Da Arafat a Castro: i soliti idioti
“A Cuba non è esistito un solo caso di sparizione, tortura o esecuzione senza processo”: ha estremi di autentico humor nero il testo dell’appello per fermare una “nuova manovra contro Cuba” che 900 intellettuali hanno consegnato alla Commissione Diritti Umani dell’Onu…
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“A Cuba non è scomparso nessuno senza processo”,
caso di humour nero
Roma. “A Cuba non è esistito un solo caso di sparizione, tortura o esecuzione senza processo”: ha estremi di autentico humor nero il testo dell’appello per fermare una “nuova manovra contro Cuba” che 900 intellettuali hanno consegnato alla Commissione Diritti Umani dell’Onu, dove tra un mese, come ogni anno, si discuterà della situazione nell’isola di Fidel Castro. Una lista, per la verità, che in Italia è soprattutto musicale”, visto che con Luciana Castellina i nomi più noti sono quelli di Gianni Minà, Claudio Abbado e Red Ronnie. Mentre a livello mondiale, con alcuni Nobel che pro Castro firmano sempre, come Rigoberta Menchú, Adolfo Pérez Ezquivel e Nadine Gordimer, c’è anche José Saramago, evidentemente pentitosi delle critiche mosse a Fidel dopo le fucilazioni del 2003. Ma andiamo alle virtù del regime. E puntualizziamo che per quanto riguarda la tortura, in verità, qualche denuncia c’è stata. Ma gli oppositori ammettono comunque che Cuba non si tratta di pratica sistematica. Per quanto riguarda sparizioni o esecuzioni senza processo, invece, l’affermazione è senz’altro sottoscrivibile da chiunque. Nello stesso senso in cui è tranquillamente sottoscrivibile l’affermazione: “Hitler non ha mai buttato la bomba atomica su nessuno; Stalin non ha mai mandato nessuno nelle camere a gas; Gengis Khan non ha mai usato gas asfissianti; l’Inquisizione non ha mai fucilato nessun ebreo; i romani non hanno mai mandato nessun cristiano sulla sedia elettrica”. Esecuzioni senza processo? Nel 2001 fonti di Miami sostenevano che a quell’epoca il regime aveva fucilato in 42 anni almeno 44.700 persone e la scrittrice dissidente Zoe Valdés ha parlato nel 2004 di 15 mila fucilati, ma quelle magari sono calunnie dell’opposizione. Sono però fonti ufficiali ad ammettere 26 fucilati tra il gennaio 1962 e il marzo 1966, e a proposito della guerriglia anticastrista dell’Escambray il 26 luglio 1956 Fidel disse che erano stati uccisi “2.005 banditi”, portati a “3.591” da suo fratello Raúl il 22 luglio 1967. Per fare un raffronto: in Cile durante tutto il regime di Pinochet gli oppositori uccisi sono stati 2.215. Ma i 900 intellettuali hanno ragione: tutti quelli che a Cuba sono stati fucilati, lo sono stati con processo. Nella peggiore delle ipotesi, processi come quelli che si facevano sull’Escambray, di qualche minuto. Nella migliore, processi come quello di Arnaldo Ochoa e dei fratelli La Guardia. E’ vero anche che a Cuba non risultano oggi desaparecidos: i balseros morti nello Stretto della Florida, stimati da qualcuno fino a 30 mila, tecnicamente li ammazza il sole e il mare. La “sparizione” vera e propria è invece il tipico sistema di quei paesi dove la legge assicura libertà formali che vengono appunto aggirate dai governi, sequestrando e uccidendo la gente di nascosto. E perché mai Fidel dovrebbe far sparare di notte alla schiena a un oppositore e farne sparire il cadavere, quando ha già un codice penale che gli permette di spedirlo in galera per decenni? Lasciamo perdere qui le fonti del dissenso: è Amnesty International ad affermare che a Cuba c’erano almeno 600 prigionieri per motivi di opinione nel 1996 e almeno 300 oggi, mentre Reporters sans Frontières definisce Cuba “il principale carcere per giornalisti del mondo”, con 26 detenuti su un totale mondiale di 128. “Carcere”, evidentemente, non significa “cimitero”. Nel 2004 nessuno degli 11 giornalisti assassinati in America Latina è morto a Cuba. Basta a dire che Cuba è un paradiso della stampa perché “nessun giornalista vi è mai stato ucciso”? L’appello cita poi “gli indici di salute, educazione e cultura riconosciuti a livello internazionale”. Che sono poi indici analoghi a quelli di altri Paesi latino-americani come Cile, Costa Rica, Argentina o Uruguay, senza che lì nessun governo usi tali statistiche per giustificare la galera agli oppositori. Lo stesso appello dimentica però di citare altre statistiche che Cuba si rifiuta sistematicamente di rendere note, come quella sui detenuti. Fin quando il segreto non sarà tolto, dunque, possiamo considerarci perfettamente autorizzati a prendere per buone le stime dell’opposizione, secondo cui a Cuba ci sono 100 mila detenuti. E’ il rapporto tra popolazione carceraria e popolazione globale più alto del mondo: l’Italia ha 57.000 detenuti su una popolazione oltre 5 volte più numerosa. E dimostra che, al di là del dissenso aperto, ci sono nella società cubana problemi profondi. Evidentemente non espressi dagli indici ufficiali di salute, educazione e cultura.
Maurizio Stefanini – Il Foglio 17 Marzo 2005
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Da Arafat a Castro: i soliti idioti
Claudio Abbado, prestigioso direttore d’orchestra, ha sul serio la bacchetta magica: abracadabra, e oplà, direttamente dal cilindro del genio ecco a voi il compagno Fidel formato statista illuminato nonché galantuomo. Impossibile? Neppure il re dei maghi ci riuscirebbe? Possibilissimo: leggere per credere, e stupirsi. Il maestro (di musica) è tra i firmatari di una lettera-petizione inviata all’Onu. Scopo: evitare a Cuba una condanna da parte della Commissione per i diritti umani, che ha iniziato la sua assise annuale a Ginevra. Tra i sottoscrittori, oltre ad Abbado, la figlia del musicista, Alessandra, Luciana Castellina, Gianni Minà e molte altre personalità vere, tra cui quattro premi Nobel: l’argentino Adolfo Perez Esquivel, il portoghese Josè Saramago, la sudafricana Nadine Gordimer e la guatemalteca Rigoberta Menchu. Tutti, in sintesi, dicono una sola cosa: Cuba è un paradiso, «non esiste un singolo caso di scomparsa, tortura o esecuzione extragiudiziaria ». Gli unici barbari, qui, sono gli Stati Uniti d’America, e dunque le Nazioni Unite non devono permettere «che si legittimi l’aggressione anticubana dell’Amministrazione Bush». In calce alla lettera manca la firma di Fidel Castro: fate conto che ci sia. Lui è il dittatore, gli altri sono gli utili idioti: ragionano allo stesso modo, ed è difficile dire chi sia più dannoso. Un po’ come la storia dell’uovo e della gallina. Chi è nato prima? E quanto vale un dittatore senza la schiera di plauditores che i dittatori sempre si portano dietro? Una volta c’era Yasser Arafat, tipino da prendere con le molle. Che non la contasse giusta lo dicevano la sua storia personale, la pistola che mostrava in giro (persino all’Onu), le infinite ambiguità, le amicizie da brivido. Fin quando il criminale Yasser dettò legge, in Medio Oriente gli accordi si siglavano e puntualmente saltavano in aria assieme al kamikaze di turno. Ma Yasser, qui da noi, era considerato un sant’uomo. Arrivava e i nostri politici (molti di sinistra, alcuni anche di destra) facevano la fila per stringere quelle mani insanguinate. Per loro, il nemico era Sharon, quel pazzo di Sharon. Così, anche grazie a loro, Arafat restò Arafat e il Medio Oriente non trovò pace. Morto Yasser, le cose vanno decisamente meglio, Israele sta lentamente facendo dietrofront e Sharon non è più un pazzo. Come volevasi dimostrare, il pacifico Yasser alla pace non ci ha mai pensato. Ma nessuno, oggi, chiede il conto agli amici di Arafat, nessuno si interroga sui danni fatti dal tragico connubio Yasser-complici di Yasser. Azzardiamo un’ipotesi: se attorno all’uomo in kefiah ci fosse stato un po’ di vuoto occidentale (e italiano), l’uomo avrebbe avuto la kefiah e avrebbe rimesso almeno in parte la testa sul collo, e forse in Medio Oriente molte cose sarebbero cambiate in meglio, e in anticipo. Ma pare che in Italia questo sia un argomento tabù: Yasser era (e purtroppo resta) un lungimirante statista, come Fidel, grazie alla cui rivoluzione a Cuba, nonostante il blocco, «sono stati raggiunti indici di salute, istruzione e cultura internazionalmente riconosciuti ». Che volete farci: le bacchette magiche sono le bacchette magiche. All’Avana, ospedale pubblico, i pazienti devono portare da casa non solo le lenzuola ma anche i medicinali (sempre che riescano a rintracciarli da qualche parte). All’Avana, biblioteche pubbliche, non c’è un solo libro che sfugga alla censura di Fidel e un solo giornale che non sia quello fatto scrivere e stampare da Fidel. All’Avana, piazze pubbliche, non ci si può riunire e discutere, e chi sgarra rischia il carcere o la perdita del lavoro, l’emarginazione, continui interrogatori, controlli e maltrattamenti, che non sono torture vere e proprie ma un po’ si avvicinano. E il maestro (di musica) Abbado, che a Cuba trascorre un mese ogni anno e dal governo cubano ha ricevuto due prestigiosi premi, parla di alti indici di salute e cultura. Il maestro suona la musica di Fidel e stona pure, o forse pensa che una dittatura sia solo un’operetta. Chissà, può darsi pure che confonda le scuole con i centri di rieducazione. Se ci riuscite, non meravigliatevi troppo: i grandi artisti sono come i bambini, ingenui fino a diventare pericolosi. A proposito: tra i firmatari dell’appello, come detto, c’è anche il portoghese Josè Saramago, Premio Nobel dinanzi al quale noi comuni mortali non possiamo che inchinarci. Saramago, due anni fa, firmò un altro appello. In quel caso protestava contro le condanne che il compagno Fidel aveva inflitto a settantacinque oppositori e contro le condanne capitali comminate ai dirottatori di un traghetto. Al compagno Saramago, con tutta l’umiltà del caso, vorremmo ricordare che prima di firmare gli appelli bisognerebbe anche leggerli. In caso contrario, l’utile idiota rischia di fare la figura dell’idiota, e basta.
Mattias Mainiero – Libero 17 marzo 05