RECENSIONI: “Il rovescio delle medaglie. La Cina e le Olimpiadi” di Padre Bernardo Cervellera
di Bernardo Cervellera
“Pechino 2008 sarà all’insegna dell’armonia e della libertà per tutte le religioni”: lo assicura Ye Xiaowen, direttore dell’amministrazione statale per gli affari religiosi, il ministero che si preoccupa di attuare la politica della Cina verso le religioni. […]
In effetti, al villaggio olimpico, fra stadi e residenze, sta nascendo anche un centro per i servizi religiosi a disposizione dei bisogni degli atleti, secondo le loro diverse convinzioni religiose. Ci saranno locali adibiti alla preghiera per buddisti, indù, cristiani, ebrei e musulmani. […]
L’impressione però è che tanta apertura verso le fedi religiose degli ospiti olimpici sia solo un altro superbo spettacolo di facciata, una enorme campagna di immagine per mostrare che la Cina del XXI secolo non viola i diritti umani e religiosi. Almeno nel villaggio olimpico.
Il punto è infatti che le regole all’interno del recinto dei Giochi sono diverse dalle regole all’interno del Paese. Nel villaggio olimpico si dà spazio a tutte le religioni, ma in Cina sono riconosciute solo cinque religioni ufficiali: buddismo, taoismo, islam, cristianesimo protestante, cattolicesimo.
Altre comunità religiose presenti nel territorio – come i cristiani ortodossi, gli ebrei, gli indù, i bahai – non hanno luoghi di culto e non possono averli perché il governo non li riconosce.
Nel 2007, in diverse riprese, il patriarca di Mosca ha criticato il governo di Pechino per non concedere piena libertà e riconoscimento alla Chiesa ortodossa cinese, che pure è presente da 300 anni nel Paese. Il gruppo di fedeli – che si aggira sulle 13 mila unità – per le speciali occasioni, come Natale e Pasqua, deve usare i locali dell’ambasciata russa a Pechino. Anche il metropolita greco-ortodosso di Hong Kong, Nikitas Lulias, ha criticato le autorità cinesi per lo stesso motivo.
Una cosa simile vale per gli ebrei. Presenti da secoli sul territorio, essi sono stati spazzati via dal maoismo, che ha sequestrato beni degli israeliti e diverse sinagoghe.
Il rabbino capo di Israele ha chiesto da tempo al governo cinese il ritorno al culto della sinagoga di Shanghai, la Ohel Rachel, ma non ha ottenuto risposta.
A tutt’oggi gli ebrei in Cina, che si aggirano sulle diverse migliaia, sono tollerati finché vivono la loro religione con discrezione e senza coinvolgere cinesi. […]
Chi pensava che le Olimpiadi sarebbero state il momento per la Cina di assaggiare la libertà religiosa come è praticata in larga maggioranza nella comunità internazionale, dovrà ricredersi: toccherà al resto del mondo assaggiare il controllo religioso “made in China”.
In Cina le comunità religiose “riconosciute” godono di libertà religiosa (o meglio, di culto) solo se praticano la loro fede in strutture registrate presso il governo, con personale registrato, con attività registrate e accettando la supervisione delle Associazioni patriottiche (AP). Questa confusione fra Stato e Chiese produce un effetto ridicolo: membri del Partito – la maggioranza dei segretari delle Associazioni patriottiche sono atei – si mettono a gestire la vita spirituale dei fedeli indicando come svolgere i riti, quali libri stampare, chi può scegliere la vocazione religiosa, chi può diventare prete o leader di una comunità, quali ragazze possono entrare in convento. Questo controllo non è neutrale. Esso tende a un lento soffocamento delle religioni. […]
C’è anche un effetto violento: a chiunque non si sottoponga al controllo delle AP è proibita ogni attività religiosa. Se osa farlo va in prigione perché compie un’azione “illegale” ed è trattato alla stregua di un comune delinquente. […]
In prossimità delle Olimpiadi, mentre il governo proclama ai quattro venti che durante le Olimpiadi ci sarà piena libertà religiosa, la polizia di diverse regioni ha fatto retate e piazza pulita di vari leader delle comunità sotterranee.
Fra i cattolici […] il fatto più terribile è certo la morte di monsignor Giovanni Han Dingxian, vescovo sotterraneo di Yongnian. Da due anni in isolamento nelle mani della polizia, il prelato, che ha passato almeno 35 anni della sua vita in prigione, è morto in un ospedale il 9 settembre 2007. I parenti sono stati chiamati poche ore prima che spirasse. Poche ore dopo la sua morte (avvenuta alle 11 di sera), la salma è stata subito cremata e seppellita in un cimitero pubblico, senza possibilità per parenti, fedeli e sacerdoti di poterlo vedere, salutare o benedire. Secondo alcuni cattolici della diocesi, la polizia “voleva coprire delle prove”, forse di tortura. […]
La Cina è stata spesso condannata dalla comunità internazionale per la pratica della tortura da parte della polizia. Manfred Nowak, investigatore capo dell’agenzia ONU sulle torture, ha confermato in un suo rapporto del 2006 “l’uso diffuso della tortura in tutta la Cina”, chiedendo il “rilascio immediato di chi è in carcere per aver esercitato il diritto alla libertà religiosa o alla parola”. […]
L’accanimento del regime è forte soprattutto con i protestanti. Il governo centrale teme infatti che durante le Olimpiadi di Pechino avvengano scontri o manifestazioni di tipo religioso che sfuggano al controllo della polizia, proprio da parte dei cristiani protestanti. E questo per due motivi.
Anzitutto perché già da due anni migliaia di protestanti di vari Paesi si preparano a evangelizzare a tappeto la Cina approfittando della facilità con cui essa darà visti di ingresso in occasione dei Giochi.
Nel terrore che questo possa accadere, già nel 2007 Pechino ha espulso più di cento personalità protestanti straniere, provenienti da Stati Uniti, Corea del Sud, Singapore, Canada, Australia, Israele. Il nome in codice dell’operazione poliziesca era “Tifone numero 5” e mirava a “prevenire le attività missionarie di cristiani stranieri, prima delle Olimpiadi di Pechino dell’agosto 2008”. […]
L’altro motivo dell’accanimento è che i protestanti rappresentano fra i cristiani il gruppo più folto e meno controllabile. Secondo statistiche ufficiali, i protestanti cinesi sono 16 milioni. Tutte le denominazioni sono radunate nel Movimento delle Tre Autonomie (MTA), che – similmente all’Associazione patriottica dei cattolici – veri***** la loro obbedienza al Partito. Ma grazie a una diffusa evangelizzazione, finanziata da gruppi decisi e potenti con base negli Stati Uniti, in Corea e in Australia, la popolazione protestante è cresciuta fino a oltre 50 milioni (alcune stime dicono anche 80 milioni). Questo squilibrio fra cristiani riconosciuti e non riconosciuti (sotterranei), tra controllati e non controllati, provoca una risposta dura da parte del governo che ormai esige o l’assorbimento delle comunità sotterranee nel MTA, o l’eliminazione della comunità stessa. […]
L’accanimento del Partito verso le religioni, e soprattutto verso cattolici e protestanti, ha diverse ragioni.
Esse sono certamente ideologiche – Stato ateo, religioni “oppio dei popoli”, eccetera – ma sono alimentate anche dalla paura nel veder crescere l’influenza delle religioni nei fenomeni mondiali. Per fare solo un esempio: nell’agosto e settembre 2007 i monaci buddisti birmani sono stati la forza trainante di manifestazioni contro il caro-vita, per la democrazia, di critica della giunta al potere. Vi è poi il caso delle Filippine, dove la Chiesa cattolica esige dal governo rispetto per la vita, per l’ambiente, per i diritti dei lavoratori. Ancora prima, i cattolici polacchi e papa Giovanni Paolo II, con le loro pressioni, avevano messo in crisi il comunismo sovietico e contribuito alla caduta del Muro di Berlino.
Il terrore di Pechino è che possa crescere un’alleanza fra le forze religiose e gli scontenti della società cinese, creando una forza innumerevole, impossibile da fermare.
A questo si aggiunge il fatto che ormai il Partito è al suo minimo storico di credibilità, mentre le religioni si danno sempre più spazio.
Una ricerca di due professori dell’Università Normale di Shanghai, Tong Shijun e Liu Zhongyu, dimostra che i credenti in Cina sono almeno 300 milioni, il triplo di quanto stimato anni fa dal governo. Il rapporto sottolinea che la religione più cresciuta è il cristianesimo: il 12 per cento dei credenti, pari a 40 milioni di persone, si dichiara seguace di Cristo. Nel 2005 Pechino aveva stimato i cristiani in 16 milioni, mentre alla fine degli anni Novanta – sempre secondo dati governativi – essi erano poco più di 10 milioni. […]
Questi dati confermano molte testimonianze di vescovi cristiani che parlano di “una grande sete di Dio” nel popolo cinese, soffocata da decenni di materialismo marxista e da secoli di materialismo confuciano.
Il fatto strabiliante è che questa nuova ricerca religiosa scuote anche il Partito. Secondo dati pubblicati da “Epoch Times” (12 novembre 2005), almeno 20 dei 60 milioni di quadri del Partito credono in qualche religione. Essi sono spinti a credere perché stanchi del materialismo che non dà gioia, o perché disgustati dalla corruzione e dall’immoralità di molti quadri, che affamano la popolazione per godere di privilegi.
Statistiche segrete della Commissione disciplinare del Partito, arrivate in Occidente, stabiliscono che i quadri implicati in attività religiose nelle città sono 12 milioni e di questi, almeno cinque svolgono attività regolari. Nelle aree rurali altri 4 milioni di attivisti del Partito partecipano ad attività religiose con regolarità. […]
Nel tentativo di contrastare l’ondata religiosa all’interno delle sue file, il Partito comunista cinese ha varato da più di quattro anni una campagna per la diffusione dell’ateismo utilizzando radio, televisione, internet, seminari universitari. Nel 2006 ha anche finanziato con 30 milioni di dollari una campagna per rivitalizzare il marxismo.
Negli ultimi anni, per contrastare la crescita di protestanti e cattolici, il governo ha anche lanciato campagne a sostegno delle religioni “non occidentali”, potenziando buddismo, taoismo e confucianesimo (quest’ultimo non proprio una religione, ma piuttosto una filosofia morale).
A metà aprile 2007, il governo ha finanziato con 1 milione di dollari un convegno in due differenti sedi, Xian e Hong Kong, per promuovere lo studio del “Daodejing”, il libro base del taoismo. Al raduno hanno partecipato Liu Yandong, del Comitato centrale del Partito; Xu Jialu, vicepresidente dell’Assemblea nazionale del popolo e Ye Xiaowen, direttore dell’Amministrazione statale per gli affari religiosi.
Dal 13 al 16 aprile 2006 il governo ha anche sponsorizzato il convegno del World Buddhist Forum. Interrogato dall’agenzia ufficiale Xinhua sull’avvenimento, Ye Xiaowen ha dichiarato: “Il buddismo può offrire un contributo particolare alla ‘società armoniosa’ perché tende a un’idea di armonia più vicina alla visione cinese… In quanto Paese responsabile la Cina ha una sua visione e una politica precisa nel promuovere l’armonia mondiale. Il potere religioso è una delle forze sociali da cui la Cina può ricevere sostegno”.
Infine, dal 2002 il governo ha stanziato ben 10 miliardi di dollari per rivitalizzare in patria e nel mondo gli insegnamenti di Confucio, con i cosiddetti “Istituti Confucio”. Il desiderio è proprio quello di mostrare un volto noto alla cultura mondiale, rispondendo alla crisi di moralità e di valori spirituali nel Paese.
L’interesse è anche dato dal fatto che la filosofia di Confucio – tanto disprezzato da Mao Zedong – predica soprattutto la pietà filiale, l’obbedienza alle autorità, il sacrificarsi per il clan, tutte doti importanti nella Cina individualista di oggi, che tenta di sfuggire alla massificazione, ma anche alla morsa del controllo del Partito, visto come un padre-padrone.
Anche il sostegno generoso verso il buddismo e il taoismo cinesi si spiega con il fatto che queste due religioni diffondono un credo che ha come ideale il distacco dalla società, la non-azione, senza mai mettere in discussione il potere.
Una parte dei membri del Partito rimane comunque convinta che le religioni, tutte le religioni, possono contribuire all’armonia sociale, alla stabilità e allo sviluppo. Per questo occorre non frenare la loro crescita, permettendo anche ai membri del Partito di partecipare alle attività religiose. […]
Essendovi in Cina una ricerca religiosa così forte, e una persecuzione altrettanto sistematica, è comprensibile che molti gruppi religiosi nel mondo vogliano sfruttare l’occasione delle Olimpiadi per costringere la Cina ad aprire le maglie del controllo sulle religioni e utilizzare il tempo dei Giochi anche per lanciare nuove occasioni di evangelizzazione. […]
Quel che è certo è che tutte queste attività metteranno a dura prova la sicurezza cinese e il tentativo di isolare i Giochi, come oasi di libertà, dal resto della vita della Cina, immensa prigione a cielo aperto.
Per questo, il gesto più significativo che Pechino potrebbe fare per proclamare la sua avvenuta maturità nella comunità internazionale sarebbe quello di liberare tutti i prigionieri di coscienza e quelli imprigionati per motivi religiosi.
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Il libro:
Bernardo Cervellera, “Il rovescio delle medaglie. La Cina e le Olimpiadi”, Ancora, Milano, 2008, pp. 230.