Corrispondenza Romana, n° 1006 del del 1/9/2007
In un intervento pubblicato sul “Corriere della Sera” del 20 agosto scorso intitolato Se Cesare supera la misura, Vittorio Messori ha commentato il richiamo del cardinale Bertone sulle tasse, notando che «anche parroci e suore per ‘legittima difesa’ ricorrono a sistemi che non sottopongano tutto l’importo a tutta la tassazione prevista: “Non, intendiamoci, con metodi truffaldini, da professionisti dell’evasione, ma limitandosi alla forma più semplice: il pagamento in contanti di parte di quanto dovuto o una fatturazione inferiore al reale.
Ora: la vita spirituale di ciascuno è inviolabile, ma oso pensare che nessuno di quegli amministratori ecclesiali aggiunga le elusioni fiscali alla lista dei peccati di cui accusarsi nelle periodiche confessioni. Una supposizione, la mia, che si fonda anche sul fatto che nessun confessore mi ha mai chiesto conto del comportamento quanto a tasse, imposte, tributi». Per lo scrittore non si tratta quindi di malcostume clericale o mancanza di senso civico dei religiosi, ma di «istinto di ‘legittima difesa’».
Non a caso l’aggettivo usato dal cardinal Bertone riferendosi alle imposte meritevoli di essere pagate è «giuste». Così come di «giusti tributi» parla il Nuovo Catechismo cattolico e di «giustizia» nel carico fiscale parlano tutti i trattati di morale. È finanche scontato rammentare la norma basilare del cristiano «dare a Cesare quel che è di Cesare», che il Segretario di Stato non poteva non citare. Ma, sottolinea Messori, oggi «Cesare pretende sempre di più, sino a casi come quello italiano dove ogni anno, sino a fine luglio, il cittadino lavora per uno Stato di fantasia inesauribile quanto a tasse e balzelli diretti e indiretti e – bontà sua – lascia al suddito il reddito di cinque mesi su dodici del suo lavoro. Siamo in chiaro contrasto, dunque, con la ‘giustizia’ chiesta dalla Chiesa, i cui moralisti – quelli moderni, non quelli antichi che si accontentavano delle ‘decime’ – giudicano, in maggioranza, equa una tassazione che, nei casi più severi, non superi un terzo del reddito. Non sorprende, dunque, che anche in gente di Chiesa scatti un istinto di autodifesa, un bisogno di equità davanti a uno Stato che sembra configurarsi non come un padre ma come un padrone e un predone».
Pienamente appropriato, conclude Messori, il commento di Rocco Buttiglione: «Non pagare le tasse è una colpa. Indurre i cittadini nella tentazione di non pagare, pretendendo tributi esosi ed ingiustificabili, è colpa ancora più grave».