A BRACCETTO CON GLI EUROCRATI…
Romano Prodi, sé dicente primo della classe, ci manda a scuola dai cattivi maestri di Bruxelles. Per il neopremier dobbiamo allinearci all’Europa: ma a quella degli eurocrati, che programmano costose e inutili bassezze. Nessuno li ha eletti, chissà chi li dirige, governano con freddezza il futuro della nostra civiltà
Romano Prodi è davvero – come racconta con invidiabile sprezzo del ridicolo – il primo della classe: ma di una scuola di altri tempi, dove i primi della classe si chiamavano più propriamente secchioni e scambiavano per intelligenza la capacità di mandare a memoria qualunque fesseria insegnata dal maestro. Da lì dev’essere nato il detto “primi nella scuola, ultimi della vita”.
Quei primi della classe avevano un motto vagamente ispirato a Edmondo De Amicis che in Italia, diventato costume sociale, avrebbe più tardi fatto danni gravissimi: “Il maestro ha sempre ragione”. Di lì, infatti, si passò facilmente a “Il Duce ha sempre ragione”, che per molti non fu poi così difficile sostituire, cambiati i tempi e i vincitori, con “Il Partito (Comunista) ha sempre ragione”.
Caduto anche il Muro di Berlino, i comunisti non sono più quelli di una volta. Quando Giorgio Napolitano da Ventotene li richiama all’Europa laica di Altiero Spinelli (è stata la sua prima uscita pubblica), i compagnucci diventati ministri del governo Prodi capiscono a modo loro, dimenticano una maiuscola e propongono una legge per liberalizzare gli spinelli (Altiero non c’entra) e, già che ci siamo, anche l’eroina almeno nelle “stanze del buco”. Ma anche nelle più scalcinate bande del buco ci dev’essere comunque, per chi aspira a fare il primo della classe, qualcuno che ha sempre ragione. Ecco allora la nuova parola d’ordine di Prodi: “L’Europa ha sempre ragione”. Ma quale Europa?
Lobby, consorterie, cosche
Per Prodi l’Europa con cui bisogna sempre e comunque concordare è quella delle istituzioni di Bruxelles e di Strasburgo. Dove – lo sa bene chi ne ha fatto l’esperienza concreta – gli europarlamentari contano poco e i rappresentanti dei governi, cui nelle riunioni sono concessi quando va bene cinque minuti per esporre la posizione del loro paese su questioni magari gravissime, non contano quasi niente.
Tutto è già deciso in anticipo da funzionari di servizio pluridecennale, burocrati membri di lobby, di consorterie, di cosche che nessuno ha eletto ma che tutto controllano. “Stare con l’Europa” per Prodi significa semplicemente mostrarsi sempre e comunque proni e supini ai compagni di merende di Bruxelles, non fare quelle che per l’Unione erano le “brutte figure” del governo guidato da Silvio Berlusconi che ogni tanto trovava il coraggio di dire di no. Di questo Prodi è andato a chiedere scusa con il cappello in mano a Jacques Chirac, un personaggio che rappresenta ormai soltanto se stesso e che se si presentasse alle prossime presidenziali sarebbe votato, dicono i sondaggi, dall’uno per cento dei francesi.
L’equivoco di fondo sull’Europa rischia anche di non far comprendere la gravità dell’atteggiamento dei cattolici eletti nell’Unione come Paola Binetti e Luigi Bobba, in tesi difensori della vita, in pratica allineati e coperti con gli ordini della maggioranza che ha imposto di coprire in Parlamento la fuga in avanti del ministro Fabio Mussi, che aveva ritirato la firma dell’Italia dal documento etico europeo che vietava le ricerche sulle cellule embrionali, così aprendo la strada alla vittoria in Europa dei sostenitori degli esperimenti sugli embrioni, eticamente odiosi e secondo la maggioranza dei ricercatori anche scientificamente inutili. Prodi ha convinto i cattolici dell’Unione principalmente con l’argomento secondo cui l’Italia non parteciperà più a “minoranze di blocco” che paralizzino decisioni delle istituzioni europee. Tradotto dal linguaggio euroburocratico che Prodi ha imparato così bene a Bruxelles, questo significa che – come del resto affermava a chiare lettere quel programma elettorale dell’Unione che temiamo molti candidati dell’Unione (non si dice gli elettori) non abbiamo mai letto – oggi e in futuro l’Italia nelle varie sedi europee non disturberà il manovratore e non darà più fastidio alle maggioranze che di volta in volta si formeranno.
Ma proprio qui sta il problema. Come ha ricordato il teologo cattolico statunitense George Weigel – uno dei migliori amici personali sia di Giovanni Paolo II sia di Benedetto XVI –, le istituzioni europee su molti temi di rilevanza etica da una decina di anni prendono decisioni «semplicemente vergognose».
Il Consiglio d’Europa ha minacciato di tagliare i fondi ai paesi che prevedono limiti all’aborto. Il Parlamento Europeo ha votato una mozione contro il fondamentalismo che equipara le posizioni sulla famiglia e la vita della Chiesa cattolica a quelle dei talebani.
Diverse istituzioni europee chiedono l’istituzione di una giornata contro l’omofobia in cui si insegni a grandi e piccini che “gay è bello” (nell’Unione c’è chi ha già provveduto a presentare una proposta di legge perché l’Italia si adegui immediatamente).
Nel 2004 a Rocco Buttiglione, designato dall’Italia come commissario europeo, fu impedito di entrare nella Commissione sulla sola base delle sue opinioni in tema di omosessualità, e questo nonostante avesse ribadito a chiare lettere la propria intenzione di tenere ben distinte convinzioni personali e rispetto delle leggi in vigore. Dopo avere tollerato da Mosca intrusioni negli affari interni di tutti i paesi vicini, finalmente Bruxelles ha ora censurato il governo russo: ma solo perché aveva posto qualche limite a una marcia dell’orgoglio gay che omosessuali e lesbiche volevano celebrare a Mosca.
Quale Europa?
Le istituzioni europee sui temi etici ne fanno da anni di tutti i colori, e ne preparano di peggiori. E questo senza neanche aprire il capitolo della politica estera, a partire dalle condanne unilaterali contro Israele e dal rifiuto di tagliare fondi a organismi islamici “umanitari” che tutti sanno essere usati in Palestina e altrove per il terrorismo. Una Commissione europea ad hoc ha perfino suggerito ai Paesi membri di mettere fuorilegge le espressioni “terrorismo islamico” e “fondamentalismo islamico” perché sarebbero offensive per i musulmani, dimenticando la lezione di Antonio Gramsci secondo cui vietando i barometri purtroppo non si abolisce il cattivo tempo.
Diciamolo senza falsi pudori: l’Europa degli eurocrati non è l’Europa di Aristotele e di san Benedetto, di Mosè Maimonide e di Carlo Magno, ma neppure di Konrad Adenauer e di Alcide De Gasperi. Forse non è neppure quella laica, ma non certo sporcacciona e acriticamente islamofila, del vecchio amico di Napolitano, Altiero Spinelli (sempre, mi raccomando, con la S maiuscola).
L’Europa degli eurocrati protegge i diritti di tutte le minoranze ma se ne infischia dei diritti delle maggioranze, specie se queste sono fatte di cristiani. Anzi soffre – come ha scritto un grande giurista ebreo, Joseph Weiler – di “cristofobia”: ogni volta che sente parlare di cristianesimo reagisce come se avesse sentito una parolaccia. Forse è giunto il momento di rispondere a tono, e dire con franchezza che l’Europa degli eurocrati che usano il denaro dei contribuenti europei per finanziare le ricerche omicide sugli embrioni o la propaganda del matrimonio omosessuale non è il maestro che ha sempre ragione ma il cattivo maestro da denunciare (se esistessero ancora) agli ispettori scolastici o meglio da espellere, come si diceva un tempo, “da tutte le scuole del Regno”.
Stare sempre e comunque “con l’Europa”, con questa Europa degli eurocrati, significa in futuro – rovesciando un atteggiamento che deve essere motivo di vanto per il governo Berlusconi (altro che chiedere scusa a Chirac) – votare a scatola chiusa mozioni concepite nei laboratori che sono tutto meno che trasparenti dei lobbysti di Bruxelles in tema di bioetica, omosessuali, pacifismo, avversione patologica per gli Stati Uniti e Israele, forse anche droga e eutanasia. Su questi punti non c’è del resto tra i paesi fondatori dell’Unione Europea neppure quella concordia di cui fantastica Prodi. Se il fronte favorevole alla ricerca sugli embrioni era guidato dalla Francia, alla testa di quello contrario c’era la Germania. Il problema per i cattolici dell’Unione non è allora quali toni più o meno suadenti usa il “primo della classe” per convincerli a votare con la maggioranza e a obbedire al maestro di Bruxellles, che ha sempre ragione anche quando non ha neppure un nome e un volto. È mettere al centro delle loro riflessioni la questione delle istituzioni europee, e dire con chiarezza che quando queste propongono documenti – per dirla con Weigel – “eticamente vergognosi” non solo non vanno seguite, ma vanno osteggiate in ogni modo lecito. È il contrario del programma dell’Unione, quello dove c’è scritto che l’Europa, come un tempo il Duce, ha sempre ragione: ma è anche per questo che al programma dell’Unione in coscienza i cattolici non avrebbero potuto né dovuto aderire.
Certo, non possiamo neppure regalare la parola Europa agli eurocrati e agli gnomi di Bruxelles. C’è l’Europa degli europei dove, come dimostrano indagini sociologiche che le istituzioni europee talora finanziano – ma poi nascondono –, cresce il numero di coloro che credono in Dio e mettono le Chiese cristiane al primo posto fra le istituzioni di cui si fidano (le burocrazie europee sono all’ultimo), anche se poi frequentano le cerimonie religiose meno degli americani o degli abitanti dell’Africa e dell’Asia. Ma anche in Europa ci sono aree dove la pratica religiosa ha smesso di diminuire e anzi cresce, soprattutto tra i giovani. È l’Europa di Benedetto XVI, il Papa che – Vicario di Colui che si è presentato come il medico venuto per i malati, non per i sani – ha messo il continente malato, l’Europa, al centro del suo magistero. Ne ha denunciato la stanchezza, l’ignavia, la mancanza di volontà di reagire al male. Ma ne ha anche ricordato le tradizioni e le radici, forse così profonde che pochi ormai riescono a scorgerle, ma che basterebbe un soprassalto di coraggio a fare riemergere.
L’Europa degli europei può ancora farcela: non con, però, ma contro l’Europa degli eurocrati. Prendendo come guida, insieme a Benedetto XVI, Giovanni Paolo II che ha gridato in faccia al cattivo maestro europeo «Che cosa hai fatto delle tue radici?», e non chi pensa di essere il primo della classe perché continua a scrivere sulla lavagna nella notte – quando la scuola è chiusa, molti alunni sono scappati, e non si sa neppure se domani riaprirà – che a quel maestro un po’ cialtrone lui e i suoi amici continueranno comunque a dire sempre di sì.
di Massimo Introvigne
IL DOMENICALE N. 26 – DAL 1° AL 7 LUGLIO 2006