“I TERRORISTI CERCANO DI TOGLIERCI LA VITA, L’EUCARISTIA CE LA RIDONA”
Hanno ucciso padre Ragheed Ganni, sacerdote cattolico caldeo di 34 anni, assieme ai tre suddiaconi che erano con lui, Basman Yousef Daud, Wahid Hanna Isho, Gassan Isam Bidawed. Gli assalitori hanno allontanato la moglie di quest’ultimo e hanno abbattuto i quattro a sangue freddo. Poi hanno collocato attorno ai loro corpi delle auto cariche d’esplosivo perché nessuno osasse avvicinarsi. Solo a tarda sera la polizia di Mosul è riuscita a disinnescare gli ordigni e a raccogliere i corpi. Da diverso tempo nell’Iraq del dopo-Saddam, i cristiani sono fatti oggetto di vera e propria persecuzione, denunciata spesso anche dai vescovi caldei e ortodossi…
1) AsiaNews ricorda p. Ragheed
2) Dichiarazione del Patriarcato di Babilonia dei Caldei
Papa: Ragheed, “prezioso sacrificio”, perché l’Iraq assista all’alba della riconciliazione
Città del Vaticano – “Profondamente addolorato” per “l’insensata uccisione di p. Ragheed e dei suoi tre suddiaconi” avvenuta ieri a Mosul, il Papa esprime in un telegramma le sue “condoglianze più sentite” al vescovo, mons. Rahho e a tutti i familiari dei defunti. Nel messaggio, pubblicato oggi, Benedetto XVI “si unisce alla comunità cristiana di Mosul nell’affidare le loro anime all’infinita Misericordia di Dio Padre e nel ringraziamento per la loro altruistica testimonianza del Vangelo. Il Pontefice assicura poi le sue preghiere “perché il loro prezioso sacrificio ispirerà nei cuori e nelle menti di tutti gli uomini e le donne di buona volontà una rinnovata risolutezza a respingere le vie dell’odio e della violenza…per collaborare nell’accelerare l’alba di riconciliazione, giustizia e pace in Iraq”.
AsiaNews si unisce alle condoglianze espresse dal Papa e di seguito riporta un suo ricordo di p. Ragheed.
“Senza domenica, senza l’Eucaristia i cristiani in Iraq non possono vivere”: p. Ragheed raccontava così la speranza della sua comunità abituata ogni giorno a vedere in faccia la morte, quella stessa morte che ieri pomeriggio ha affrontato lui, di ritorno dalla messa. Dopo aver nutrito i suoi fedeli con il Corpo e il Sangue di Cristo, ha donato anche il proprio sangue, la sua vita per l’unità dell’Iraq e per il futuro della sua Chiesa. Con piena consapevolezza questo giovane sacerdote aveva scelto di rimanere a fianco dei suoi fedeli, nella sua parrocchia dedicata allo Spirito Santo, a Mosul, giudicata la città più pericolosa dell’Iraq, dopo Baghdad. Il motivo è semplice: senza di lui, senza il pastore, il gregge si sarebbe smarrito. Nella barbarie dei kamikaze e delle bombe almeno una cosa era certa e dava la forza di resistere: “Cristo – diceva Ragheed – con il suo amore senza fine sfida il male, ci tiene uniti, e attraverso l’Eucaristia ci ridona la vita che i terroristi ora cercano di toglierci”.
È morto ieri, massacrato da una violenza cieca. Ucciso di ritorno dalla chiesa, dove la gente, anche se sempre meno, sempre più disperata e impaurita, continuava però a venire come poteva: “I giovani – ci raccontava Ragheed alcuni giorni fa – organizzano la sorveglianza dopo i diversi attentati già subiti dalla parrocchia, i rapimenti e le minacce ininterrotte ai religiosi; i sacerdoti dicono messa tra le rovine causate dalle bombe; le mamme, preoccupate, vedono i figli sfidare i pericoli e andare al catechismo con entusiasmo; i vecchi vengono ad affidare a Dio le famiglie in fuga dal Paese, il Paese che loro invece non vogliono lasciare, saldamente radicati nelle case costruite con il sudore di anni. Impensabile abbandonarle”.Ragheed era come loro, come un padre forte che vuole proteggere i suoi figli: “Quello di non disperare è un nostro dovere: Dio ascolterà le nostre suppliche per la pace in Iraq”.
Nel 2003 dopo gli studi a Roma decide di tornare al suo Paese, “perché lì è il mio posto”. Torna anche per partecipare alla ricostruzione della sua patria, alla ricostruzione di una “società libera”. Parlava dell’Iraq pieno di speranze, con il suo sorriso accattivante: “È caduto Saddam, abbiamo eletto un governo, abbiamo votato una Costituzione!”. Organizzava corsi di teologia per i laici a Mosul; lavorava con i giovani; consolava le famiglie disagiate; in questo ultimo mese stava tentando di far operare a Roma un bambino con gravi problemi alla vista.
La sua è la testimonianza di una fede vissuta con entusiasmo. Obiettivo di ripetute minacce e attentati fin dal 2004, ha visto soffrire parenti e scomparire amici, eppure ha continuato fino all’ultimo a ricordare che anche quel dolore, quella carneficina, quell’anarchia della violenza, aveva un senso: andava offerta. Dopo un attacco alla sua parrocchia, la scorsa Domenica delle Palme, 1° aprile, diceva: “Ci siamo sentiti simili a Gesù quando entra a Gerusalemme, sapendo che la conseguenza del Suo amore per gli uomini sarà la Croce. Così noi mentre i proiettili trafiggevano i vetri della chiesa, abbiamo offerto la nostra sofferenza come segno d’amore a Gesù”. “Attendiamo ogni giorno l’attacco decisivo – raccontava poche settimane fa – ma non smetteremo di celebrare messa; lo faremo sotto terra, dove siamo più al sicuro. In questa decisione sono incoraggiato dalla forza dei miei parrocchiani. Si tratta di guerra, guerra vera, ma speriamo di portare questa Croce fino alla fine con l’aiuto della Grazia divina”. E tra le difficoltà quotidiane lui stesso si stupiva di riuscire così a comprendere in modo più profondo “il grande valore della domenica, giorno dell’incontro con Gesù Risorto, giorno dell’unità e dell’amore fra di noi, del sostegno e dell’aiuto”.
Poi le autobombe si sono moltiplicate; i rapimenti di sacerdoti a Baghdad e Mosul si sono fatti sempre più frequenti; i sunniti hanno iniziato a chiedere una tassa ai cristiani che vogliono rimanere nelle loro case, pena la loro confisca da parte dei miliziani. Continua a mancare elettricità, acqua, la comunicazione telefonica è difficile. Ragheed comincia ad essere stanco, il suo entusiasmo si indebolisce. Fino a che, nella sua ultima mail ad AsiaNews, il 28 maggio scorso, ammette: “Stiamo per crollare”. E racconta dell’ultima bomba caduta nella chiesa del Santo Spirito, proprio dopo le celebrazioni del giorno di Pentecoste, il 27 maggio; della “guerra” scoppiata una settimana prima, con 7 autobombe e 10 ordigni in poche ore, del coprifuoco che per tre giorni, “ci ha tenuti imprigionati nelle nostre case”, senza poter celebrare la festa dell’Ascensione (20 maggio).
Si chiedeva quale sentiero avesse imboccato il suo Paese: “In un Iraq settario e confessionale, che posto sarà assegnato ai cristiani? Non abbiamo sostegno, nessun gruppo che si batta per la nostra causa, siamo soli in questo disastro. L’Iraq è già diviso e non sarà mai più lo stesso. Qual è il futuro della nostra Chiesa? Oggi sembra molto vago da tracciare”.
E poi a confermare la forza della sua fede, provata ma salda, rassicura: “Posso sbagliarmi, ma una cosa, una sola cosa, ho la certezza che sia vera, sempre: che lo Spirito Santo continuerà ad illuminare alcune persone perché lavorino per il bene dell’umanità, in questo mondo così pieno di male”.
Caro Ragheed, con il cuore che grida di dolore, tu ci lasci questa tua speranza e certezza. Colpendo te hanno voluto annientare la speranza di tutti i cristiani in Iraq. Invece, con il tuo martirio, tu nutri e doni nuova vita alla tua comunità, alla Chiesa irachena e a quella universale. Grazie Ragheed. (MA)
AsiaNews 04/06/2007
Dichiarazione del Patriarcato di Babilonia dei Caldei sui martiri di Mossul
Con cuori pieni di amarezza il Patriarca di Babilonia dei Caldei, Sua Beatitudine Mar Emmanuel III Delly, e tutti i Vescovi caldei elevano una sdegnata protesta e denunciano il martirio di Padre Ragheed Aziz Ganni e di tre suddiaconi, Basman Yousef Daoud, Ghasan Bidawid e Wahid Hanna uccisi dopo avere terminato la Celebrazione Eucaristica nella chiesa caldea del Santo Spirito a Mossul, domenica 3 giugno 2007.
Si tratta di un crimine vergognoso che qualsiasi persona di coscienza rifiuta. Coloro che lo hanno commesso hanno compiuto un atto orribile contro Dio e contro l’Umanità, contro loro fratelli che erano cittadini fedeli e pacifici, oltre ad essere uomini di religione che sempre hanno offerto le loro preghiere e le loro suppliche a Dio Onnipotente perché portasse pace, sicurezza e stabilità a tutto l’Iraq.
Tutti i Vescovi caldei riuniti nel Sinodo Patriarcale chiedono per questi martiri il riposo eterno, e presentano le loro condoglianze ai familiari dei defunti, al Vescovo di Mossul, Sua Eccellenza Monsignor Faraj P. Rahho, ai fratelli delle vittime nel sacerdozio ed a tutti i fedeli caldei nel mondo.
I Vescovi chiedono a tutti l’unità e la solidarietà in questi momenti difficili, ed in questa triste occasione, ripetendo quanto già dichiarato in precedenza per quanto riguarda le persecuzioni degli iracheni cristiani, la loro emigrazione forzata ed il loro essere spinti a rinnegare la propria fede, chiedono ai responsabili iracheni ed alle organizzazioni internazionali di intervenire prendendo i provvedimenti necessari per mettere fine a questi atti criminali.
Il Patriarca di Babilonia dei Caldei
MAR EMMANUEL III DELLY
ed i Vescovi del Sinodo Patriarcale
Domenica 3 giugno 2007
L’Osservatore Romano – 4-5 Giugno 2007