ELZEVIRO: Così l’Islam vedeva l’Europa. L’Europa cristiana aveva pressanti ragioni per interessarsi alle lingue e alla cultura del Medio Oriente. In aggiunta all’ovvio fascino di una civiltà più antica e più ricca, e all’ancora più ovvia minaccia rappresentata da un nemico potente e invasore, rimaneva il problema religioso.
Per i cristiani, anche per quelli del più lontano settentrione, il cuore della loro religione era nella Terra Santa, che dal VII secolo si trovava sotto dominio musulmano.
La loro Bibbia e la fede che essa racchiudeva erano giunte dal Medio Oriente, gran parte di quei testi erano scritti in lingue mediorientali e registravano eventi avvenuti laggiù.
I principali luoghi di pellegrinaggio – Gerusalemme, Betlemme, Nazareth – erano tutti sotto dominio islamico e, a parte il breve intervallo delle crociate, era solo grazie al permesso islamico che era possibile visitarli da pellegrini. I musulmani non avevano problemi simili con l’Europa cristiana. La loro religione era nata in Arabia, la loro scrittura era l’arabo, e i loro luoghi di pellegrinaggio, Mecca e Medina, si trovavano al sicuro in territori musulmani.
Non c’era molto altro che potesse attrarre i musulmani in Europa: la principale fonte di esportazione di quest’ultima verso l’Islam era la sua stessa gente, come schiavi, e sino all’inizio dell’età moderna non ci sarebbe stato altro in Europa capace di suscitare l’interesse e la curiosità dei musulmani.
Certo, essi attingevano a tanta parte dell’eredità greca, ma la loro attenzione era limitata a ciò che era utile: medicina, chimica, matematica, geografia, astronomia e anche filosofia, che a quei tempi figurava tra le scienze utili. I musulmani medievali tradussero – o per essere precisi, si procurarono traduzioni di – una gran parte della letteratura scientifica e filosofica della Grecia antica; non prestarono attenzione, invece, alla poesia, alla tragedia o alla storia greche.
I musulmani, inoltre, non trovarono alcun interesse intellettuale nell’Europa di quei tempi.
Durante i secoli della presenza araba in Spagna e in Sicilia, così come della presenza tartara in Russia e turca nei Balcani, non c’è di fatto alcun segno di attenzione nei confronti delle lingue classiche o vernacolari dell’Europa.
Dove, per motivi pratici, vi fosse stata necessità di traduttori, i governanti musulmani potevano sempre trovarli tra i sudditi cristiani o ebrei, o tra i convertiti da quelle religioni.
Si può anche metterla in questo modo: essi sapevano di appartenere alla più avanzata civiltà del mondo e di essere i fortunati possessori delle lingue più ricche e più avanzate.
Ogni testo e ogni conoscenza utile erano disponibili nella loro lingua o potevano essere resi disponibili da immigrati o da forestieri. Si tratta di un atteggiamento che molti di noi oggi possono riconoscere facilmente.
Attorno all’inizio del XIX secolo, i musulmani, prima in Turchia e poi ovunque, cominciarono a rendersi conto che questo equilibrio tra cristianità e Islam era cambiato: non solo per quanto riguardava il potere, ma anche per la conoscenza.
Per la prima volta essi pensarono che fosse utile sforzarsi di apprendere le lingue europee. Lo storico ottomano Asim, scrivendo verso il 1808, così osservava: «Certi uomini lascivi, spogliatisi delle vesti della lealtà, da sempre più tempo apprendono la politica dagli stranieri; alcuni, desiderosi di imparare la loro lingua, chiamano insegnanti francesi, si impadroniscono del loro idioma vantandosi… di quel rozzo parlare».
Solo alla fine del XIX secolo assistiamo a qualche tentativo di produrre grammatiche e dizionari in alcune lingue mediorientali che permettano di studiare le lingue occidentali.
E quando questo accade è dovuto principalmente all’iniziativa dei detestati invasori: gli imperialisti e i missionari.
Questo è di fatto un contrasto stridente e ha portato molti a chiedersi il motivo di quel disinteresse mostrato dai musulmani.
Ma questa, vorrei suggerire, è la domanda sbagliata.
Erano i musulmani a essere normali, non gli europei.
Il disinteresse nei confronti delle altre culture è la condizione normale dell’umanità.
Fu una peculiarità dell’Europa, e si potrebbe dire, ancor più precisamente, che fu una peculiarità dell’Europa occidentale durante un particolare periodo della sua storia quella di mostrare tale specifico interesse nei confronti delle culture con cui non aveva relazioni visibili o accertabili.
Questo tipo di curiosità intellettuale ha generato sconcerto e talvolta sospetto, specie tra coloro che ne erano sprovvisti.
Per gran parte del Medioevo uomini politici e di cultura delle grandi città del mondo islamico guardarono all’Europa come a un luogo oscuro di barbarie e di miscredenza, che non offriva nulla di interessante e ben poco di valore.
Di tempo in tempo diplomatici, viaggiatori o prigionieri musulmani visitarono queste genti e, al loro ritorno, offrirono ai loro compatrioti, per lo più disinteressati, alcuni brevi resoconti di quel mondo strano e primitivo.
©2001, 1982
by Bernard Lewis
©2004 Rcs Libri
S.p.A., Milano
E’ in libreria da oggi una nuova edizione del saggio di Bernard Lewis «I musulmani alla scoperta dell’Europa» (Rizzoli, pagine 416, euro 19, traduzione di Denis M. Bathish). Anticipiamo un brano tratto dalla nuova prefazione scritta da Bernard Lewis per il volume (traduzione di Alessandro Vanoli).