MA I GIORNALISTI SI AGITANO
SOLO QUANDO C’E’ DA TOGLIERE IL SONDINO
Era una lunga tavolata, quella allestita lo scorso fine settimana a Salò, sulle rive del Garda, ma non c’erano piatti né bicchieri: « Noi non mangiamo», aveva sorriso uno dei commensali al giornalista rimasto interdetto. «Noi abbiamo il sondino. È così da mesi, a volte anni». Era da poco finito il primo raduno nazionale dei malati di Sla e a quel tavolo iniziava la loro festa, ma i giornalisti, gli invitati d’onore, gli unici per cui una tavola era imbandita e profumava di risotto ai funghi, erano davvero pochi. In quella sala avveniva qualcosa di importante, addirittura vitale, ma le grandi testate erano altrove.
«Siamo qui per gridare il nostro diritto a vivere», dicevano i malati di Sla, sclerosi laterale amiotrofica, nota come il morbo dei calciatori, una malattia che non perdona e in pochi anni immobilizza ogni muscolo del corpo fino a negare la capacità di deglutire e di articolare la parola. Quando a essere compromessi sono infine i muscoli respiratori, sopraggiunge la morte. «Siamo in cinquemila e vogliamo vivere, aiutateci a farlo con dignità », ribadivano, ma il loro appello, forse oggigiorno troppo scomodo, è caduto nel silenzio mediatico. Seduti sulle sedie a rotelle, il collo sorretto dai sostegni, gridavano il loro no all’eutanasia (non un lancio di agenzia), ricordavano che non è quella la soluzione, sostenevano che la vita va vissuta fino all’ultimo respiro, e che è bello farlo, se solo qualcuno ti sta accanto. Si ribellavano a chi, in nome della ‘pietas’, offre invece la morte. «Noi siamo vivi, volevamo ricordarvi questo», annunciavano alla stampa ( che non c’era), e in tempi di sentenze che giudicano vite ‘degne’ e vite ‘meno degne’ non è così scontato.
Così come non suona esagerato il loro appello a non lasciarli morire: in alcune zone d’Italia le Asl non passano la sacca dell’alimentazione e dell’idratazione, troppo costosa, fanno sapere. Non solo: la Sla, « la grande bastarda » come la chiamano loro, è una nera saracinesca che pian piano ti chiude fuori dalla vita ma fino all’ultimo ti tiene sul bordo, non sei morto ma non comunichi più col mondo esterno… Un vegetale, si direbbe di questi tempi, decidendo per ‘ pietas’ che è meglio reciderlo. Peccato che, dentro, la vita pulsi come prima, il pensiero corra lucido, la personalità e la memoria non si perdano: sono persone che amano, sentono, desiderano. Il controllo dei muscoli oculari è l’ultima funzione che resta, per questo se la Asl passa loro il ‘ Comunicatore’ possono tornare a esprimersi con una voce vera, emessa dal sintetizzatore vocale ma attivata dal semplice movimento degli occhi. Un miracolo, « il ritorno a una vita dignitosa », hanno provato a spiegare i malati di Sla, «il confine tra il voler continuare a vivere e il voler morire».
Ma molti non l’hanno: troppo costoso. Ecco allora il pianto improvviso di una ragazza che lo attende da un anno, e lo sfogo di Mario Melazzini, il volto noto della Sla, il medico diventato paziente: «Perché per un solo italiano che vuole staccare il sondino si muovono tutti, per migliaia che lo chiedono non si muove nessuno? Si parla solo di diritto alla morte, ma prima non c’è il diritto alla vita?». Dov’erano i giornalisti? Dove i politici schierati per la morte di Eluana Englaro? Dove i cosiddetti garantisti?
«È una bella gara di solidarietà», ha commentato il neurologo Defanti, non riferendosi a chi da anni si prende cura di Eluana ma ai personaggi (l’ultima la governatrice del Piemonte) che ora qua ora là danno la loro «disponibilità» ad «accogliere» Eluana, cioè a farla morire. E i quindici medici della famosa équipe pronta ad accorrere gratuitamente a Udine per staccare un sondino, dove sono? Per ora sono disoccupati, perché allora non investire questa loro passione per i ‘diritti’ umani accanto a qualcuno di questi malati? Mettere il sondino è più dura che toglierlo, non richiede quindici giorni bensì anni di gratuità: a Salò lo gridavano in tanti, ma i giornalisti erano altrove, forse a Lecco, a registrare puntuali lo sparuto corteo radicale per la morte di Eluana.
Lucia Bellaspiga, Avvenire, 22 gennaio 2009