Olanda, paese degli orrori: l’eutanasia diventa legale. Approvata un anno fa, la legge in vigore da ieri prevede l’aiuto attivo del medico per il decesso.
di VANNA VANNUCCINI Repubblica (2 aprile 2002)
BERLINO – Primo paese al mondo, in Olanda è entrata oggi in vigore una legge che legalizza, a certe condizioni, l’aiuto attivo a morire su richiesta. La legge sull’eutanasia, o più precisamente sul “controllo dell’interruzione della vita su richiesta”, era stata approvata dal parlamento olandese un anno fa con 46 voti contro 28. Il dibattito era stato acceso. E gli avversari della legge non avevano mancato di richiamare quel provvedimento nazista che nel ’39 legalizzò il programma di sterminio delle “esistenze inutili” deciso da Hitler. Con l’entrata in vigore della legge molti hanno di nuovo fatto sentire la loro voce. “Abbiamo perduto il senso di Dio, che è un Dio dei vivi. Abbiamo perduto la stima per la vita” è stato l’amaro commento del cardinale Adrianus Simonis, l’arcivescovo di Utrecht ha sottolineato che inutilmente la conferenza episcopale olandese ha fatto appello a governo e parlamento perché la legge fosse bloccata. “Occorre cambiare la mentalità degli uomini” ha detto l’arcivescovo, sottolineando che l’Olanda “è un paese dove l’individualismo è molto forte”. E ha chiesto a tutti una riflessione sul significato della sofferenza. “Diminuire la sofferenza è un obbligo – ha aggiunto – ma la vita e la morte appartengono al Signore, non all’uomo”.
La grande maggioranza dei suoi concittadini, però, non è dello stesso parere. Né sembra preoccupata di aver rotto un tabù mondiale in un campo così delicato. Un sondaggio condotto durante il dibattito parlamentare l’anno scorso dava l’85 per cento degli olandesi favorevole alla legalizzazione dell’eutanasia per quei casi di “insopportabile sofferenza fisica e di malattia incurabile” previsti dalla nuova legge; mentre un 57 per cento riteneva che anche coloro che sono colpiti da gravi sofferenze psichiche dovrebbero poter scegliere se mettere fine alla propria vita.
In realtà, dice il medico olandese Aart Gisolf, che si è occupato molto dell’eutanasia anche come scrittore, “la legge è un passo coraggioso per rendere trasparente una zona grigia”. Il tabù infatti era già rotto da molto tempo. E non solo in Olanda. In Svizzera l’aiuto – anzi, l’accompagnamento, come viene legalmente definito – al suicidio è da tempo non punibile. A condizione che non vi siano “motivi egoistici”. Ogni anno sulla base di questa legislazione scelgono la morte cento-duecento malati terminali.
In Australia, secondo il Medical Journal of Australia, il 30 per cento dei casi di morte giungono da una decisione del medico: generalmente è il medico che decide di cessare il trattamento che fino a quel momento ha tenuto in vita un paziente o di accelerarne la morte. In Olanda la percentuale delle morti decise dal medico è solo del 16 per cento. In Belgio del 18. I dati sono scarsi, ma negli Stati Uniti un sondaggio svolto su 2000 medici dal New England Journal of Medicine ha rivelato che l’11 per cento dei medici era pronto in casi gravissimi ad accelerare la morte di un paziente e il 7 per cento a provocarla. Le percentuali salivano al 36 e al 24 per cento nell’ipotesi di una base legale per l’agire dei medici. Nonostante gli scarsi dati, è lecito credere che il suicidio assistito si stia espandendo anche in altri Stati, pur in mancanza di una base giuridica.
“Gli olandesi – spiega il dottor Aart Gisolf – per via delle loro radici calviniste sentono molto forte il bisogno di portare alla luce quello che avviene in segreto. E’ un bisogno di franchezza che si è manifestato già con l’aborto, o il matrimonio tra omosessuali”. Tutti primati dei Paesi Bassi. “L’Olanda sperimenta l’aiuto attivo a morire già dal 95 e l’esperienza è stata positiva. La legge pone molte condizioni. Il medico di famiglia ha un ruolo centrale, e in Olanda i medici di famiglia sono altamente specializzati e godono di grande fiducia tra la gente. Sta al medico di famiglia, che conosce il suo paziente, giudicare se i dolori sono insopportabili e se non ci sono speranze di guarigione. Deve sentire il parere di un medico che fa parte di un collegio di medici specializzati e autorizzati. E ha l’obbligo di notificare ogni caso, la cui legittimità viene poi esaminata da una commissione”. Finora la notifica dei casi è avvenuta, si ritiene, al 50-60 per cento. Ma l’ancoraggio legislativo dovrebbe far salire queste percentuali.
Secondo le autorità sanitarie olandesi, nel 2000 sono stati 2.113 i casi di eutanasia ufficialmente notificati, di cui 1.893 relativi a malati terminali di cancro. Ma secondo la Società di volontariato per l’eutanasia, i dati reali sarebbero superiori.
Il cardinale Simonis, domandosi che cosa possa spingere una persona a chiedere la morte, ha detto che spesso non è solo la sofferenza ma anche il fatto che la persona “si sente un peso per chi gli sta vicino. E questa è la cosa più pericolosa”.