto selettivo di alcuni embrioni, risparmiandone altri, in una gravidanza multipla dovuta per lo più ad un procedimento di procreazione medicalmente assistita.


Come è noto, infatti, tanto i trattamenti ormonali per l’induzione dell’ovulazione nell’infertilità quanto le tecniche di procreazione assistita (FIVET, GIFT, ecc.) hanno portato ad un significativo aumento delle gravidanze multiple con il relativo incremento delle possibili complicanze materne e/o fetali. Così, per ovviare alle inevitabili conseguenze negative delle gravidanze multiple, si è cominciato a prospettare nella letteratura la riduzione embrionale, con l’obiettivo di migliorare la prognosi materno-fetale, riducendo a due o tre il numero degli embrioni. Si sono, perciò, prodotte raccomandazioni delle società scientifiche di ostetricia e ginecologia, organizzati convegni, finanziate attività di ricerca su quali siano le modalità migliori per realizzare questo intervento, come se si trattasse di un qualsiasi intervento terapeutico.


E’ evidente, invece, che tale tecnica abbia gravi ripercussioni sul piano giuridico ed etico-morale, in quanto sono improponibili sia la sua compatibilità con le stesse legislazioni in materia di aborto, sia le argomentazioni addotte per la sua giustificazione etica. Spesso, infatti, sulla stampa medica la riduzione selettiva degli embrioni è dipinta come un progresso della scienza che “consentirebbe oggi di evitare alla gestante il trauma dell’interruzione della gravidanza”, come se la riduzione non fosse ugualmente una interruzione della vita di alcuni embrioni anche se gli altri potranno, nella migliore delle ipotesi, continuare a vivere.


Vogliamo perciò proporre un ripensamento sul presunto significato terapeutico della riduzione embrionale ritenendo, caso mai, che sia doveroso indirizzare i fondi della ricerca e le energie dei ricercatori verso un miglioramento del trattamento medico ormonale e dei protocolli di procreazione assistita, piuttosto che verso un’affinamento delle tecniche di riduzione embrionale.


Gli aspetti medici della riduzione embrionale


Si tratta come si è detto di un intervento chirurgico ostetrico che consiste nel sopprimere uno o pi embrioni di una gravidanza pluri-gemellare (quindi ridurre il numero degli embrioni che hanno iniziato il loro sviluppo) e favorire il proseguimento della gravidanza con i rimanenti embrioni. Nella letteratura medica sono riportate però altre “indicazioni” alla riduzione embrionale, come la soppressione di uno o pi gemelli, anche di una gravidanza spontanea, in cui le indagini di diagnosi prenatale abbiano indicato la presenza di malformazioni congenite e/o cromosomopatie; o addirittura la soppressione di uno o pi gemelli in caso la donna dichiari di non essere in grado di poter accudire tutti i neonati. Questi altri casi rappresentano certamente situazioni limite ma in una recente casistica statunitense tali “indicazioni” sono risultate rispettivamente il 17% e il 9% delle riduzioni embrionali effettuate.


E’ chiaro, perciò, che la riduzione embrionale si collega da un lato con la crescente diffusione delle tecniche di procreazione assitita che ha provocato l’aumento di frequenza di gravidanze gemellari di alto ordine (con quattro o pi embrioni); dall’altro con le acquisizioni e il background tecnico e culturale della diagnosi prenatale che ha permesso una più fine diagnosi di patologie per le quali, purtroppo, non ci sono attualmente prospettive terapeutiche. Tali sviluppi tecnici costituiscono, dunque, i fattori permittenti senza i quali non esisterebbe il problema della riduzione fetale.


Circa la frequenza delle gravidanze gemellari di alto ordine (più di 4 embrioni) questa aumentata negli ultimi anni a causa di un incontrollato e spregiudicato utilizzo di tecniche per la riproduzione assistita.


Molti operatori, infatti, ritengono che immettere pi embrioni nell’utero della donna aumenti le possibilit che almeno uno si impianti e prosegua la gravidanza. Spesso, però, avviene che tutti gli embrioni immessi si impiantano e si arriva così ad avere gravidanze anche con 7 o pi embrioni.


Con l’aumento del numero degli embrioni (in particolare più di tre) aumentano però le complicanze materno-fetali, direttamente proporzionali al numero degli embrioni presenti in utero. In particolare, aumenta la percentuale di parti pretermine e il neonato pretermine ad alto rischio di gravi sequele metaboliche e neurologiche. Per tale motivo l’instaurarsi di una gravidanza con pi di tre embrioni considerata una complicanza (iatrogena) delle tecniche di riproduzione assistita. Le tecniche più utilizzate per “eliminare” gli embrioni in sovrannumero prevedono l’iniezione, sotto la guida di un ecografo, nel torace o nel cuore fetale di una soluzione a base di cloruro di potassio o di soluzione salina. In questo caso, si pensa che la morte del feto sia dovuta all’azione meccanica dell’ago unita all’aumento di pressione intratoracica con conseguente arresto cardiaco.


Esistono alcuni dati sulla tossicit del cloruro di potassio negli embrioni che rimangono vivi per cui l’intervento non è senza problemi: il tasso medio di aborto “spontaneo” dei restanti embrioni , infatti, circa il 15% e oscilla dal 9 al 40 per cento. Ma vengono riferite anche altre complicanze legate alla tecnica operatoria eseguita, come sepsi, metrorragie etc; la possibilità di sequele psichiche sia nella madre sia nei bambini sopravvissuti, così come nei familiari etc.).


Le implicazioni giuridiche ed etico-deontologiche



Da più parti, diversi Comitati etici e alcune legislazioni nazionali hanno preso in considerazione le implicazioni etico-deontologiche della pratica della riduzione embrionale cercando di prevenire anche per legge i fattori favorenti, come la introduzione in utero di più di tre embrioni nel corso delle procedure di fecondazione assistita. Così, la legge emanata nella Germania Federale sulla tutela degli embrioni commina la reclusione fino a tre anni o una multa a “chi effettua il transfer in una donna di oltre tre embrioni all’interno di un medesimo ciclo”.


Anche altre recenti normative sugli interventi di procreazione assistita limitano a tre il numero di embrioni o di ovociti da trasferire nel corso di un singolo ciclo di trattamento, proprio allo scopo di diminuire l’incidenza delle gravidanze multiple.


Analoghe indicazioni sono state date dal Comité Consultatif National d’Ethique francese, il quale in un suo Avis del 1991 ha rilevato, tra l’altro che la REF non debba costituire una legittimazione di scarsa prudenza del medico nell’applicazione delle tecniche di procreazione assistita. Infine, il Comitato Nazionale per la Bioetica italiano ha fatto a sua volta presente che non esisterebbero indicazioni mediche alla riduzione embrionale di gravidanze trigemine


Sul piano strettamente giuridico vi è, infine, il problema di come configurare tale intervento in relazione alla legislazione sull’aborto. Attualmente in Italia si adduce a giustificazione dell’intervento la stessa legislazione sull’aborto anche se, di fatto, non risulta che vengano seguite le procedure previste dalla legge 194/78. In realtà non trattandosi di una interruzione della gravidanza ma la soppressione di alcuni feti e il mantenimento in vita di altri, dovrebbe essere inquadrata nella fattispecie propria dell’embrionicidio, così come è stato proposto nella Commissione italiana di riforma del Codice penale.


Ci sembra, in conclusione, che alcuni punti etici siano irrinunciabili:


la soppressione diretta, selezionata, di embrioni sani in una gravidanza multipla giustificata dal fatto che questo serve per salvare gli altri e/o la madre è contraria al principio del rispetto della vita umana;


la riduzione selettiva del gemello malformato si configura come un intervento eugenetico che è inaccettabile sulla base del rispetto dovuto ad ogni essere umano, qualunque sia il suo grado di salute, oltre a costituire, l’intervento, un rischio concreto per il gemello sano;


fra le informazioni che devono essere fornite alle coppie prima di procedere ad interventi di procreazione assistita vi devono essere quelle relative al rischio di una gravidanza multipla;


nella realizzazione di protocolli e normative per l’attuazione delle tecniche di procreazione assistita occorre che venga richiesto un più adeguato trattamento ormonale e/o una limitazione (a due o tre al massimo) del numero di embrioni o ovociti trasferiti così che non sia più prospettabile un intervento di ridizione in futuro. Nel caso della FIVET rimangono ovviamente tutte le obiezioni etiche di principio relative alla modalità di fecondazione in sè;

il medico che è responsabile della induzione di una pluriovulazione o che trasferisce più di tre embrioni in utero ha il dovere di farsi carico personalmente delle conseguenze che una gravidanza multipla può comportare. D’altra parte, l’ostetrico si trovasse di fronte ad una donna con gravidanza multipla deve poter sollevare obiezione di coscienza in merito all’intervento di riduzione embrionale pur non essendo esonerato dal prestare tutta la propria assistenza alla donna e a tutti gli embrioni della gravidanza gemellare.


Documento n. 2/1996
Centro di Bioetica
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