Prematuri: Per la medicina ora contano come gli adulti.
Un prematuro di 24 settimane ha le stesse possibilità di morire o rimanere disabile di quelle che ha un adulto colpito da un ictus, ma nessuno si azzarderebbe a negare le cure al secondo…
di Carlo Bellieni
Il Ministro Turco ha appena mandato una circolare ai vari presidi ospedalieri che raccomanda di attenersi alle conclusioni del Consiglio Superiore della Sanità per quanto riguarda la rianimazione dei prematuri. Ci congratuliamo col ministro e con tutti coloro che in questi anni hanno capito che le scelte etiche non si fanno a partire dai “massimi sistemi”, ma dalla realtà. Quanto c’è stato da combattere per far passare questo criterio nel discorso sui prematuri, contro pregiudizi, disinformazione, paure personali, criteri economicisti! Ma alla fine è prevalso il sano criterio della realtà: un bambino conta come un adulto. Un prematuro di 24 settimane ha le stesse possibilità di morire o rimanere disabile di quelle che ha un adulto colpito da un ictus, ma nessuno si azzarderebbe a negare le cure al secondo. “Cosa ha un bambino di meno di un adulto?” abbiamo chiesto, e siccome era impossibile trovare una risposta che avesse un senso per sostenere che un neonato si può lasciar morire e un adulto no, abbiamo vinto. Solo in nome della ragione.
E’ un metodo da seguire, cui ci sembra che la politica finalmente stia interessandosi, per prendere decisioni. Consiste nel non domandarsi più qual è il parere dei media che fanno tendenza… o quello del cantante, della star –ricordiamo le prime pagine di certi giornali durante la discussione sulla legge 40, piene dei sorrisi di “testimonial televisivi” in una campagna invece profonda e decisiva- . Non domandarsi neanche qual è il parere di una confusa maggioranza, dato che di certi temi scientifici e tecnici la maggioranza (che può essere orientata facilmente dai media e dai testimonial) sa ben poco.
Invece il metodo corretto sta nel partire da una semplice domanda: “fa bene o fa male alla persona?” prima ancora di approfondire le implicazioni morali. Già: perché così potremo capire che la droga, prima ancora di essere un fatto morale, è un rischio per la salute, dallo spinello al crack; e che prima di parlare di liberalizzarla bisogna attaccare l’immagine “positiva” che gli è stata appiccicata dalla moda. Capiremo che l’aborto è un dolore per la donna perché ogni donna sa –e la scienza con lei – che è la morte del figlio; e allora invece di discutere se sia un diritto, sarà bene capire come aiutare le mamme e le famiglie. Capiremo che l’eutanasia la chiede chi è solo, e che le politiche sociali non bastano se non sono accompagnate da una politica culturale verso la valorizzazione della terza età; così come capiremo che la fobia verso la disabilità che porta a preferire la morte alla malattia, nasce perché nessuno ha fatto capire che la malattia non è la fine della vita, che il mondo non è proprietà di chi è sano… e che in fondo volendo far sparire i disabili cerchiamo di celare al mondo le nostre nascoste disabilità.
Più si studia la letteratura scientifica, più si capisce che la scienza è amica di una visione etica della vita, e non certo nel senso necrologico in cui viene intesa oggi l’etica, della quale si parla quasi solo per decidere chi far vivere o far morire. Esistono infatti Paesi in cui si selezionano i figli in base al sesso; in cui lo Stato fa regali a chi si fa sterilizzare, o in cui si procura un medico per far morire… come se non fosse abbastanza facile –immensamente facile- eliminarsi da soli. Assistiamo alla creazione e distruzione di chimere semi-umane o a tentativi di clonazione, o a studi su embrioni che non hanno mai portato nessun aiuto alla scienza, ma hanno dirottato miliardi dalle cure su malattie “non di moda”: tubercolosi, malaria… La scienza non è amica di questa “etica”.
Il caso dei “grandi prematuri” è invece un modello di uso della ragione e di considerazione politica di questo; continui la politica in questo cammino moralmente e scientificamente virtuoso.
AVVENIRE 27 marzo 2008