Lezione dalla laica Francia
750 euro al mese per il 3° figlio. Esattamente all’opposto di quanto avviene in Italia, in Francia le coppie con prole risultano nettamente avvantaggiate rispetto ai single o ai cosiddetti “dinks”…
Una lezione di “sana laicità”? Uno schiaffo morale? O più semplicemente un istruttivo esempio di razionalità e buon senso? Come altro definire l’ultima proposta del governo francese per aiutare i genitori di quel Paese a fare più figli? L’iniziativa annunciata l’altroieri dal premier Dominique De Villepin alla conferenza nazionale della famiglia, ha destato interesse moderato presso i nostri cugini d’Oltralpe. Ma proviamo a pensare quali reazioni si sarebbero scatenate in casa nostra se il presidente del Consiglio in carica (o il candidato premier avversario, perché no?) avesse proposto un assegno-premio di 750 euro netti al mese per ogni donna che accetta di fare il terzo figlio e rimane per un anno a casa in congedo parentale. Aggiungendoci, per sovrammercato, il raddoppio del credito d’imposta per le spese di asilo o baby sitting.
Proviamo a chiedercelo, sapendo che nella patria di Voltaire questo tutt’altro che disprezzabile “bonus” si aggiunge a una griglia già molto fitta di provvidenze e incentivi. E che il tutto poggia su una base solidissima di supporto fiscale, imperniata su quel famoso meccanismo (il quoziente familiare) in base al quale il reddito del nucleo viene suddiviso per il numero delle “bocche” prima di essere tassato. Ragion per cui, esattamente all’opposto di quanto avviene in Italia, le coppie con prole risultano nettamente avvantaggiate rispetto ai single o ai cosiddetti “dinks (l’acronimo inglese – double income no kids: doppio reddito niente bimbi – che fotografa la moda dei coniugi in carriera contrari a procreare).
Se davvero ce lo chiedessimo, finiremmo poi per doverci stropicciare gli occhi increduli, nell’apprendere che l’anticlericalissima Francia, quella della legge contro il velo e i segni troppo vistosi di appartenenza religiosa, quella del “no” più tetragono alla citazione delle radici cristiane nel “trattato costituzionale europeo”, escogita simili misure perché teme che la “République” finisca per spopolarsi troppo. Proprio così: nel Paese dove la crisi demografica morde sì e no come un cucciolo di cocker, dove la “crescita zero”, a differenza che da noi, è un incubo molto più remoto dell’uragano Rita, si continua a incitare pervicacemente a fare più figli, si stuzzica e si vellica con lussuose prebende economiche l’istinto riproduttivo dei concittadini. Senza nessuna paura di apparire degli inguaribili familisti “cathò” o, peggio ancora, dei cultori criptofascisti del mito della razza.
In realtà, anche questa volta abbiamo fondati motivi per ritenere che, tra l’Alpe e il Lilibeo, la notizia targata Parigi non farà granché sensazione, non innescherà laceranti dibattiti, non susciterà riflessioni né sui giornali né, ahinoi, tra gli addetti ai lavori preparatori della legge finanziaria. E non scatenerà neppure, come ci auguravamo pochi giorni fa, una gara programmatica emulativa tra i pretendenti alla “pole position” dell’imminente gran premio elettorale di primavera.
Tutt’al più, sentiremo ancora una volta intonare le solite geremiadi sulla scarsità di risorse disponibili, ascolteremo rassegnati le giaculatorie sulla precedenza da dare ai poveri e ai bisognosi. Quasi che l’aspetto centrale del modello francese, in tanti altri casi additato come esemplare, non consistesse proprio nella netta capacità di distinguere tra politica familiare e assistenza pubblica, perseguendo entrambe senza confusione. Ancorati all’idea di fondo, cartesianamente chiara e distinta, che i figli sono un valore in sé. E che non è necessario portare i pantaloni rattoppati per essere aiutati a farli, cooperando in tal modo al bene proprio e a quello della società.
di Gianfranco Marcelli
Avvenire 24 settembre 05