Città del Vaticano (Agenzia Fides) – La legge anti-conversioni e l’azione della Chiesa in difesa delle libertà fondamentali dell’uomo; il decentramento e il federalismo come soluzioni alla guerra civile che da decenni si combatte nel paese: sono i temi principali toccati da Mons. Vianney Fernando, Arcivescovo di Kandy e Presidente della Conferenza Episcopale dello Sri Lanka, in un’intervista rilasciata all’Agenzia Fides. I Vescovi dell’isola del subcontinente indiano sono in questi giorni in Vaticano in occasione della visita ad limina apostolorum. Ecco il testo dell’intervista.
Perché lo Sri Lanka vuole approvare una legge che vieta le conversioni? Come si è giunti a tale determinazione?
Negli ultimi trent’anni c’è stata nel paese una proliferazione di sette fondamentaliste cristiane che hanno irritato la maggioranza della popolazione che è buddista. Queste sette portano avanti un proselitismo militante e non hanno sensibilità verso il fatto che si trovano in un contesto multireligioso, multiculturale, plurilinguistico. Talvolta sembra che, per ingrossare le loro fila, usino metodi che suscitano dubbi. Così si è sviluppata una crescente preoccupazione specialmente fra i monaci buddisti e, in opposizione al fondamentalismo cristiano, è cresciuto il fondamentalismo buddista. Oggi gruppi estremisti fra i buddisti accusano i cristiani in generale, tutti i cristiani, di fare proselitismo e di convertire persone con mezzi illeciti. I nove monaci buddisti, presenti in Parlamento dallo scorso anno, sono stati eletti proprio per sostenere una legislazione contro le conversioni non etiche.
A che punto è oggi il progetto di legge?
L’anno scorso il cosiddetto “Documento anti-conversioni” era stato proposto in Parlamento su iniziativa di un gruppo ristretto di parlamentari, suscitando la preoccupazione di tutti i leader cristiani. Grazie all’ausilio di eminenti avvocati siamo riusciti a portare il documento davanti alla Corte Suprema, denunciandone l’incostituzionalità. La Corte ha determinato che alcune clausole contravvengono alla Costituzione e sono contro le libertà fondamentali e i diritti umani. Se quelle clausole non fossero eliminate, servirebbe un maggioranza di due terzi in Parlamento e un referendum popolare per approvare il Documento, perché significherebbe modificare la Costituzione.
Oggi il Documento è divenuto una proposta del governo con il titolo “Proteggere la libertà religiosa nel paese”. Ma il testo è perfino peggiore del precedente ed è molto dannoso. Se il governo insiste, protesteremo vigorosamente: il Cristianesimo non contempla solo una dimensione verticale ma anche orizzontale, come ci insegna il comandamento “Ama il Signore con tutto il cuore e il prossimo tuo come te stesso”. Nostro dovere è obbedire a Dio e non all’uomo. Abbiamo deciso, con altri leader cristiani, di fare un comunicato in cui ribadiamo che anche noi siamo contrari alle conversioni non etiche. Condanniamo fortemente i mezzi fraudolenti o chi cerca di fare proselitismo con l’inganno o il denaro. Ma la conversione autentica riguarda il rapporto fra l’uomo e Dio. La Chiesa ha sempre difeso la suprema libertà di coscienza.
Che cosa propone la Chiesa cattolica?
Crediamo fortemente che questi problemi non si risolvano attraverso una legge che restringe le libertà ma con il dialogo e applicando le leggi esistenti. Abbiamo proposto di istituire un Consiglio interreligioso, nominato dal Parlamento, per esaminare la questione, proposta sostenuta anche dalla più importante Commissione Buddista dello Sri Lanka. Proviamo questa strada prima di approvare un legge come questa.
La questioni delle conversioni è la più delicata per la Chiesa oggi. Il nostro è un paese dove la regola è il pluralismo e non dobbiamo distruggere l’armonia. Durante le tre dominazioni coloniali (portoghese, olandese e britannica) i buddisti hanno sofferto molto e, dopo l’indipendenza, sono diventi molto sensibili verso questi problemi. Li comprendiamo e rispettiamo i loro sentimenti. Ma dobbiamo costruire ponti, attraverso il dialogo. E questa legge è un attentato all’armonia.
Il fatto è che, attraverso questa legge, il governo sta cercando di guadagnarsi i favori della maggioranza buddista. Non si sa la data in cui il documento verrà votato ma, sebbene la presidente abbia lasciato libertà di coscienza, il voto in Parlamento è palese, dunque è altamente probabile che venga approvato.
Un altro campo in cui la Chiesa è impegnata è la pacificazione del paese. Come procede il processo di pace?
Il cessate il fuoco, nella guerra civile che da vent’anni interessa l’esercito regolare contro i ribelli tamil, è stato firmato nel 2002, quando vinse le elezioni il Premier Ranil Wikremesinghe che immediatamente, come promesso, firmò un cessate il fuoco. Vicende politiche successive hanno portato al governo un’altra coalizione, guidata dalla presidente Kumaratunga, condizionata dai radicali marxisti contrari a una soluzione definitiva del conflitto e al decentramento dei poteri. Così, dopo sei sessioni di colloqui, i negoziati si sono fermati. La pace è stata subordinata a giochi e interessi politici. La Chiesa sostiene fortemente che i due partiti di maggioranza in Sri Lanka devono unirsi per risolvere questo problema, per il bene comune del paese. La strada è una: il dialogo e procedere verso un stato federale.
Intanto la guerra ha creato una cultura di violenza: tutti i soldati. che per anni hanno combattuto. conservano le armi, e questo incrementa la violenza, il crimine, mentre povertà e disoccupazione acuiscono il malcontento sociale. Il paese ha bisogno di costruire una cultura di pace, di comprensione e riconciliazione, a partire dai giovani, opera in cui sono impegnati volontari cattolici e di altre organizzazioni.
Può illustrarci brevemente la questione della minoranza tamil?
La nascita del Liberation Tigers of Tamil Eelam nei primi anni ’80 è stata una reazione alla politica del governo srilankese, che ha mancato di venire incontro alle legittime richieste e aspirazioni della minoranza tamil (13% della popolazione complessiva, mentre il 74% è di etnia singalese). I tentativi di affrontare la questione in modo pacifico sono falliti, anche per meri interessi politici. Così c’è stata crescente frustrazione ed esasperazione fra i giovani tamil. Non voglio così giustificare la violenza, che ha portato nel baratro il paese, ma bisogna ammettere che dev’essere individuata una risposta alle richieste dei tamil. Si deve lavorare alla costruzione della fiducia e della credibilità reciproca, altrimenti ai giovani non resta che prendere le armi, la via più facile. Dopo il cessate il fuoco abbiamo avuto tre anni di pace, con violenza solo sporadica. Ora la soluzione è il decentramento di poteri, in un sistema federale, adatto alla nostra società multietnica e multiculturale.
(PA) (Agenzia Fides 06/05/2005 Righe: 75 Parole: 782)