Fratel Ettore, il prete degli ultimi
Morto a 76 anni, era malato da tempo. A Milano, per tutta la vita ha sfamato e ospitato i poveri aprendo rifugi e comunità. Era “un grand’uomo che ha stupito Milano con la sua semplicità, umiltà e determinazione”, ha detto ieri il governatore lombardo Roberto Formigoni. I suoi funerali si terranno lunedì alle 11, nella Basilica di Sant’Ambrogio, celebrati dal cardinale Dionigi Tettamanzi.
MILANO – La statua della Madonna che lo aveva accompagnato ovunque per anni adesso è lì, su un tavolino a guardarlo: quasi si fosse improvvisamente fermata, dopo tanta fatica spesa in soccorso al prossimo, a riposarsi almeno un poco anche lei. L’uomo che ora è vegliato dai suoi confratelli e dalle suore lì accanto, dentro la tonaca nera di sempre, con la grande croce rossa dei camilliani sul petto, prima di fermarsi per sempre a sua volta ha fatto in tempo a conquistarsi un’infinità di definizioni: il camilliano dei barboni, il prete degli ultimi, il frate della Stazione, la “madre Teresa” di Milano… Per tutti comunque era fratel Ettore, fratel Ettore e basta. Ed è morto l’altra notte, nella clinica San Camillo di Milano, a 76 anni, al termine di una malattia che – come diceva lui – lo ha tenuto “inchiodato alla croce di un letto” per tutti gli ultimi mesi.“Certo ho molto sofferto – è stata la sua battuta all’amico Goffredo Grassani, poche ore prima della crisi finale – ma per fortuna ho anche molto… offerto”.
Forse ci sarebbero cose migliori delle parole, per raccontare fratel Ettore. A cominciare da una visita sotto i binari della stazione Centrale, nei grandi stanzoni di via Sammartini 114 in cui da 25 anni, ogni giorno che Dio manda in terra, centinaia di disperati, senzatetto, senzasoldi, senzatutto, continuano a poter trovare un letto, dei vestiti, da lavarsi, da mangiare.
Ci sarebbe l’incontro, ancora, con qualcuna delle migliaia di madri ucraine, russe, moldave, giunte in Italia col miraggio di un lavoro da badante e da fratel Ettore raccolte per essere salvate dalla strada.
Ci sarebbe anche l’immagine di lui alla guida di quel suo furgone scassato, con l’immancabile Madonna issata sul tetto, che percorreva la città alla ricerca del prossimo “ultimo” da riportare a casa.
Ma anche quell’altra con la stessa statua, brandita stavolta come una bandiera, e lui ritto in piedi davanti al corteo del Gay-Pride a Milano come il cinese di Tienanmen davanti al famoso carro armato, che gridava: “Pentitevi!”.
Ettore Boschini – così si chiamava – era nato a Belvedere di Roverbella, un paesotto vicino a Mantova, il 25 marzo del ’28: festa dell’Annunciazione. Incontra i camilliani nel ’51, prende i voti due anni dopo, e l’indirizzo della sua vocazione si distingue sin dal principio: fino al ’75 si occupa dei malati dell’istituto San Camillo di Venezia. Ma è subito dopo, quando arriva a Milano, che intuisce il passo in più da compiere.
Cinque anni fa, rievocandolo in una intervista per un settimanale, lo raccontò così: “La mia è semplicemente una storia d’amore, un percorso scelto per me da Dio. Una mattina bussa da me un uomo, era malato, stanco, sporco. Chiedeva aiuto. Ho spogliato delicatamente il suo corpo coperto di piaghe, l’ho lavato e medicato. Quel giorno di tanti anni fa la mia scelta è diventata definitiva, non avrei aspettato che gli ultimi della terra arrivassero moribondi alla mia porta: sarei andato io a cercarli sui marciapiedi, nelle stazioni e nei sottoscala della città”.
Detto fatto. La stazione Centrale diventa la sua meta di ogni sera, per distribuire cibo e tesserini per l’alloggio pubblico di viale Ortles a quelli che allora nessuno chiamava clochard ma, semplicemente, “barbùn”. Nel Natale del ’77 si presenta loro con panettone, spumante, più un prete supplementare che dicesse una messa per tutti. Non “invitava” a pregare, fratel Ettore. Lo ordinava: “Pregate!”. In capo a qualche mese convince capostazione e ministero dei Trasporti ad affidargli i magazzini vuoti di via Sammartini: ci mette dentro centinaia di letti, una cucina, tavoli, docce, una lavatrice industriale, oltre naturalmente a un altare sullo sfondo. E quel posto, inaugurato il primo gennaio 1979, diventa la sua creatura-simbolo.
Non era che la prima. Perché una tappa dopo l’altra, grazie ad una catena di solidarietà simile ai pani e pesci del miracolo, fratel Ettore non fa che moltiplicarsi. Una mattina arriva a Seveso col suo furgone, conficca una croce su un prato appena “guarito” dalla diossina e dice “qui costruirò Casa Betania per i poveri”: è lì ancora adesso, con davanti una chiesa che è la copia perfetta del santuario di Fatima.
E poi arrivano i rifugi di Affori per le donne dell’Est, la casa di Novate per gli ex tossicomani, e poi altri istituti di accoglienza sempre più lontano, a Grottaferrata, a Chieti, nel 2000 uno a Bogotà. Da dove, due anni dopo, lancia un grido di solidarietà a Gino Strada che in quel periodo è in Afghanistan: “Continua così, non mollare”.
Finché diventa lui stesso, fratel Ettore, meta dei pellegrinaggi altrui, da Madre Teresa all’Abbé Pierre. Lui non si ferma, va in visita al Papa, torna in Stazione, poi corre fra i terremotati, e ritorna in Stazione. E la sua “famiglia” cresce: le emergenze cambiano, dove prima bastava un pasto caldo adesso c’è da muoversi per trovare un permesso di soggiorno, scongiurare un’espulsione, cercare un lavoro…
Molti di quelli che ricevono un aiuto, si fermano con lui: tra i suoi volontari di oggi non è difficile ritrovare tanti disperati di vent’anni fa.
Non era uno che “chiedeva”, fratel Ettore. Soldi meno che mai. La Provvidenza, come diceva lui, ci pensava da sola: si chiamasse Rotary o con qualunque altro nome. Le sue richieste avevano piuttosto un’altra forma. Come quando, qualche anno fa, fece irruzione ad un convegno sulla solidarietà milanese, pieno di nomi importanti, portandosi dietro un centinaio di ucraine: “Se volete davvero far qualcosa di utile – gridò – ciascuno di voi ne assuma una come colf. Adesso!”.
Era “un grand’uomo che ha stupito Milano con la sua semplicità, umiltà e determinazione”, ha detto ieri il governatore lombardo Roberto Formigoni. I suoi funerali si terranno lunedì alle 11, nella Basilica di Sant’Ambrogio, celebrati dal cardinale Dionigi Tettamanzi.
Intanto, guardandolo lì immobile nella piccola camera ardente allestita dietro la chiesetta di San Camillo, il suo confratello padre Lorenzo ricordava ieri di quella volta in cui l’addetto al check-in di un aeroporto, vedendolo con quell’ingombrante statua della Madonna in braccio, si era azzardato a sollevare qualche obiezione: “Mi sta dicendo – si infuriò fratel Ettore – che vorreste far pagare il biglietto alla Madonna? Vergogna!”. E si avviò all’imbarco con lei, senza neanche voltarsi indietro.
“Adesso l’ha raggiunta…”, conclude padre Lorenzo. In un posto dove il biglietto non serve.
di Paolo Foschini
Corriere della sera 21 agosto 2004