Berlino, un’infermiera killer è sospettata di 130 omicidi
La donna ha ammesso di aver «agevolato la morte» di tre pazienti. I ricoverati sono comprensibilmente in preda al panico e rifiutano di farsi curare…
Sono in preda al panico i malati ricoverati nel reparto cardiologia dell’ospedale berlinese Charité, uno dei più antichi e rinomati della capitale. Alcuni rifiutano di farsi curare, altri hanno chiesto di essere dimessi nonostante le condizioni precarie, altri ancora sono scappati con l’aiuto dei familiari senza sottoporsi alle formalità d’obbligo. Una reazione comprensibile dopo che si è saputo che nei padiglioni del reparto si aggirava un angelo della morte: così vengono chiamati quegli infermieri o medici che per pietà o perché in preda a furia omicida decidono di somministrare sostanze letali ai malati per accelerarne il decesso.
Nel caso dello Charité l’angelo della morte era una donna di 54 anni, Irene B., capo infermiera del reparto di cardiologia. Dopo un lungo interrogatorio è crollata e ha confessato di aver ucciso tra agosto e settembre due anziani pazienti. Ma la procura di Berlino sospetta che le morti provocate siano molte di più: almeno cinque negli ultimi mesi e 130 negli ultimi dieci anni, cioè da quando Irene B. ha assunto la guida della squadra infermieri del reparto. «Siamo tutti sotto choc», ha detto il direttore dell’ospedale, professor Behrend Behrends, che ha annunciato che un gruppo di psicologi è stato incaricato di tranquilizzare i malati ricoverati nel reparto ed è stato istituito un numero verde per dare informazioni ai parenti dei pazienti. I decessi provocati dall’infermiera omicida riguardano due malati di sessantadue e settantasette anni. Secondo il capo del reparto cardiologia, professor Gert Baumann, entrambi erano in condizioni gravi ma non tali da far temere una morte improvvisa e imminente. A manifestare i primi sospetti è stato un familiare di uno dei due deceduti che ha chiesto l’autopsia e si è così scoperto che il decesso è avvenuto non per arresto cardiaco come ipotizzato in un primo tempo nel certificato di morte ma in seguito ad una iniezione di nitroprussid-natrium, un preparato che viene somministrato per far scendere la pressione. Se però viene somministrato in dosi eccessive può avere conseguenze letali e la dose iniettata da Irene B., secondo la procura di Berlino, era tale da stroncare la vita anche di una persona con un cuore da cavallo. Immediatamente i magistrati hanno ordinato l’autopsia di altri cinque malati deceduti negli ultimi mesi in condizioni sospette. Più complicate saranno le indagini per i decessi poco chiari degli anni passati.
A rendere la vicenda ancora più agghiacciante contribuisce la misteriosa personalità dell’infermiera omicida. «Fino alla sua confessione l’abbiamo sempre considerata una infermiera esemplare, molto preparata e con un grande senso del dovere», ha detto il professor Baumann, suo diretto superiore. Nubile, religiosissima, sempre presente alle cerimonie della chiesa luterana di Reinickendorf, il quartiere dove abitava, Irene B. (la legge tedesca vieta di pubblicare il cognome per esteso di personaggi accusati di reati fino alla condanna definitiva) dava l’impressione di vivere per i suoi malati. Per il momento non ha dato spiegazioni sui motivi che l’hanno spinta ad uccidere e gli inquirenti non sanno ancora come classificare Irene B., se includerla tra gli angeli della morte che agiscono per pietà o tra quelli che agiscono per furia omicida.
La casistica dimostra che entrambi gli schieramenti di angeli della morte sono numerosissimi. In febbraio il tribunale di Bonn ha condannato al carcere a vita una infermiera che in un ospizio per anziani di Wachtberg soppresse nove ricoverate soffocandole con il cuscino durante il sonno. Disse di averlo fatto non per pietà ma perché dopo aver dedicato la sua vita ala cura degli anziani la loro vista suscitava in lei istinti di distruzione. Opposto invece il caso di un altro infermiere che nel ’90 in Baviera uccise trenta malati, tutti in condizioni disperate. Disse di aver agito per risparmiare loro altre sofferenze. Fu condannato a trent’anni.
di Salvo Mazzolini
Il Giornale n. 237 del 07-10-06 pagina 16