Bush, Berlusconi e gli altri
di Massimo Introvigne (il Giornale, 3 febbraio 2004, p. 14 / Esteri)
Nel suo discorso sullo stato dell’Unione, il presidente americano George Bush ha attaccato coloro che pensano che la democrazia sia incompatibile con l’Islam, e ha difeso l’idea (tipica del pensiero neoconservatore) secondo cui l’ideale e la pratica democratica sono esportabili ovunque.
La questione è di grandissima importanza non solo per il futuro dei Paesi a maggioranza islamica, ma anche per l’integrazione degli immigrati musulmani di casa nostra, a cominciare dalle proposte di concessione del diritto di voto. Chi ha ragione?
Su questo punto è particolarmente interessante è la posizione del dirigente musulmano tunisino Rachid Ghannouchi. Esule a Londra, leader del partito al-Nahda (ufficialmente messo al bando in Tunisia), Ghannouchi non è un «progressista» ma un dirigente fra i più ascoltati a livello mondiale di quell’ala del «fondamentalismo» che si evolve faticosamente verso un Islam di tipo conservatore.
In un recente saggio su Islam e democrazia, il pensatore tunisino distingue la democrazia «alla francese», fondata sul laicismo e sull’ostilità alla religione, radicata nella «influenza della Rivoluzione francese», e la democrazia «anglosassone» dove «non esistono questi aspri conflitti fra l’elemento religioso e quello civile, o fra la religione e la politica».
Secondo Ghannouchi, il rifiuto della democrazia da parte di numerosi movimenti islamici deriva dal fatto che l’unico modello che è stato loro presentato è quello «francese». (Le posizioni assunte dalle autorità francesi sulla questione del velo islamico per le donne hanno dato il colpo di grazia a ogni prospettiva di riconciliazione fra il loro stile di vita e la democrazia «alla francese».) Ma le cose andrebbero diversamente, pensa Ghannouchi, se ai musulmani fosse presentata una democrazia «anglosassone», esplicitamente radicata in valori religiosi e compatibile con la presenza di simboli religiosi nella vita pubblica, come avviene in Gran Bretagna e negli Stati Uniti.
Beninteso, la preferenza per il modello anglosassone di democrazia rispetto a quello francese coesiste, anche presso un Ghannouchi, con feroci critiche agli Stati Uniti per la loro politica internazionale, particolarmente per il loro sostegno a Israele. Ma la tesi rimane interessante.
Certo ci sono nel mondo musulmano sostenitori della democrazia «alla francese», fondata su un radicale laicismo. Ma o si tratta di intellettuali con scarsissimo seguito popolare, ovvero di nazionalisti che finiscono per offrire un laicismo senza democrazia (il laico Iraq del primo Saddam Hussein e la laica Siria di Assad insegnano).
Una democrazia che rinunci ai simboli religiosi, ai richiami a Dio e alla religione nelle costituzioni, alla collaborazione sistematica con le istituzioni religiose – quella che la Francia propone all’Europa – non ha presente né avvenire nel mondo islamico. Ma le cose stanno diversamente per quella che Silvio Berlusconi, in visita in quella Turchia dove il partito religioso conservatore di Erdogan sembra riuscire nel difficile intento di coniugare religione e democrazia, ebbe a chiamare con formula interessante «la versione islamica della Democrazia Cristiana».
Augurandoci che delle Democrazie Cristiane europee si importino nell’Oriente musulmano gli ideali e i pregi senza i noti difetti, è questa sostanzialmente la democrazia che ha in mente Bush per l’Islam: non è quella di Chirac, ma è la sola che abbia una vera chance di successo.