di Giuliano Ferrara (“Panorama” del 28 giugno 2004)
Nella costituzione voluta dai francesi non c’è alcun riferimento alle radici cristiane. Non si sono voluti misurare con l’eredità, con la continuità, con il peso della tradizione.
Ho ascoltato alla radio una persona che stimo, il filosofo Giulio Giorello: diceva che non si può mettere un riferimento al Cristianesimo nella costituzione europea o nel trattato costituzionale perché sennò bisognerebbe riferirsi anche all’eredità degli Unni o dei Sumeri. Ma come è possibile che un uomo intelligente dica cose tanto risibili? Che ignori il fatto irrecusabile della vittoria del Cristianesimo e della sua idea di persona nel forgiare in forme diversissime, di cui persino l’Illuminismo e i diritti universali dell’uomo sono espressione, ciò che siamo e ciò che vogliamo? È possibile, perché è in decadenza da decenni la cultura storica, tutti parlano della memoria, magari della memoria collettiva, ma alla fine prevale sempre l’impronta della sociologia o del diritto o la decostruzione della realtà nelle sue possibili e prevaricanti interpretazioni, insomma nessuno ha davvero voglia di misurarsi con l’eredità, con la continuità, con il peso effettivo della tradizione nella costituzione (parola a doppio significato, che allude a una carta ma anche a un processo in divenire) del reale che noi siamo.
Mi fanno sorridere quanti pensano che la questione del nome cristiano nel trattato riguardi il problema di far contento il Papa o che si esaurisca in analisi di comparatismo costituzionale, fare come fanno o non fanno gli americani, che nella Dichiarazione di indipendenza hanno il Creatore e nella costituzione snella, seria, duratura, bella, hanno il muro di separazione tra Chiesa e Stato. La storia conta, e solo la storia. Gli americani sono nati come nazione in fuga dalle guerre di religione, e 200 e più anni fa i deisti padri della patria pensarono di risolvere con un po’ di sana ambiguità la questione che chiamavano del “desestablishment” della religione: tolsero riferimenti al Cristianesimo e a Dio perché erano troppo religiosi come comunità. Tuttavia, è sempre all’ordine del giorno, nell’America contemporanea, si parli della Corte suprema o dell’educazione nelle scuole o del costume nazionale e di ciò che è stampigliato nella moneta, il fattore religioso, intrinsecamente legato alla questione della politica e della sua legittimazione.
L’Europa, sempre per parlare di storia e non di pseudoconcetti, come diceva don Benedetto Croce, teorico sommo di una laicità non confessionale e non bigotta nel laicissimo saggio Non possiamo non dirci cristiani, è in una situazione diversa e opposta. L’Europa con il Terrore rivoluzionario e con Friedrich Nietzsche, con il comunismo ateo e il nazismo paganeggiante, ha tagliato la testa al re, al popolo e a Dio per 200 e più anni. Ha incoronato il laicismo a nuova religione di stato e unica religione di stato. Si è imposta un modello moderno di tipo nichilista e relativista che è largamente divenuto un problema, e che l’offensiva islamica sta facendo tremare dalle fondamenta. È dunque storicamente opportuno che, per dirla con George Steiner, che non è un buon curato di campagna ma il maggiore intellettuale di diritto accademico europeo, si metta kantianamente nel preambolo della sua anima “un minuscolo promemoria con le immagini degli assoluti che non vanno trasgrediti”, perché si può essere religiosi “in un senso molto preciso” come dice sempre Steiner nell’intervista a Esprit ripubblicata da Vita e pensiero, nel senso di sapere “che il nostro piccolo cervellino è molto più piccolo degli interrogativi che si pone” e che questo è già un “principio di trascendenza” di cui non dovremmo fare a meno.
Il Cristo mancante nel preambolo laicista del Trattato non è quello della fede, che appartiene o no a ciascuno personalmente e alla Chiesa come entità separata rigorosamente dallo Stato, quel Cristo assente è l’umile riconoscimento, dovuto alla ragione e in altre forme presente nella magnifica costruzione costituzionale americana, del fatto che la legge non si fonda sulla legge, che gli uomini sono signori della politica e dello Stato per un’elezione in cui a decidere del loro diritto a dirsi padroni della società sono anche la natura, il creato e magari il concetto di Creatore. E non sono questioncelle di filosofia per i licei, sono carne viva del processo che ha portato all’Europa allargata a Est, alla Chiesa trionfante di Giovanni Paolo II che ha costruito insieme con i missili di Ronald Reagan l’Europa unita, la Germania riunificata, l’integrazione con gli slavi, tutte cose possibili solo e soltanto con l’abbattimento del muro che separava gli uomini dalla libertà e un’idea totalitaria e paradisiaca e comunista della libertà dai confini che il senso del divino, anche quello laico e non confessionale, si incarica di ricordare.
Ora il problema non è il referendum, che si può fare o non fare, né un rigetto di principio di una carta fatta di burocratemi invece che di filosofemi. Il problema è che abbiamo sofferto, per mano francese e belga, di una sconfitta sul terreno che più dovrebbe premerci, quello di un ristabilimento dell’identità civile del nostro modo di essere e di vivere, nel momento in cui massimamente questo ristabilimento è decisivo per saperci difendere non dall’Altro, che accogliamo anche e sopra tutto in virtù del magistero cristiano della tolleranza e dell’amore, ma dal Nemico, che taglia le teste degli uomini e di Dio, come un tempo facevamo noi.