I custodi del gran sigillo
di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA
«Naturalmente solo la sinistra è la padrona dei tempi di tutte le cose: essa sola può decidere, ad esempio, quand’è che parlare della “strage dei vinti” dopo il 25 aprile è una meritoria opera di verità storiografica, oppure è una bassa speculazione politica per ingraziarsi Berlusconi; quand’è che il comunismo diventa cattivo (e lo si può dire), quand’è che l’Europa diventa buona (e si è obbligati a giurarlo), quando il sionismo buono diventa cattivo e viceversa…»
È più che giustificata l’irritazione con cui la terza pagina de La Repubblica di ieri, per la penna di Simonetta Fiori e di Alberto Asor Rosa, ha redarguito il Corriere per la pubblicazione (niente meno!) di alcuni brani delle lettere d’amore che Italo Calvino scrisse a Elsa de’ Giorgi tra la fine del 1955 e l’estate del 1958.
La Repubblica si è sempre detta un giornale di sinistra e la sinistra italiana, sapendo bene dove si nasconde e in che cosa consiste il suo vero potere, è decisa a difenderlo fino in fondo. Quel potere sta nella cultura, nella produzione e nella diffusione delle idee, delle emozioni e delle conoscenze che tutte insieme formano la nostra visione del mondo; e consiste in quello che con un’immagine appropriata Paolo Mieli ha chiamato “potere battesimale”: il potere cioè di decidere essa che cosa è culturalmente giusto o sbagliato, bello o brutto, che cosa è democratico o non lo è, e insieme, naturalmente, il potere di far rispettare le proprie decisioni e di affermarle facendole diventare il senso comune.
Di questo potere culturale la sinistra è stata beneficiaria fin dal primo dopoguerra, quando fu appunto ad essa, in quanto rappresentante più accreditata dell’antifascismo, che si rivolse per orientamento e protezione il ceto intellettuale italiano che fino a quel momento si era per gran parte abituato a ricevere entrambe le cose dal fascismo, ricavandone altresì (come avrebbe poi ricavato anche dalla sinistra) la consacrazione di una sua supposta vocazione dalla parte delle “masse” ovvero del “popolo”.
Sono decenni che, per l’incapacità e l’insipienza soprattutto degli altri attori della scena nazionale, la sinistra italiana esercita il potere culturale praticamente in regime di monopolio. È quindi più che logico, come dicevo all’inizio, che essa vada su tutte le furie quando lo vede in qualunque modo minacciato. Solo lei deve essere legittimata a dire qualcosa di nuovo su qualunque cosa: sui lumi, sul comunismo, sul sacerdozio femminile, su Pippo Baudo, sulla Resistenza, su Italo Calvino, su non importa che cosa. E naturalmente solo come lo dice e quando lo dice lei è il modo e il momento giusto. Solo la sinistra sa quando è il caso di adoperare la divulgazione e la cifra giornalistica o quando è meglio addobbarsi nei panni della filologia e della scientificità, quando è giusto ammannire ai lettori di un quotidiano le sporcaccionate delle lettere fra Joyce e la moglie e quando invece è uno “spiare dal buco della serratura” la pubblicazione dei pensieri appassionati ma per nulla audaci di Italo Calvino.
E naturalmente solo la sinistra è la padrona dei tempi di tutte le cose: essa sola può decidere, ad esempio, quand’è che parlare della “strage dei vinti” dopo il 25 aprile è una meritoria opera di verità storiografica, oppure è una bassa speculazione politica per ingraziarsi Berlusconi; quand’è che il comunismo diventa cattivo (e lo si può dire), quand’è che l’Europa diventa buona (e si è obbligati a giurarlo), quando il sionismo buono diventa cattivo e viceversa. Insomma: c’è un modo e viene un tempo di dire tutto, l’importante è che a deciderlo non siano altri.
È anche grazie a questo monopolio (si badi: anche ), alle cautele che impone, ai silenzi che sollecita, se il clima culturale italiano è nella sostanza dominato dal conformismo, se è così raro imbattersi da noi in qualcosa di insolito e di vero, di pensato fuori dagli schemi correnti. Ma dopo tutto un rimedio c’è: si chiama libertà di stampa.
Ci permettiamo di suggerirne a tutti l’uso più indiscriminato, alla faccia di tutti i tabù e di tutte le intimidazioni.
Corriere della sera 8 agosto 2004