Intervista ad Oswaldo Payá, dissidente cubano
Oswaldo Payá è uno dei più noti dissidenti cattolici cubani ed ha già ricevuto numerosi riconoscimenti a livello internazionale, tanto che anche quest’anno è uno dei candidate al premio Nobel per la pace. Alcuni giorni dopo la notizia della rinuncia al potere di Fidel Castro ha rilasciato l’intervista che di seguito riportiamo. Vale la pena leggerla dato che Payá è una voce autorevole per comprendere come il popolo cubano stia vivendo questa delicata fase della sua storia…
Rifiutiamo riforme cosmetiche
Intervista ad Oswaldo Payá, dissidente cubano
Oswaldo Payá, 56 anni, é oggi uno dei dissidenti cubani più conosciuti e stimati anche all\’estero. Nel 2002, sfruttando una "breccia" nella Costituzione cubana, raccolse un numero sufficiente di firme per inviare all\’Assemblea Nazionale un progetto per la realizzazione di un referendum sulle riforme politiche e l\’apertura del regime. Come si poteva prevedere, il progetto fu dimenticato nel cassetto dal Legislativo e, come risposta ad esso, Fidel Castro fece approvare una legge che dichiarava "irrevocabile" il regime comunista del Paese. La "pubblicità" riguardo a questa proposta, attirò a Cuba, in uno storico viaggio, l\’ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter. Durante la visita, nella quale gli fu permesso di pronunciare un discorso senza precedenti alla televisione cubana, Carter incontrò Payá e manifestò pubblicamente l\’appoggio alla sua iniziativa parlamentare, che prese il nome di Progetto Varela.
La sera di venerdì scorso – ancora sotto l\’influsso dell\’annuncio inaspettato della rinuncia di Fidel tre giorni prima – Payá ha ricevuto il giornalista del giornale Estado di San Paolo, nella sua casa del Cerro, povero e sperduto comune nella periferia dell\’Avana, e ha concesso la seguente intervista.
Signor Payá, lei crede che l\’annuncio di Fidel Castro della settimana scorsa, secondo cui dovrebbe lasciare il l\’incarico principale del governo cubano, apra qualche spiraglio all\’ottimismo in relazione all\’adozione di qualche riforma?
C\’è spazio per l\’ottimismo perché l\’uscita di scena di Fidel segna la fine di una tappa e l\’inizio di un\’altra. Segna un governo che termina. C\’è spazio per l\’ottimismo, non perché il governo si disponga a cambiare, ma perché è il popolo cubano a desiderare ardentemente un cambiamento. Tutto quello che io spero è che le persone che governeranno non sbattano la porta in faccia al futuro. Non chiediamo potere, ma diritti.
Cosa spiegherebbe la relativa apatia con cui il popolo cubano ha accolto la notizia?
Il momento che stiamo vivendo porta con sé una lezione di vita e di storia. In circostanze normali, in qualunque Paese del mondo, l\’uscita di scena di un governante che è stato al potere praticamente per 50 anni provocherebbe grande commozione. Ma a Cuba, come voi del giornale Estado avete potuto constatare, non vi è stata nessuna grande reazione. L\’annuncio della decisione di Fidel è stato importante perché, fino a questo momento, c\’era grande incertezza sul fatto che continuasse o meno al potere. Il silenzio delle strade non è solo il riflesso di questa incertezza, ma è indice anche di quanto la popolazione si senta repressa e spaventata, anche quando si tratta di piangere l\’allontanamento di Fidel. Davanti alla sorpresa dell\’annuncio, non c\’è stata chiarezza sul modo in cui la popolazione avrebbe dovuto reagire. Il popolo cubano desidera davvero, nel suo intimo, un cambiamento reale dei cuori e delle menti dei suoi governanti e dei suoi amici, vicini, parenti etc. .
Crede in un cambiamento culturale del popolo cubano?
Questo cambiamento culturale è possibile, anche se non ha la libertà di manifestarsi apertamente in merito a questo tema. Deve aver notato una certa apatia per le strade, ma questo accade semplicemente perché i cubani non si sentono liberi di esprimere ciò che realmente sentono. È bene chiarire una cosa: il motto del regime è veramente una condanna: "O socialismo o morte". Credo che questo dica tutto. Davanti a tutto questo, spetta a ciascuno scegliere l\’alternativa che gli conviene. Il motto del nostro movimento, differentemente da come viene presentato è: "libertà e vita". A ciò aggiungo la parola "fraternità".
Crede che coloro che saranno scelti per dirigere il Paese, durante la riunione dell\’Assemblea Nazionale di questa domenica, saranno disposti a promuovere queste?
Guardi, davanti a tutto ciò che oggi si vede nel Paese, i successori di Fidel -chiunque essi siano- hanno l\’obbligo morale di promuovere le riforme e di non sentirsi in diritto di appropriarsi del Paese. I cambiamenti sono possibili e fattibili. Abbiamo la regola di porre la nostra fiducia in Dio e nel popolo cubano. Le riforme sono possibili e si apre per esse uno spiraglio di opportunità. Il nostro movimento è, prima di tutto, umanista e in nessun modo squalifichiamo a priori le persone che oggi sono al governo. Sappiamo che possiedono la capacità politica per dirigere un processo di riforme. Dio voglia che abbiano anche la volontà politica per portare avanti queste riforme.
Come dovranno agire i successori di Fidel?
Ciò che non potranno fare è di credere che sono gli unici capaci di attuare questo processo di riforma. Se vorranno dimostrare al popolo la loro volontà di portare avanti i cambiamenti, dovranno prima di tutto liberare i prigionieri politici. Poi saranno moralmente obbligati a garantire la libertà di espressione, di riunirsi, di organizzarsi in sindacati per i lavoratori – cosa che Lula (il presidente del Brasile Luiz Inácio Lula da Silva) non copiò da Fidel quando è stato qui in gennaio.
Ci sono differenze sostanziali tra i tre favoriti alla carica di presidente del Consiglio di Stato: Raúl Castro, Carlos Lage e Felipe Pérez Roque?
Non importa chi sarà il successore di Fidel; egli dovrà cambiare le leggi per garantire i diritti dei cittadini. La società cubana non accetterà un cambiamento solo cosmetico, che serva unicamente a dissimulare la situazione attuale. Cuba ha attraversato un periodo di 50 anni di totalitarismo e ora non ci interessa il "socialismo buono". Vogliamo la libertà senza riduzioni o relativismi.
Ha intravisto qualche segno di una possibile reazione dei cubani nel caso in cui il regime resista ad attuare i cambiamenti?
No. I cubani per natura non hanno ciò che si é soliti chiamare odio di classe. Ma c\’è un gruppo che si è arroccato al potere da quasi 50 anni. Da molto tempo questo gruppo difende i propri interessi e mantiene la sua sete di potere con un\’arroganza che si è vista poche volte nella storia dell\’umanità. E a quest\’arroganza le si da il nome di sovranità nazionale e di indipendenza. I membri di questo gruppo si appoggiano sulla tesi che qualunque segno di debolezza da parte del regime favorirebbe l\’aggressione straniera e il ritorno del Paese a una situazione di sottomissione a interessi internazionali. Essa è parte integrante della politica di terrore e di paura che quotidianamente il regime incute nella società cubana. Questo si ripete da molte decadi. È una strategia molto ben pianificata, che porta alla conclusione che, opporsi al governo significa automaticamente opporsi alla libertà del proprio Paese. Questa strategia è stata percepita dai cubani che, già da qualche tempo, si sentono defraudati. Noi riconosciamo che questo gruppo che è al potere da tanto tempo ha ottenuto conquiste importanti in termini sociali. In nessun modo vogliamo perdere queste conquiste. Ma abbiamo bisogno anche di libertà, di mantenere il nostro diritto di avere diritti. Vogliamo mantenere il sistema che ci permette di avere salute ed educazione gratuite. E vogliamo anche il resto: libertà di espressione, di riunione, libertà religiosa, libertà di stampa, etc.
Ma i segni di scontento sono ancora fragili e timidi…
Cuba, contrariamente a quanto si immagina nel resto del mondo, ha una società plurale. Qui abbiamo una diversità di posizioni, di aspettative, di opinioni. Ci sono molti che discordano dalle azione del governo, c\’è chi segue ciecamente gli orientamenti del regime e si identifica ideologicamente e storicamente con quest\’esperienza marxista, c\’è chi vuole semplicemente emigrare e lasciarsi tutto alle spalle. Ciò che il nostro movimento chiede è il rispetto e il diritto di esistere liberamente in mezzo a tutte queste posizioni. Qualunque persona ragionevole potrà concludere che, mettendo quest\’esigenza su una bilancia e osservandola attentamente, non si tratta di niente di eccezionale.
Una rottura repentina non potrebbe causare a Cuba una frattura sociale con conseguenze devastanti?
Credo che la riconciliazione sia il cammino della pacificazione. Affermiamo questo con il nostro lemma, "libertá e vita". I brasilani devono considerare che il nostro lavoro è molto più spinoso di quello degli ideologi del governo, i quali hanno una missione molto più comoda, che è quella di reprimere le idee. Contrariamente a quanto dice Fidel, quello che c\’è a Cuba non è la battaglia delle idee, ma la repressione delle idee divergenti. Il regime non fa altro che spaventare il popolo, affermando che la distensione non causerebbe l\’indebolimento del governo, ma dello stesso Paese, che porterebbe prima alla perdita dell\’indipendenza, delle conquiste sociali dell\’educazione e della salute e dopo finirebbe per portare alla generalizzazione della corruzione e del crimine. I cubani vogliono cambiamenti pacifici, senza scontri. Non vogliamo più nè capitalismo selvaggio, nè comunismo selvaggio. Il nostro movimento non ha mai parlato di libertà di mercati – e non perchè non lo consideriamo importante – ma siamo rigorosi nella difesa della libertà delle persone. E le persone non devono essere soggette a nessuna forza, nè del sistema, nè del mercato, nè dello Stato. La nostra proposta di cambiamento non esclude nessun cubano, nè i prigionieri politici, nè i membri dello stesso governo.
Ha mai sentito minacciata la sua sicurezza personale a causa della sua attuazione politica?
Vivo sotto minacce costanti, fatte non solo a me, ma a anche alla mia famiglia. Ricevo frequenti telefonate strane, con minacce velate o esplicite. Gli agenti del governo mi perseguitano per strada in ogni momento. Telefonano e disturbano le persone che parlano con me. Sono cattolico. Quando vado in Chiesa, mi seguono da lontano. Due settimane fa qualcuno ha allentato i bulloni delle ruote della mia macchina – una Kombi 1974, fabbricata in Brasile, che lei ha visto di fronte a casa mia. Telecamere installate sui pali dai servizi segreti del regime controllano ogni movimento attorno a casa mia, chiunque entri o esca da qui. Guardi lei stesso (si alza dalla sedia e apre la finestra della facciata della casa), sul muro qui di fronte hanno fatto un murale con la caricatura di George W. Bush che festeggia con un verme (la parola "verme" viene normalmente utilizzata a Cuba per indicare gli anti-castristi esiliati a Miami). […] Tutto questo fa parte di una campagna di intimidazione e un esempio della strategia del terrore promossa dal regime.
Questa sua visione della politica ha molti seguaci qui a Cuba?
Abbiamo degli amici. Molti sono in prigione e sopportano con forza di volontà e di spirito. Altri soffrono per la povertà, le minacce, le persecuzioni. Sono alcune centinaia, non migliaia, questi amici più prossimi. Ma ci conforta sapere che c\’è un\’immensa maggioranza della popolazione cubana che appoggia la nostra proposta di cambiamenti politici pacifici. È per questo che il governo ci perseguita tanto.
Come crede sia vista Cuba all\’estero?
Molti all\’estero vedono Cuba sotto il prisma dell\’ideologia e vedono solo Fidel, il Che, o il romanticismo degli anni ribelli della rivoluzione, etc. Ma dobbiamo dire che vogliamo essere visti sotto un\’altra ottica, come esseri umani, che hanno il diritto di avere diritti. Siamo 11 milioni di esseri umani che vogliono libertà e dignità.
Che futuro prevede per il Paese?
Crediamo che i cambiamenti non saranno possibili senza una riconciliazione. Crediamo che non ci sia da temere per il futuro. Come i brasiliani, il popolo cubano è pieno di inventiva, creativo e possiede una non comune capacità di lavoro. Liberi dagli ormeggi di oppressione dello Stato, saremo un Paese di lavoratori con tutto il potenziale necessario per prosperare. Vogliamo solo che ci sleghino le mani e ci tolgano il bavaglio.
O Estado 24 febbraio 2008