Schuman, segno indelebile delle radici cristiane d’Europa
Uno dei padri fondatori dell’Unione, Robert Schuman, potrebbe venir presto elevato all’onore degli altari. La sua causa di beatificazione compie un decisivo passo in avanti con la chiusura della fase diocesana
di Luigi Geninazzi
La notizia, probabil-mente, non troverà grande spazio in questa scialba campagna elettorale europea. Eppure ci riporta alle origini e al significato del progetto europeista molto più dei tanti spot pubblicitari dei candidati a Strasburgo. Uno dei padri fondatori dell’Unione, Robert Schuman, potrebbe venir presto elevato all’onore degli altari. La sua causa di beatificazione oggi compie un decisivo passo in avanti con la chiusura della fase istruttoria a livello diocesano.
Il nome di Robert Schuman (1886-1963), ministro, capo del governo francese e primo presidente del parlamento europeo, è legato indissolubilmente alla nascita della Comunità europea. Non a caso, quando si è trattato di fissare una data per celebrare la “Giornata dell’Europa”, la scelta è caduta sul 9 maggio, in ricordo della “Dichiarazione Schuman” con cui nel 1950 venne presentata la proposta di creare un’Europa comunitaria. Nell’intuizione di Schuman solo la comune gestione delle basi dello sviluppo economico avrebbe impedito una nuova guerra tra Francia e Germania, aprendo un’era di stabilità e di pace in tutto il continente.
Ebbene, per questo infaticabile pioniere dell’unità europea, il cattolicesimo non era soltanto una fede religiosa ma una dottrina sociale che animava l’impegno politico. Schuman (così come De Gasperi e Adenauer, gli altri due padri dell’Unione Europea) ci ha testimoniato che il cristianesimo non è riducibile alla dimensione del privato o ad un semplice retaggio del passato, ma è forza viva e attuale in grado di disegnare l’Europa del futuro.
Schuman, ovvero le radici cristiane dell’Europa.
Per tragica ironia della storia, oggi sono proprio i successori del grande statista francese a fare muro contro chi vorrebbe un richiamo all’eredità cristiana del nostro continente nella Costituzione europea. Ma chi pensava che la questione fosse ormai archiviata si sbagliava di grosso. In vista del vertice europeo di giugno sette Paesi dell’Unione hanno riaperto il dibattito chiedend o, con una lettera formale indirizzata alla presidenza di turno irlandese, che il preambolo del Trattato costituzionale europeo faccia “esplicito riferimento alla tradizione cristiana”. L’offensiva è partita dai nuovi Paesi membri della Ue, primo fra tutti la Polonia. All’iniziativa hanno aderito subito la Lituania, la Slovacchia, la Repubblica ceca e Malta. Della “vecchia” Europa solo due Paesi hanno dato il loro sostegno, l’Italia e il Portogallo. È indubbio che se non ci fosse stato l’allargamento ad Est nessuno a Bruxelles avrebbe osato riaprire una questione che Giscard d’Estaing e compagni avevano data per chiusa. È curioso notare che a richiedere con forza il riferimento alle radici cristiane siano leadership politiche dell’Europa dell’Est molto laiche, in qualche caso con un ingombrante passato comunista. Ma va riconosciuto che hanno saputo farsi interpreti delle loro nazioni, profondamente legate alla tradizione cristiana. In qualche modo hanno dato ascolto alle parole di Giovanni Paolo II che all’indomani dello storico allargamento della Ue, il 1° maggio, ricordava che “l’anima dell’Europa resta ancora unita grazie ai valori umani e cristiani che le sono comuni”. Se l’Unione Europea avrà presto un santo tra i suoi fondatori, sarà un segno indelebile delle sue incancellabili radici.
Avvenire 29 maggio 2004