La decapitazione dell’ostaggio americano Johnson, l’annuncio dell’uccisione del capo di Al Qaida in Arabia Saudita, al Muqrin, seguito da altri scontri a fuoco, e lo stillicidio di attentati in Irak mostrano una notevole effervescenza dell’organizzazione di Bin Laden. Certo, c’è nei terroristi il timore – rafforzato dalle conclusioni degli stati generali del mondo islamico di Istanbul, che hanno pienamente legittimato il governo irakeno – che il piano americano per il “grande Medio Oriente” stia, nonostante tutto, funzionando. Ma c’è anche dell’altro: è scoppiata una guerra civile all’interno del mondo fondamentalista musulmano.
Il fondamentalismo nasce nel 1928 con la fondazione dei Fratelli Musulmani, che rimangono tuttora la più grande organizzazione fondamentalista mondiale, con casa madre in Egitto e branche semi-autonome in tutto il mondo islamico. Alle loro origini, i Fratelli non escludono affatto la lotta armata, il colpo di Stato e il terrorismo, per portare al potere regimi disposti ad applicare il diritto islamico, la shari’a. Quando questa strategia fallisce, la maggioranza dei Fratelli adotta una strategia di lungo periodo, “neo-tradizionalista”, di “islamizzazione dal basso”, che passa per la conquista non violenta della società civile attraverso la penetrazione nelle associazioni, nei sindacati, nella stampa, nella cultura. I Fratelli si alleano anche con l’Arabia Saudita, che con un tacito patto li sostiene all’estero purché non operino nel paese dei Saud, dove però ne accoglie in gran numero gli esuli, impiegandoli nell’insegnamento superiore e universitario. A gioco lungo, gli allievi di questi esuli costituiscono un movimento – il “Risveglio islamico” (al-Sahwa al-Islamiyya) – i cui membri sono spesso chiamati nei media arabi i “Fratelli musulmani sauditi”, così che quella della non presenza dei Fratelli in Arabia Saudita è ormai piuttosto una finzione di facciata. Anche altri Paesi arabi – a partire dalla Giordania – cercano un modus vivendi con i Fratelli. Fanno eccezione i regimi nazionalisti più laicisti – tra cui la Siria e l’Irak di Saddam – dove i Fratelli sono duramente perseguitati; e la Palestina dove i Fratelli musulmani, di cui è emanazione Hamas, non hanno mai abbandonato la strada della lotta armata e del terrorismo. Peraltro Hamas la settimana scorsa ha dichiarato che il terrorismo è una necessità palestinese, non mondiale, e ha “scomunicato” Al Qaida con un duro comunicato. Quanto ai Fratelli musulmani irakeni, caduto Saddam hanno imboccato la via della collaborazione con i governi provvisori e con gli stessi americani.
I Fratelli Musulmani restano divisi al loro interno. Alcuni – fra cui i sauditi e gli irakeni – vogliono trattare con i rispettivi governi per una islamizzazione soft non chiusa ai discorsi sui diritti umani. Trovano oggi nel governo saudita la sponda di alcuni dirigenti insieme tradizionalisti e riformisti, i quali cercano un nuovo dialogo con gli Stati Uniti che Al Qaida, con la decapitazione di Johnson, ha cercato di sabotare. L’attivismo di Al Qaida in Arabia e in Irak non è rivolto solo contro gli Stati Uniti e i governi locali. Vuole anche impedire un’alleanza fra l’ala neo-tradizionalista dei Fratelli Musulmani e i riformisti conservatori presenti nei governi saudita e irakeno, che, se da una parte darebbe un contributo decisivo al piano americano del “grande Medio Oriente”, dall’altra isolerebbe irrimediabilmente Bin Laden.
Massimo Introvigne (il Giornale, 20 giugno 2004)