LA GELIDA LOGICA DEGLI «ZAR» SFIDA L’OCCIDENTE
di VITTORIO E. PARSI
Il ‘cessate il fuoco’ annunciato dal presidente Sarkozy è senza dubbio una buona notizia, ma non deve lasciare spazio a eccessive illusioni.
Esso rati***** i risultati che i russi hanno ottenuto, e ci dice solo che per ora Mosca è soddisfatta di aver umiliato la Georgia e ammonito chiunque ancora dubitasse della sua determinazione.
Il documento accetta tutte le richieste contenute nell’originario diktat del Cremlino a Tiblisi che, mentre vede le proprie forze armate ridotte alla mercé dell’Armata russa, deve accettare l’ulteriore irrisione della propria sovranità sulle Repubbliche secessioniste (la tregua non riguarda infatti l’Abkhazia, dove gli scontri sono proseguiti). Significativamente, il documento ufficiale non fa menzione del futuro delle due Repubbliche. Medvedev (Putin, in realtà) sa che dopo aver fatto inutilmente tuoni e fulmini contro la proclamazione d’indipendenza del Kosovo, ben difficilmente potrebbe proporre apertamente un’analoga soluzione per Ossezia del Sud e Abkhazia.
Anche sulla stampa occidentale alcuni hanno voluto tracciare un improprio parallelo tra l’offensiva russa in Georgia e le due (distinte) azioni militari della Nato in Bosnia e nel Kosovo, e soprattutto si è sostenuto che la lacerazione del diritto internazionale compiuta con il riconoscimento dell’indipendenza kosovara ha concorso a creare i presupposti per il blitz russo.
Basterebbe tuttavia ricordare la riluttanza e il ritardo con cui le truppe della Nato vennero inviate nei Balcani, dopo mesi di notizie di massacri di cui Srebrenica fu solo il più tristemente noto, e mettere tutto ciò a confronto con la rapidità e la violenza dell’attacco russo per constatare come Mosca, in realtà, non attendesse altro che un pretesto per punire la Georgia.
Ed è difficile credere, e sostenere, che, se non ci fosse stata l’indipendenza del Kosovo, Mosca si sarebbe fatta degli scrupoli ad intervenire in Georgia con la solita consueta rudezza.
Il punto è tutto qui.
Che per quanto la Russia di Putin e Medvedev sia evidentemente un’altra cosa dall’Urss, resta però ‘la Russia di sempre’, un Paese poco incline a usare la forza solo quando è palesemente più debole dell’avversario.
Era la tradizione della Russia degli zar Romanov, ed è a questo passato che sembrano volersi ispirare, non solo retoricamente, i nuovi zar.
Mosca ha una voglia matta di ‘rivedere’ la pesante eredità della sconfitta patita nella Guerra fredda. E lo scriteriato avventurismo militare georgiano gliene sta fornendo un’occasione.
L’Occidente sbaglierebbe a illudersi di poter ottenere dai russi molto di più di questo cessate il fuoco. E la Georgia dovrà anche imparare a meglio ponderare l’aiuto che amici lontani possono promettere e prestare, e le minacce concrete che i nemici vicini possono trasformare in realtà.
Di sicuro, non dormiranno sonni tranquilli tutte quelle Repubbliche ex sovietiche (a cominciare dall’Ucraina) al cui interno sono presenti popolazioni russofone o filorusse, e che guardano all’Europa come a un possibile contraltare politico alla pressione russa.
Per l’Unione, una volta di più, si palesa quanto sia decisivo mantenere vitale e credibile l’alleanza con Washington, quanto pesi la propria inconsistenza militare e quanto sia sempre più determinante il cercare di parlare con una voce univoca.
Sarkozy ha fatto miracoli nel presentare un’Europa molto più coesa di quanto essa non sia e ha ottenuto il massimo che poteva dati gli strumenti a sua disposizione.
Ma quel massimo è ancora largamente al di sotto del minimo necessario e quegli strumenti sono sempre più inadeguati, perché si possa parlare di un ‘successo europeo’.
Oggi la Georgia potrà anche apparire lontana e, magari, cinicamente sacrificabile alla continuità nei rifornimenti di gas e petrolio russi.
Ma che faremmo se una crisi analoga dovesse ripetersi in Ucraina, o se le minoranze russe nei Paesi baltici dovessero pensare di poter chiedere la protezione di Mosca?
Copyright (c) Avvenire 13/8/2008