Elezioni in Arabia: scoppia la democrazia nel mondo islamico?
Intervista a Francesco Zannini, professore di Islam contemporaneo presso il Pontificio Istituto di Studi Arabi ed Islamistica (PISAI). L’oriente non è ancora riuscito a fare sintesi fra mentalità democratica fondata sull’individuo e ispirazione islamica della sua tradizione…
di P. Bernardo Cervellera
Roma (AsiaNews) – Tutto il mondo celebra oggi le elezioni municipali in Arabia Saudita. Pur con i molti limiti in cui essi avvengono (non voto alle donne e agli stranieri residenti; eleggibili solo metà dei seggi ai consigli municipali; diritto di veto del governo centrale sugli eletti), da ogni parte si parla di “primi passi nella democrazia”. In questi ultimi tempi abbiamo assistito alle elezioni in Iraq, a quelle palestinesi, a quelle in Afghanistan. Ma quanto queste elezioni sono segno di progresso nel mondo islamico? Sono davvero una novità queste elezioni in Arabia Saudita?
AsiaNews ha rivolto queste domande al prof. Francesco Zannini, 56 anni, un esperto del mondo islamico tradizionale e contemporaneo. Il prof. Zannini insegna Islam contemporaneo e teologia islamica. Conosce perfettamente la lingua araba ed è autore del libro “Ahmed, il mio vicino di casa”, disponibile presso il Pisai (Pontificio Istituto di Studi Arabi ed Islamistica).
Prof. Zannini, che peso dare alle elezioni municipali in Arabia Saudita?
Il fatto interessante è che vi sono elezioni, ma senza una costituzione. Non vi è una base solida al potere popolare. Tutta la questione della democrazia nei paesi islamici, riguarda questo punto: il problema non è tanto le elezioni (che è una parte della democrazia), ma il concetto di democrazia. I primi a introdurre la democrazia nel mondo islamico sono stati gli ottomani, costituendo una monarchia costituzionale su base islamica. Hanno messo tutti i cittadini, musulmani e non musulmani, sullo stesso livello, ma hanno però conservato gli elementi islamici sull’eredità e sulla famiglia. Questi principi sono durati anche nel ‘900: nella lotta per l’indipendenza in molti paesi – portate avanti da personalità laiche liberali o comuniste – non sono riusciti a laicizzare gli stati. Si è giunti così a delle costituzioni miste che però non riescono ad essere una costituzione laica moderna né un vero superamento della sharià.
Che cosa sono allora?
Queste costituzioni miste sono soltanto una giustapposizione dei due elementi, islamico e laico. Una parte viene data al popolo, che deve decidere quali sono i suoi rappresentanti; un’altra è presa dalla scuola giuridica islamica del paese. In questo modo si ottengono costituzioni in cui si afferma che “il popolo è sovrano”; ma poi tutte le volte che si fa una legge, questa deve essere passata al vaglio degli ulema (i dottori coranici), che sono un’autorità superiore. Questo avviene in tutti i paesi islamici. Forse soltanto l’Iraq di Sadddam Hussein aveva una base completamente laica. La stessa Tunisia, che è uno dei paesi più aperti, non è un paese laico.
Il problema è che mancando l’elemento base di una democrazia – il popolo che sceglie i princìpi su cui fonda la sua convivenza – si aprono altri problemi: il popolo può scegliere solo i rappresentanti del potere esecutivo, non i legislatori: la legge è già data. In Arabia Saudita si afferma addirittura che la legge è di origine divina, e perciò non hanno nemmeno una sharià molto evoluta. In questo modo i rappresentanti eletti dal popolo non hanno un vero e proprio potere.
Quali problemi vede per la democrazia nel mondo islamico?
Il primo problema è che finché non si raggiunge la piena laicità dello stato, sarà difficile giungere a una vera democrazia. Ciò non significa che il popolo non possa salvaguardare un’ispirazione religiosa. In India, i musulmani che hanno deciso di rimanere nel paese, dopo la partizione col Pakistan, hanno fatto proprio la scelta di uno stato laico, ma conservando un’ispirazione islamica nelle loro scelte. Ma in tal modo si parla di ispirazione e non di normative. Se non c’è la laicità, cosa elegge il popolo?
Il secondo problema è l’influenza wahabita: essi dicono che il potere è nelle mani di Dio e quindi l’uomo ha solo un potere esecutivo.
Infine, il problema più grosso è come immettere la democrazia in un contesto diverso da quello dell’occidente. Questo problema è vissuto anche in Iraq e in Afghanistan. In questi luoghi non vi è solo lo stato e gli individui. In mezzo fra i due vi sono le etnie, le tribù, i gruppi familiari. Ogni gruppo si gestisce in un modo diverso: in Afghanistan ogni gruppo ha una diversa sharià. In questo contesto le elezioni sono determinate dai rapporti tribali: l’individuo vota come vuole il capo.
Ma in questa situazione, tentare una forma democratica anche approssimativa, non è un segno di novità? Le elezioni in Arabia Saudita non vogliono significare che il wahabismo è messo alle strette? E in Iraq, che la gente abbia votato sotto la minaccia dei cecchini, non è un segno che il fondamentalismo perde terreno?
Per l’Iraq non ho alcun dubbio. La tradizione irakena, anche sotto Saddam Hussein era di tipo laico. Anche se la gente viveva sotto la dittatura, aveva speranza un giorno di liberarsi del dittatore e creare uno stato liberale. La vera novità è l’Arabia Saudita. Bisognerà vedere come la popolazione reagisce. Alcuni anni fa, ho partecipato a un convegno italo-saudita. E si parlava già allora di stilare una costituzione. L’Iraq è senz’altro simbolo della volontà popolare e colpisce di meno. Per l’Arabia Saudita le elezioni sono davvero una novità. Da anni comunque in Arabia si muove qualcosa. Un tempo parlare di turismo era proibito, proprio per salvaguardare i costumi islamici. Ora è stato costituito perfino una specie di ministero del turismo. È un altro segno che il regno saudita comincia ad aprirsi agli altri stati. Naturalmente, a questo sviluppo non sono estranee le pressioni internazionali. Ad ogni modo il mondo islamico non è ancora riuscito a fare una sintesi fra una mentalità democratica fondata sull’individuo e l’ispirazione islamica della sua tradizione.
Dalle sue conoscenze, si può dire che esiste un soggetto islamico che cerca la democrazia? O a provocarla è solo un’influenza dell’occidente?
Dalle mie conoscenze dirette, mi sembra che occorra fare alcune distinzioni: a livello di villaggio vi è già una specie di democrazia con i consigli locali. Ma questo livello non si interessa a una democrazia per l’intero stato. Se i capi dicono di partecipare alle elezioni, tutto il villaggio lo fa, ma solo come decisione comune. Vi è poi una fascia della popolazione raccolta attorno ai sindacati. Questi hanno dovuto lottare contro una tradizione che li bollava come organizzazione straniera occidentale. Il mondo dei sindacati percepisce in profondità i valori democratici, la gestione della società da parte del popolo. Poi vi sono i giovani e coloro che sono stati educati in occidente, oltre che tutta la classe media.
I tradizionalisti e i fondamentalisti sono invece contrari. Il punto però è che anche questi parlano di democrazia, cercando di islamizzarla, integrando ad esempio l’idea di parlamento con quella di assemblea islamica (shura).
La guerra in Afghanistan, l’occupazione dell’Iraq stanno creando più democrazia? La pressione anche militare occidentale è o non è catalizzatrice per i valori della democrazia?
Penso che non sia né catalizzatrice, né inibente. Certo, nei fondamentalisti essa crea un rifiuto, un anti-occidentalismo. Ma alla fine, chi credeva prima nella democrazia ci crede ancora adesso e chi non ci crede, non vi crede ancora adesso. In Afghanistan la struttura tribale è ancora presente in forza; in Iraq c’è più speranza.
Molti missionari dicono che dall’11 settembre nel mondo islamico si dibatte di più sulla democrazia…
Sono d’accordo. Ormai tutti i giornali arabi parlano di democrazia e ne discutono. Ormai si scrivono fiumi d’inchiostro sul futuro democratico dell’Iraq, sulle trasformazioni del mondo islamico… Credo però che finché non arriviamo alla scoperta, alla sintesi o al superamento verso la posizione laica, ci saranno soltanto aggiustamenti con la mentalità tradizionale. L’unico paese che finora ha una costituzione laica è l’Indonesia. La popolazione indonesiana, pur essendo islamica nella quasi totalità, ha trovato nella forma della Pancasila (i 5 precetti ispirativi dello stato), il modo di garantire la laicità dello stato, pur salvando un’ispirazione religiosa. In Bangladesh vi è stato un altro tentativo, poi tradito con il gen. Ershad. Anche in Malaysia vi è solo un accostamento esteriore fra laicità e leggi islamiche. Ma nel mondo arabo la questione è ancora ambigua.
AsiaNews, 10 Febbraio 2005