L’ideologia anticlericale della Rosa nel Pugno

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Il concordato e il programma dell’Unione
«Un altro 11 febbraio è possibile», ha ripetuto Daniele Capezzone, segretario dei Radicali, riferendosi ad una iniziativa della Rosa nel Pugno volta a rimettere in discussione i patti concordatari tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica

«Un altro 11 febbraio è possibile», ha ripetuto Daniele Capezzone domenica scorsa dai microfoni di Radio radicale. Il segretario dei Radicali italiani si riferiva all’idea di accompagnare la presentazione del programma del centrosinistra, fissato per quella data, con un’iniziativa della Rosa nel pugno volta a rimettere in discussione i patti concordatari tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica. Come è noto l’11 febbraio del 1929 è il giorno in cui vennero stipulati i Patti Lateranensi, una data di cui la Rosa nel Pugno vorrebbe oggi rovesciare la valenza simbolica.
Proponendo al centrosinistra non un diktat, come i radicali e i socialisti tendono a sottolineare in ogni occasione, ma una proposta da inserire nell’agenda della riflessione della coalizione. L’atteggiamento della Rosa nel pugno, ha fatto scrivere ad Angelo Panebianco che l’anticlericalismo intransigente di Pannella e compagni, frutto di un eccesso di allarme per l’interventismo della gerarchia ecclesiastica, potrebbe avere come risultato l’antagonizzazione dei cattolici della coalizione e più in generale l’indebolimento dei fronti sui quali invece i radicali dovrebbero più insistere a sinistra: libertà, di mercato, garantismo, sostegno alle politiche occidentali.
Ma perché i radicali sembrano in questa fase insistere di più sui temi dei diritti civili e della laicità piuttosto che su quelli più propriamente politici e a sinistra dirimenti, come la politica estera, la riforma del mercato del lavoro, le liberalizzazioni?
Si è detto che la spiegazione potrebbe riposare sul fatto che sul piano ideologico l’anticlericalismo non crea problemi a sinistra, mentre altri temi come il liberismo e una netta posizione filoccidentale li creerebbero eccome. In realtà però nell’iniziativa radicale c’è una coerenza di fondo che non induce a pensare a un calcolo politico secondo cui a sinistra sarebbe più facile far avanzare certe idee “laiciste” piuttosto che altre più marcatamente liberali e occidentali. All’interno del mondo radicale infatti un serrato confronto sul tema del laicismo e dell’anticlericalismo si era già registrato all’ultimo congresso del partito. Quando alle obiezioni di Benedetto della Vedova sulla non necessità di un animus anticlericale nell’iniziativa politica radicale lo stesso Pannella aveva risposto che forse della Vedova non si sentiva più a casa sua, e che addirittura la sua casa poteva essere un’altra. All’indomani dell’elezione al soglio pontificio del Cardinal Ratzinger del resto, Marco Pannella, aveva dichiarato al Corriere della Sera che l’ispirazione di Ratzinger si era incontrata e integrata con quella di Giovanni Paolo II «nel difficile governo di stampo assoluto del potere magistrale chiesastico sui credenti, sugli ecclesiastici, sulla vita e il pensiero, loro e dei fedeli (ma anche degli infedeli)».
Esiste dunque un’ininterrotta linea di trasmissione tra la condotta politica dei radicali terzi rispetto ai due poli e i radicali che oggi hanno scelto il centrosinistra.
Una linea polemica coerente con la convinzione che le gerarchie ecclesiastiche eserciterebbero sullo Stato italiano delle pressioni ideologiche tali da indurre la politica a scelte omogenee con la scala di valori della Chiesa cattolica. Una linea coerente quella dei radicali ma che convince poco nella sostanza delle argomentazioni. Infatti, come si è già sostenuto dalle colonne di questo giornale, quale sarebbe il governo assoluto che la Chiesa o il Papa eserciterebbero su ecclesiastici, credenti o non credenti? E poi quale sarebbe l’impedimento che il Concordato implicherebbe sulla più ampia libertà di coscienza e di scelta? Su questi aspetti appare più convincente la riflessione dei riformatori liberali Marco Taradash: «Un conto infatti è reagire alle pressioni clericali, un altro è professarsi anticlericali come se la Chiesa disponesse di un potere talebano». «Il ruolo della Chiesa», continua Taradash, «è complesso e non può essere ridotto al clericalismo: la rivendicazione di un ruolo pubblico è una cosa ben diversa, soprattutto se fondata su un richiamo all’identità cristiana anziché cattolica».
Insomma, per Taradash, – un radicale storico che assieme a Benedetto Della Vedova non ha seguito Marco Pannella nella sua avventura con il centrosinsitra di Romano Prodi – «è esagerata l’attenzione sull’operato della Chiesa. Anche perché tale prevalenza finisce per marginalizzare altri elementi della politica radicale».Ma soprattutto rende poco convincente una filosofia politica che sembra più frutto dell’ideologia che di una lucida analisi della realtà.


di Riccardo Paradisi
L’Indipendente 26 gennaio 2006