Così l’Einaudi ”salva” il comunismo italiano

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UN TESTO CONTRADDITTORIO


Nel “Dizionario del comunismo nel XX secolo” pubblicato da Einaudi si nota una discrepanza tra i temi affidati a storici di impostazione marxista e storici di diversa estrazione. La voce “Carestie“, per esempio, spiega come queste ultime nei Paesi sovietici non furono tragedie deliberate, ma «tentativi» falliti di risolvere il problema della fame…

Il primo volume del “Dizionario del comunismo nel XX secolo (A-L)“, edito in questi giorni dalla Einaudi (a cura di Silvio Pons e Robert Service, pp. 535, 68 euro) è un’opera molto interessante. Non tanto per chi voglia studiare il comunismo, quanto per chi è interessato a comprendere il fenomeno del postcomunismo, in particolare a comprendere come da parte degli storiografi ufficiali del Pci-Pds-Ds sia stata condotta – a seconda dei punti di vista – la resa dei conti o la mancata resa dei conti con il comunismo. La sua realizzazione appare infatti affidata al gruppo dirigente dell’Istituto Gramsci con la stesura soprattutto delle voci riguardanti il comunismo italiano da parte del presidente (Giuseppe Vacca), del direttore (Silvio Pons) e del vicedirettore (Roberto Gualtieri) della Fondazione. Un collettivo che ha un’interessante dialettica interna, come ha recentemente evidenziato Salvatore Sechi nel saggio “L’ircocervo comunista” su “Nuova Storia Contemporanea” diretta da Francesco Perfetti, ma che è comunque incardinato su «la difesa della memoria del vecchio Pci». Il coinvolgimento di alcuni studiosi non postcomunisti – come Vittorio Strada, Nicolas Werth e Victor Zaslavsky – è molto limitato (solo 2 “voci” del tomo): un’autocertificazione di pluralismo e obiettività tenendo queste voci critiche lontane dal comunismo italiano. La tesi di fondo che anima la stesura del lemmario è infatti la contrapposizione radicale tra comunismo italiano e comunismo sovietico. Sin dalla relazione introduttiva si sostiene questa idea: «I comunisti hanno seguito i percorsi più diversi nella storia del XX secolo. Quando non hanno avuto il potere, hanno contribuito a lotte di emancipazione sociale e di liberazione. Quando lo hanno avuto, hanno instaurato regimi oppressivi e liberticidi». Il fine esplicito è pertanto quello di separare il comunismo italiano dall’insieme del mondo comunista ed in particolare dal movimento a guida sovietica. Ciò comporta la negazione del comunismo come soggetto unitario per cui lo strumento del Dizionario è usato per suggerire una molteplicità di esperienze diverse e contrastanti attraverso la compilazione di “voci” che sono saggi ricchi di interpretazioni soggettive e avari di fatti oggettivi. Per il Pci si deve quindi parlare solo di errori, ma nessuna colpa: questo è il punto di partenza e di arrivo. Il comunismo italiano si configura come una sorta di Lega Nord contro la “terronia” del “socialismo reale”. Siamo di fronte a una “linea politica” dogmatica che si traduce in una collezione di omissioni e di falsità. Infatti: che senso ha un “Dizionario del Comunismo” – che sin dalla Premessa si propone come “opera enciclopedica” se si presenta privo di “voci” quali Rivoluzione, Capitalismo e Classe operaia? La Rivoluzione compare sotto “Mito della Rivoluzione” e per il protagonista della lotta di classe si rinvia a un generico “Operai”.
LA RIVOLUZIONE CANCELLATA
Il comunismo nel XX secolo è stato forse un fenomeno inter- classista animato da mitomani? Basterebbe ricordare l’uso che per decenni Giuseppe Vacca ha fatto del termine “rivoluzione” per giustificare ed esaltare ogni scelta politica del Pci (a cominciare dalla «rivoluzione antifascista» nel pensiero di Palmiro Togliatti) ed il ruolo centrale delle categorie “classe operaia” e “capitalismo” (italiano ed europeo) che ha contraddistinto la letteratura e la convegnistica dell’Istituto Gramsci tra il 1959 ed il 1989.
L’EPURAZIONE DI LUIGI LONGO
Inoltre perché limitare i dirigenti del Pci solo alla triade Gramsci, Togliatti e Berlinguer aggiungendovi Giorgio Amendola e abolendo Luigi Longo che ne è stato vice-segretario dal ’45 al ’64 e poi segretario fino al ’72 e presidente fino al 1980? Eppure Longo è stato protagonista della gestione dei rapporti con l’Urss e dell’articolazione delle prese di distanza dal Pcus come quella in occasione dell’occupazione della Cecoslovacchia nel 1968. Certamente egli è la contraddizione fisica di ogni tesi sulla estraneità del Pci dal “mondo sovietico”. Ma vediamo alcuni esempi di omissione e falsità sul Pci. Gramsci compare come una sorta di fondatore del Dissenso antisovietico, della democrazia occidentale e quasi precursore di De Felice nell’analisi del consenso di massa al fascismo. In realtà nella pur lunga ed analitica “voce” nulla si dice dell’avventura dell’occupazione delle fabbriche nel 1920, della rottura dell’unità antifascista dopo l’assassinio di Matteotti e la partecipazione del Pci al Parlamento dominato dai fascisti per ben due anni dall’ottobre del ’24 al novembre del ’26. La sua conquista della segreteria del Pci nel ’26 è ricordata per l'”originalità” delle sue tesi e non come un’operazione svolta con il pesante appoggio del Comintern per eliminare il fondatore del Pci, Amadeo Bordiga, in quanto critico di Stalin. Si esalta per pagine il suo pensiero non dicendo però mai una parola sulle categorie fondamentali di Gramsci nell’azione del Pci dall'”intellettuale organico” alla concezione machiavellica del Partito come “moderno principe”. Si arriva addirittura a sostenere che il suo concetto di “egemonia” è «incompatibile» con «la dittatura del proletariato», dimenticando tutti i convegni dell’Istituto Gramsci dedicati appunto al “leninismo” dei suoi “Quaderni dal carcere”. Giorgio Amendola è incluso con l’intento di dare maggior rilievo a chi nel Pci, anche se in minoranza, è stato il leader politico più di destra. Ma il fatto che sia stato il più attento ai rapporti con il Psi (fino ad essere il firmatario del Pci dei “patti” unitari) non compare. Quando si deve accennare ai suoi contrasti con Togliatti non si esita a rovesciare la verità. Si scrive infatti che sulla destalinizzazione la differenza tra i due dipendeva dal fatto che «Togliatti non condivideva un approccio incentrato sulla denuncia del “culto della personalità”», inducendo il lettore a credere che il segretario del Pci avesse una visione più radicale e profonda. Al contrario, il contrasto riguardava il ruolo frenante che Togliatti svolse sia nel ’56 (dopo il rapporto Kruscev) sia nel ’61 (dopo il rilancio della denuncia dello stalinismo), ed era incentrato proprio sul tema delle “corresponsabilità” (come la chiamava Amendola) del Pci e di Togliatti (è forse il caso anche di ricordare che l’articolo di Amendola sul partito unico è del 1964 e non del 1965: in un’opera che si propone come strumento di consultazione l’esattezza delle date è utile). La “voce” su Berlinguer è tutto un inno alla elaborazione ed azione del Pci nel segno della più totale autonomia dal Pcus. Ora, è indubbio che Berlinguer sia stato un grande innovatore e che a lui si debba l’esperienza più positiva del Pci nella storia repubblicana. Ma anche in questo caso, non bisogna dimenticare il suo costante riferimento a Lenin. La “diversità” del Pci fu una costante in Berlinguer, usata non in contrapposizione al Pcus, ma agli altri partiti italiani e alla socialdemocrazia europea. Venne da lui motivata brandendo il richiamo diretto a Lenin. Così è un’esagerazione citare il discorso fatto da Berlinguer nel novembre del ’77 a Mosca come il punto più alto dell'”eurocomunismo” e della contrapposizione ai sovietici. Berlinguer parlò per 6 minuti (prima di cedere la parola proprio al segretario fantoccio del Pc cecoslovacco) intervenendo ai festeggiamenti dell’anniversario della rivoluzione d’Ottobre, mentre il Pc francese aveva rifiutato di parteciparvi e al Pc spagnolo fu vietato di intervenire. Più in generale, seguendo il criterio della separatezza e della contrapposizione tra Pc in Occidente e Pc al potere la principale deformazione che si produce è il ridimensionamento storico del Comintern e di tutto il tessuto che caratterizza il comunismo come “movimento operaio” e “movimento operaio internazionale” (altre categorie fondanti del comunismo assenti dal lemmario).
IL COMINTERN CANCELLATO
Il risultato è la sostanziale cancellazione del ruolo centrale svolto dal Comintern, e in particolare di quanti si sono occupati del rapporto tra Mosca e i partiti comunisti in Occidente da Evzen Fried (Clément) a Jules Humbert-Droz e figure chiave come Victor Serge. Omissioni e falsi anche particolarmente sconcertanti: nella voce dedicata a uno dei principali filosofi marxisti, Gyorgy Lukàcs, si cita come esempio di «contributo antidogmatico, antisettario ed emancipatore» il volume “La distruzione della ragione” pubblicato nel 1954. Lukàcs avrebbe poi fatto parte del governo Nagy nel ’56, ma quel libro rientra nella produzione più stalinista e di totale chiusura dogmatica. In esso tutti i filosofi che non sono nell’asse Hegel-sinistra hegeliana-Marx sono bollati come corresponsabili dell’imperialismo e del nazismo: da Schopenhauer a Kierkegaard, da Max Weber a Carl Schmitt e Wright Mills. È tutta una galleria negativa di irrazionalisti precursori o successori di Hitler. In effetti anche i curatori di questo Dizionario – parafrasando il motto di Lukàcs secondo cui «il peggior paese comunista è pur sempre meglio del miglior paese capitalista» – intendono suggerire che il Pci, pur con i suoi limiti ed errori, ha rappresentato il meglio dell’Italia dal 1921 al 1991.


di Ugo Finetti
LIBERO 21 dic. 2006