PER FAVORE NIENTE DEMAGOGIA
di Giorgio Paolucci
Come sarebbe bello un mondo senza frontiere, in cui ognuno potesse andare a cercare fortuna dove vuole. Come sarebbe bella un’Italia senza clandestini, solo popolata da immigrati regolari che lavorano per sé e le loro famiglie contribuendo nel contempo all’economia nazionale. Peccato che la realtà costringa a fare i conti con situazioni molto meno poetiche, e impedisca di baloccarsi con utopie a buon mercato. L’ultima utopia in materia di immigrazione è la campagna lanciata dal governatore della Puglia, Vendola, al quale si sono affiancate molte amministrazioni regionali di centrosinistra riunite ieri a Bari con uno slogan d’effetto: «Mare aperto, idee per abolire le frontiere e chiudere i Cpt».
I Centri di permanenza temporanea altro non sono che le strutture in cui vengono trattenuti gli stranieri che non hanno documenti in regola (o non ne hanno affatto) e sono in attesa di essere identificati ed espulsi. Rappresentano uno strumento certamente limitato per fronteggiare un fenomeno vasto e complesso come la clandestinità, previsto dalla “famigerata” legge Bossi-Fini per impedire che chi viene colpito da un provvedimento di espulsione se ne vada in giro per l’Italia facendo perdere le sue tracce. Uno strumento – è opportuno ricordarlo – che era stato introdotto ai tempi del centrosinistra dalla legge Turco-Napolitano (1998) e che la Consulta ha ripetutamente dichiarato conforme ai principi costituzionali. Strutture analoghe sono state realizzate in Francia, Spagna, Gran Bretagna, Belgio, in nome di un principio dal quale non può derogare chiunque – da destra o da sinistra – voglia governare un Paese: non esiste politica dell’immigrazione senza limiti, regole e controlli. Tantomeno in epoche come questa, in cui la criminalità e il terrorismo pescano adepti per le loro imprese nell’acqua torbida dell’irregolarità.
Qualche giorno fa una per sona non sospetta come l’ex ministro dell’Interno Napolitano aveva ricordato che, se all’epoca non fossero stati istituiti i Cpt, l’Italia non sarebbe entrata nel sistema Schengen, che prevede la libera circolazione delle persone dentro lo spazio dei Paesi aderenti. E ha aggiunto che il problema all’ordine del giorno non è la loro chiusura, semmai (come sostiene Pisanu) l’apertura di altri centri che consentano di gestire una realtà in crescita come quella della clandestinità. Chi possiede soluzioni alternative – e almeno altrettanto efficaci – si faccia avanti: per ora non si è andati oltre la richiesta di abolirli o di “superarli”, senza che nessuno abbia spiegato con cosa vadano sostituiti.
Doverosa resta la condanna di eventuali abusi e irregolarità, come pure la verifica delle condizioni in cui vengono ospitati i clandestini. Senza dimenticare che i centri non devono diventare prigioni (ovvio che non si possono pretendere trattamenti di tipo alberghiero), e che spesso chi li gestisce deve fare i conti con malintenzionati e professionisti dell’irregolarità, convinti che in Italia si riesce quasi sempre a farla franca. Il coinvolgimento degli enti locali e di organizzazioni umanitarie, oltre a quelle che già meritoriamente ci lavorano, può diventare una risorsa per migliorarne la gestione e aumentarne la trasparenza. Insomma, margini di miglioramento ce ne sono. Ma la demagogia, la velleità o l’infatuazione ideologica di chi persegue la chiusura di queste strutture non porta lontano. E fa emergere invece l’incapacità di affrontare in maniera realistica e responsabile questioni maledettamente complicate come il contrasto della clandestinità, con la quale si deve cimentare chiunque si candidi a guidare un Paese moderno. Maiora premunt: per le utopie del «come sarebbe bello» non c’è più posto.
Da Avvenire On Line del 12 luglio 2005