Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male

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Commento al Messaggio di Giovanni Paolo II per la Giornata Mondiale della Pace 2005.

di Bernardo Cervellera

Fra la pericolosa minaccia della guerra preventiva e il rumore sterile del pacifismo il Papa sceglie di “costruire” la pace. E lo fa non con la violenza o con le manifestazioni, ma custodendo e coltivando “scelte e opere di bene”. Il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2005 ha un tema a dir poco disarmante: “Non lasciarti vincere dal male ma vinci con il bene il male”. Tratta dalla lettera ai Romani di san Paolo (Rom 12,21), la frase afferma che “la pace è…vinta quando il male è sconfitto con il bene”; “fuggire il male con orrore e attaccarsi al bene” è “l’unica scelta veramente costruttiva”.

Il male e la persona

Rivolgendosi “ai responsabili delle Nazioni e a tutti gli uomini e le donne di buona volontà” Giovanni Paolo II spinge tutti a una speranza costruttiva e cerca di convincerli che il male può essere davvero vinto con il bene. Nei confronti della pace il nostro mondo ha elaborato alcune immagini: vi è chi demonizza alcuni stati e situazioni come “l’asse del male” e altri che demonizzano l’unica superpotenza attualmente esistente, gli Stati Uniti, o la globalizzazione economica. Per entrambi gli schieramenti sopprimere l’altro è l’unica possibilità della pace. Vi sono poi sterminate masse di uomini e donne per i quali costruire la pace è solo un’impresa disperata perché il male, la politica internazionale, le ingiustizie, la violenza superano ogni capacità umana. A tutti loro il papa dice: “Il male non è una forza anonima che opera nel mondo in virtù di meccanismi deterministici e impersonali. Il male passa attraverso la libertà umana” (n. 2). E se nel mondo sono presenti ed agiscono “il mistero dell’iniquità”, “i dominatori di questo mondo di tenebra” e gli “spiriti del male”, non va dimenticato che “l’uomo redento” da Cristo ha in sé “sufficienti energie per contrastare il male e “cooperare attivamente al trionfo del bene” (n 11).

Molte volte si è detto che il terrorismo e l’inedia nascono dalla disperazione, da una situazione guardata come impossibile da cambiare. Nel suo Messaggio il Papa esclude anzitutto la violenza come mezzo di risoluzione dei conflitti: “la violenza – egli dice – è un male inaccettabile…La violenza distrugge ciò che sostiene di difendere: la dignità, la vita, la libertà degli esseri umani” (cfr. n. 4). Ma poi il pontefice afferma anche due cose importanti: che una situazione di male può essere cambiata perché il male è frutto di libertà umane che hanno scelto di fare il male; e che tale trasformazione è resa attuale trattando il nemico per quello che è, un uomo: “Se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete dagli da bere” (Rom 12,20).

Cittadinanza mondiale

Insieme alla scoperta della dimensione “personale, della responsabilità da parte del soggetto” nel compiere il male e il bene, il Messaggio afferma che occorre riscoprire “la grammatica della legge morale universale” (cfr. n 3 e segg.). Tale “grammatica” dice che vi sono principi comuni che uniscono tutti gli uomini, “pur nella diversità delle rispettive culture”. Il rapporto fra uomini e popoli, culture e stati non è determinato né dal relativismo etico e dalla falsa tolleranza illuministica, né dal provincialismo arroccato in una specificità razzista. L’Europa che si muove per i suoi interessi economici e mette da parte tutta la ricchezza della sua cultura cristiana e dei diritti umani è presa di mira allo stesso modo della Cina, che rivendicando una specificità “cinese” del suo sviluppo, nega al suo popolo sindacati liberi e democrazia. Stessa cosa si può dire del Myanmar, della Corea del Nord, di tanti stati africani e del Medio Oriente. “L’appartenenza alla famiglia umana – dice il Messaggio al n. 6 – conferisce ad ogni persona una specie di cittadinanza mondiale, rendendola titolare di diritti e di doveri, essendo gli uomini uniti da una comunanza di origine e di supremo destino”

Tale “comunanza di origine” e di “destino” rende comprensibile e necessario il lavoro per il “bene comune”, nella “ricerca costante del bene altrui come se fosse proprio” e in una “vera cooperazione internazionale a cui ogni nazione deve offrire il suo apporto”, sapendo che i beni della terra hanno una “destinazione universale” (n. 5).

Giovanni Paolo II richiama tutti alla solidarietà internazionale su alcune piste già sottolineate nella sua enciclica sociale Centesimus Annus:

1) condivisione dei “nuovi beni” che provengono dalla conoscenza scientifica e dal progresso tecnologico, abbattendo “barriere e monopoli che lasciano ai margini tanti popoli” (n. 7); far questi va ricordato senz’altro la lotta per la produzione di medicine a basso costo per la cura dell’Aids in Africa;

2) lavoro per gli “interessi comuni” della comunità internazionale: lotta alla povertà, ricerca della pace e della sicurezza, preoccupazione per i cambiamenti climatici, controllo della diffusione delle malattie, varando accordi giuridici fra i paesi ispirati ai “principi dell’equità e della solidarietà”;

3) affrontare la “sfida della povertà” e della miseria in cui sono immersi oltre un miliardo di persone, mediante la riduzione del debito estero, i finanziamenti e gli aiuti allo sviluppo, seguendo “criteri di buona amministrazione, sia da parte dei donatori che dei destinatari”. (n. 9).

La povertà dell’Africa

Nel Messaggio, un posto speciale è occupato dalla preoccupazione per il continente africano. Sebbene qua e là si richiami la situazione internazionale, il terrorismo, il dramma della Palestina, quello dell’Iraq, la preoccupazione del pontefice è “lo sviluppo del Continente africano” attraversato da conflitti armati, malattie, miseria, instabilità politica. Il Papa esorta l’Africa a non essere più “solo oggetto di assistenza, per divenire responsabile soggetto di condivisioni convinte e produttive!”. Nello stesso tempo chiede alla comunità internazionale e ai cristiani “un cammino radicalmente nuovo… nuove forme di solidarietà, a livello bilaterale e multilaterale”. Il bene dei popoli africani, afferma Giovanni Paolo II , è “una condizione indispensabile per il raggiungimento del bene comune universale”.

La dimensione trascendente e cristiana

Proprio questo appello per l’Africa mette in luce lo squilibrio presente nel mondo. In questi anni il continente africano è stato di fatto abbandonato dal capitalismo mondiale e lasciato ai margini della globalizzazione. I maggiori investimenti e preoccupazioni sono rivolti ai drammi del Medio oriente, al petrolio e alle fiorenti economie dell’estremo oriente. Ma tutto questo è frutto di una visione miope. È necessario, dice il papa, che il mondo si accorga dell’interdipendenza fra paesi ricchi e poveri: “lo sviluppo o diventa comune a tutte le parti de mondo o subisce un processo di retrocessione anche nelle zone segnate da un costante progresso” (n. 10). Per fare ciò occorre superare le visioni “riduttive della realtà umana che trasformano il bene comune in semplice benessere socio-economico, privo di ogni finalizzazione trascendente. Il bene comune, invece, riveste anche una dimensione trascendente, perché è Dio il fine ultimo delle sue creature” (n. 5).

La proposta di una dimensione spirituale ed etica all’economia va di pari passo con una testimonianza cristiana piena di certezza. Grazie alla fede nel Cristo morto e risorto, grazie al suo aiuto, i cristiani affermano con tenacia che “è possibile a tutti vincere il male con il bene. Fondandosi sulla certezza che il male non prevarrà, il cristiano coltiva un’indomita speranza” per “promuovere la giustizia e la pace” e “costruire un mondo migliore”, nonostante tutti i peccati personali e sociali. “L’amore – conclude il papa – è l’unica forza capace di condurre alla perfezione personale e sociale, l’unico dinamismo in grado di far avanzare la storia verso il bene e la pace” (n. 12).

Da AsiaNews, 16 Dicembre 2004

http://www.asianews.it/view.php?l=it&art=2128