I dimenticati della Resistenza

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60 ANNI DOPO
Partigiani cattolici, decisivi e ignorati


Furono ottantamila sui quasi 200mila partecipanti alla Resistenza, spesso figure di primissimo piano, poi dimenticate dalla vulgata di sinistra ma anche dal loro stesso mondo


di Roberto Beretta

Ottantamila al 25 aprile 1945. Così contabilizzò Enrico Mattei (sì, il presidente dell’Eni, poi morto in un discusso incidente aereo, era stato capo partigiano) al primo congresso della Dc nell’aprile 1946, un anno dopo la liberazione. I cattolici che hanno partecipato attivamente alla Resistenza – diceva Mattei – sono stati 65.000 divisi in 180 brigate, cifra poi giunta a 80.000 uomini nella fase finale della guerra. Non è poco, su un totale di circa 130mila (divenuti 200 mila intorno al 25 aprile) partigiani in Italia. Ed è anche per questo che altre fonti hanno cercato di sminuire la consistenza delle formazioni cattoliche, sostenendo che esse rappresentavano solo il 15% dell’organizzazione militare della Resistenza. «Brigate del Popolo», «Fiamme Verdi», «Volontari della Libertà», «Squadre Bianche»: sono alcuni dei nomi sotto i quali, in tutto il Centro-nord dello Stivale, cercarono di distinguersi le formazioni «autonome» o «indipendenti» che spesso facevano riferimento in gran parte o del tutto al Vangelo. Senza contare che in molte zone, per esempio in Liguria e Romagna, anche nelle comuniste Brigate Garibaldi spiccava cospicua una presenza cattolica. Ma non fu solo questione di cifre. Lo stesso Mattei, e poi Benigno Zaccagnini, Paolo Emilio Taviani, Giuseppe Dossetti, Sergio Cotta, Mariano Rumor, Tina Anselmi, Ermanno Gorrieri, Giovanni Marcora in guerra «Albertino», Eugenio Cefis, il martire medaglia d’oro Giancarlo Puecher, il futuro santo Teresio Olivelli… Buttati lì quasi a caso, non sono stati pochi i «grandi nomi» della Resistenza d’origine schiettamente cattolica. Eppure essi rappresentano soltanto la classica punta emergente di un iceberg dall’oceano della clandestinità: nel senso che costoro, grazie soprattutto a vicende post-partigiane (libri, carriera politica, cause di beatificazione…), ebbero modo di divulgare la storia della loro militanza. Ben più numerosi sono stati i credenti che, collocati anche ai vertici militari della ribellione anti-nazista, dopo il 25 aprile sono rientrati con discrezione nei ranghi della vita quotidiana, oppure hanno rinunciato a far valere i loro meriti per sottrarsi ai troppi scontri ideologici sulla Resistenza. Solo per fare alcuni nomi: i fratelli Alfredo e Antonio Di Dio, siciliani ma fondamentali pedine nella «repubblica dell’Ossola» tanto decantata dal “laico” Giorgio Bocca (il quale peraltro nella sua Storia dell’Italia partigiana non si sottrasse al riconoscere come «senza l’aiuto del clero tre quarti della pianura padana – il Piemonte, la Lombardia, il Veneto – sarebbe rimasti chiusi e difficilmente accessibili alla ribellione»). Oppure i fratelli «Beretta», anime del più sconosciuto Territorio Libero del Taro (Pr). Ignazio Vian nel cuneese. Giacomo Perlasca a Brescia. Raffaele Morini – il «comandante Raf» – braccio destro di Mattei. Giorgio Catti ed Edoardo Martino intorno a Torino. Gastone Franchetti, primo animatore delle «Fiamme Verdi» fra il Garda e Brescia. I fratelli Flavio e Gedeone Corrà, indiziati di santità a Verona, e nella stessa zona Carlo Perucci. Nel vicentino i comandanti Ermes Farina, Giacomo Chilesotti, Giovanni Carli, Gaetano Bressan. Aldo Gastaldi «Bisagno» in Liguria… Allo stesso modo dagli alti vertici militari si può percorrere restando in quota un sentiero che porta ai massimi capi del Cln, pure essi di marca spesso cattolica: vedi l’avvocato e futuro deputato Giuseppe Brusasca, membro del Cln Alta Italia, il triestino Paolo Reti (segretario del locale Cln – del resto presieduto da un prete, don Edoardo Marzari – finito alla Risiera di San Sabba), Venanzio Gabriotti fucilato dai fascisti a Città di Castello, il professor Giovanni Gozzer capo del Cln di Trento, Carlo Bianchi ex presidente Fuci di Milano morto nel lager con Olivelli. Fino ad Emile Chanoux, poco noto martire dei nazifascisti nel 1944, già capo riconosciuto della Resistenza in Val d’Aosta. E pure qui si potrebbero aggiungere puntini ad libitum. La storia e la geografia della liberazione andrebbero dunque rivedute con lenti di miglior riguardo per la presenza cattolica, così come la cronologia: che in molti casi attesta l’assoluta priorità d’intervento dei «bianchi» su ogni altra presenza antifascista. Nella «rossa» Reggio Emilia, per esempio, solo una settimana dopo l’8 settembre alcuni giovani d’oratorio s’erano già organizzati per stampare col ciclostile il primo giornaletto partigiano. Quanto a salire in montagna, a lungo i vertici comunisti mostrarono di credere alla Resistenza in città piuttosto che alla guerriglia tra Alpi e Appennini. Per non parlare infine dei metodi, dove ebbe modo di esercitarsi nel modo forse più palese la «diversità» cattolica: dalla scelta tattica di evitare il più possibile le rappresaglie sui civili, al differente trattamento riservato ai prigionieri o agli «epurandi»; dalla riserva espressa sulla politicizzazione delle formazioni, alla ricerca di continuo collegamento e collaborazione con le popolazioni locali. Vien da chiedersi a questo punto se un certo «revisionismo sulla Resistenza» non debba ritenersi quanto mai necessario anche in casa cattolica. 60 anni di understatement (se non di autocensura) sul proprio protagonismo partigiano – forse dovuti al desiderio di «farsi perdonare» un periodo quasi equivalente di potere democristiano, o forse all’impotenza culturale di contrastare la vulgata della liberazione solo «rossa» – hanno comunque avallato una falsificazione della storia, la quale mortifica il sacrificio dei padri e insieme impoverisce l’attuale consapevolezza dei figli. Anziché «cancellare» il 25 aprile perché data controversa e fonte d’inconciliabili diatribe, compete ai cattolici di metterne in luce la verità in tutte le sue sfumature: cominciando da quelle indubbiamente espresse dai propri coraggiosi fratelli di fede. Insieme alla disobbedienza civile dei soldati italiani nei campi di prigionia o nei lager in Germania (il cattolico Lazza ti per fare un nome su tutti); accanto all’opera sotterranea di tanto clero e molti credenti laici per accogliere, nascondere, espatriare ebrei e ricercati politici o disertori; alla pari con i volontari cristiani schierati a fianco dei militari alleati nella riconquista d’Italia: insieme a tali tuttora poco note «resistenze cattoliche»; insomma, sembra tempo di recupero per le misconosciute storie dei tanti partigiani in nome del Vangelo. Servirà per scrostare il mito senza buttar via i valori.



Avvenire 26 Aprile 05