Si diffondono in Italia i predicatori dell’odio

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I recenti fatti di Perugia sono l’ennesima occasione per richiamare l’attenzione sulla presenza sempre più diffusa nel nostro paese di raggruppamenti islamici radicali che al riparo delle moschee, delle scuole religiose e dei cosiddetti centri culturali, svolgono opera d’indottrinamento all’imperativo categorico del jihad contro gli occidentali…

1) Moschee, ecco la mappa dei predicatori dell’odio

2) “Con Prodi è cresciuta la minaccia per la sicurezza nazionale” Intervista ad Alfredo Mantovano


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Moschee, ecco la mappa dei predicatori dell’odio

Un dossier dell’Antiterrorismo analizza dove è più forte l’infiltrazione dei fondamentalisti: da Cremona a Varese, da Vicenza a Carpi, da Latina a Bari. La Lombardia resta il crocevia

Per ovvi motivi non entreremo nei dettagli delle dodici inchieste più delicate sui predicatori d’odio e sulle moschee monitorate in queste ore per proselitismo alla jihad. Ci limiteremo, sfogliando l’aggiornato dossier dell’Antiterrorismo, a dare un quadro d’insieme sui centri islamici e i luoghi di culto dove la religione talvolta è mera copertura, la preghiera una scusa per l’indottrinamento alla guerra santa. Partiamo da Perugia, dov’è finito dentro l’imam di Ponte Felcino, uno dei tanti religiosi che nei loro sermoni prendono ispirazione dai cattivi maestri pro Bin Laden come Abu Qatada, Omar Bakri e Abu Hamza al Masri.

Il capoluogo umbro dove all’università per stranieri studiava un certo Ali Agca è considerato la culla degli imam itineranti pakistani, ortodossi del Tablig Eddawan (presenti anche a Desio), otto dei quali sono stati espuslsi due anni fa. I centri di preghiera, ufficiali e no, sono difficili da censire. C’è tensione tra i frequentatori per la spinta integralista che ha costretto l’imam Abdel Qader a chiudere temporanemante la moschea e a respingere le minacce di colleghi fondamentalisti. Tra le moschee nel mirino c’è ancora Cremona dove l’ex imam Mourad Trabelsi è stato condannato a sette anni. Precedentemente in cella ci finì il predicatore itinerante Mohamed Rafik (reclutava kamikaze per l’Irak) mentre il terzo ex imam della filanda in via Massarotti, il marocchino Ahmed El Bouhali (già arrestato nel 1998) dopo il proscioglimento è morto combattendo in Afghanistan.

Milano crocevia radicale Milano e la Lombardia restano il crocevia delle inchieste più importanti. Sott’inchiesta, per le rivelazioni del pentito Riadh Jelassi, l’imam di viale Jenner, Abu Imad («ci faceva il lavaggio del cervello») parigrado del noto Abu Omar, imam di via Quaranta, che il pm Armando Spataro ha definito «capo terrorista». Un altro pentito, Thili Lazhar, ha spiegato come in viale Jenner venivano istruiti i futuri kamikaze. Il filo del terrore che si dipana attraverso molti frequentatori delle moschee milanesi porta agli attentatori dell’11 settembre, a quelli della stazione di Madrid (vedi Osman Rabei), ai mujaheddin legati ad Al Qaida (tra i tanti l’egiziano Abdelkaer Es Sayed, l’algerino Hafed Remadna, segretario dell’imam di viale Jenner). Occhi puntati su Segrate tra i frequentatori della moschea guidata da quell’Ali Abu Shawima che ha recentemente lamentato una cattiva stampa dopo l’esternazione sull’Italia «che sarà convertita all’Islam entro dieci anni», e a Gallarate dove la moschea è stata chiusa tempo fa e dove si scava tra i contatti dell’ex imam Mohammed El Mafoudi, noto per le sue prediche al vetriolo, arrestato per terrorismo nel 2003 e poi assolto. A Varese la rocambolesca assoluzione dell’ex imam Abdelmajid Zergout ha fatto esplodere polemiche per la sua possibile espulsione al pari del predecessore, Abou Ayoub; a Brescia la condanna di Kamel Hamroudi ha riacceso i fari su almeno quattro imam a lui collegati, mentre a Como si continua a lavorare sui seguaci di un altro imam espulso nel 2004, Ben Mohamed.

Chi ha lasciato dietro di sé emuli pericolosi sono l’ex imam torinese Ebid Abdel Aalil (arrestato per gli attentati a Luxor nel ’97) e il macellaio Bourika Bouchta, l’ex imam di Porta Palazzo che pubblicamente esaltava Osama, espulso a settembre 2005: l’Antiterrorismo spulcia tra i fedeli della moschea di via Cottolengo, famosa per le prediche anti-occidentali dell’imam Khohaila («gli infedeli vanno uccisi») in quelle di San Salvario rette da Mahmod Sinasi nonché tra i religiosi vicini al predicatore senza moschea, Abdoul Qadir Fall Mamour, noto come l’imam di Carmagnola, espulso a novembre 2003. Stesso discorso per Vercelli, con gli sviluppi delle indagini sulla moschea avviate nel giugno 2005. Poi si passa a Como, ancora regno dell’imam (espulso) Snoussi Hassine Ben Mohammed, e a Bergamo, nell’entourage religioso di via Cenisio del ricercato Abou Britel El Passim, il cui indirizzo spuntò negli archivi di Al Qaida a Kabul. Altro capitolo ritenuto «investigativamente interessante» è quello di Verona dove si studiano i sermoni dell’imam Wagdy Ghoneim, quello che lo scorso marzo avrebbe invitato i fedeli musulmani «a governare le donne come le pecore perché stupide quanto le bestie». In Veneto l’attenzione è sui luoghi di culto di Vicenza e tra Badia Polesine e Motta di Livenza (dove già sono emersi legami con gruppi terroristici di matrice salafita) e in quel di Bassano dove l’imam Ezzedin Fatnassi è stato perquisito dalla Digos. Sulla costruzione della nuova moschea guidata dall’imam Feres Jabareen a Colle Val d’Elsa, Siena (che condannò l’esecuzione di Saddam), l’Antiterrorismo da mesi segue l’attivismo di alcuni religiosi già collegati a Rachid Mamri, l’ex imam fiorentino di Sorgane, accusato di contiguità con terroristi marocchini, ritenuto il capo-reclutatore della cellula toscana, ma assolto a gennaio 2006.

Fanatici del Centro-Sud Scendeno per lo Stivale, altro sito «sensibile» è la moschea di Sassuolo di via Cavour che ad aprile ha ospitato i predicatori d’odio Sheik Rajab Zaki e Al Barr, e la moschea El Nur di Bologna vicina alle posizioni del leader Abu Qatada. Sott’inchiesta a Milano c’è finita anche la moschea di Carpi mentre a Reggio Emilia i controlli si sono intensificati dopo il corteo contro le «vignette di Satana» guidato dall’imam Mahamed Ahmad. Passando per Roma, dove si lavora sugli orfani dell’imam Hemman Abdelkrini espulso dopo le omelie pro Hamas, polizia e carabinieri puntano su sedici centri religiosi (tra questi Centocelle dell’imam Samir Khaldi, nel quale si recò Hamdi Adus Issac, ricercato per le bombe di Londra). Scendendo ancora si passa per Latina e per una decina di moschee campane, dove tengono banco i sostenitori dell’ex indagato Gasry Macine, già imam della moschea di Aversa, o a Napoli dove l’ex imam Macine Nacer Ahmed è finito in manette due settimane fa a Parigi. È fitto l’elenco è fitto di accertamenti in corso sui predicatori d’odio in Puglia (Bari e Taranto), Calabria, soprattutto in Sicilia con l’enclave di Mazara del Vallo dove il moderato imam, Sta Outi Toutaoni, deve guardarsi dalle nuove leve radicali che predicando la jihad e, diffondendo l’odio, raccolgono un inarrestabile consenso.

di Gian Marco Chiocci

Il Giornale n. 174 del 2007-07-25

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“Con Prodi è cresciuta la minaccia per la sicurezza nazionale”


Intervista ad Alfredo Mantovano

I recenti fatti di Perugia, dove le forze dell’ordine hanno proceduto all’arresto di sospetti terroristi islamici esperti anche nella realizzazione di sostanze esplosive artigianali, sono l’ennesima dimostrazione del radicamento nel nostro paese di raggruppamenti islamici radicali che al riparo delle moschee, delle scuole religiose e dei cosiddetti centri culturali, svolgono opera d’indottrinamento all’imperativo categorico del jihad contro gli occidentali e di addestramento all’arte del terrorismo, indirizzata finanche ai bambini. Anche gli inconsapevoli e i minimizzatori dovrebbero aver aperto ormai gli occhi e aver preso finalmente atto della realtà. Alfredo Mantovano, senatore di Alleanza Nazionale e membro del Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti italiani (Copaco), ci fornisce un punto di vista informato e attento sul terrorismo islamico in Italia e svela le mancanze del governo Prodi in materia di sicurezza nazionale.

Qual è la sua valutazione sull’arresto dell’Imam di Perugia e sulla scoperta di una cellula jihadista locale?

C’è la conferma di un quadro preoccupante che forse qualcuno scopre solo adesso ma che in realtà si è consolidato nel corso degli anni. E’ la conferma dell’esistenza di una rete terroristica che ha già svolto in diverse città italiane una funzione di reclutamento, indottrinamento e addestramento di soggetti che poi sono stati inviati a farsi esplodere o a compiere ugualmente azioni di tipo terroristico prima in Bosnia e poi in Afghanistan e in Iraq, e che continua a prosperare con la complicità o la copertura di alcune moschee e centri culturali islamici, con l’indifferenza di tanti sia nel mondo culturale che nel mondo politico. Nel mondo culturale, in particolare, sono più attenti a censurare i libri di Magdi Allam che non a contrastare queste forme di odio, violenza e terrorismo che crescono e prosperano in casa nostra.

Di oggi è la notizia che i pm della procura di Milano hanno espresso il loro parere negativo sulle “Black list” dell’Onu e dell’Ue che raccolgono i sospetti finanziatori del terrorismo internazionale, perché frutto “di decisioni adottate in base a sospetti e a conseguenti opzioni politiche” e pertanto non possono “costituire un elemento di prova penalmente rilevante” in sede di giudizio. E’ possibile intravedere anche in questa presa di posizione il tentativo di affermare contro il terrorismo la preminenza della via giudiziaria?

La procura di Milano in passato ha svolto le indagini più impegnative in materia di terrorismo. Nel caso delle “Black List” si è registrata una preoccupante disattenzione dovuta a un problema di adeguamento culturale da parte della magistratura giudicante e non di quella inquirente. Se, come si è detto oggi, il problema è la fonte politica di queste liste, la procura di Milano dovrebbe spiegare quale altra autorità se non quella che ha la responsabilità della sicurezza dei singoli stati può redigere queste liste. Poi è chiaro che la schedature nelle liste non è di per sé prova di attività terroristica, ma si tratta comunque di un dato rilevante perché determina un orientamento e rende più facile il compito dell’interprete e soprattutto del giudice. Ad ogni modo, non si può condividere che un fenomeno come il terrorismo venga affrontato solo per via giudiziaria. Determinante nel garantire la sicurezza nazionale è soprattutto la parte della prevenzione che compete al governo, alle forze di polizia e ai servizi di sicurezza.

Gli attacchi che i servizi di sicurezza oggi subiscono da più parti possono minare la loro efficacia operativa nella funzione di prevenzione e contrasto del terrorismo?

Certamente sì. Il risultato più eclatante è stato la perdita di credibilità rispetto ai servizi di sicurezza dei paesi alleati, dovuto soprattutto al fatto che le utenze di cellulari e i nomi di testimoni e degli agenti dei servizi stranieri sono stati scoperti in modo abbastanza incauto nel corso di alcune indagini. Tuttavia, quel che deve preoccupare maggiormente è il taglio del 50% dei fondi e delle risorse destinate ai servizi di sicurezza stabilito dall’ultima legge finanziaria. Il taglio ha messo davvero in ginocchio la nostra intelligence che così si è trovata costretta a licenziare – e lo sta facendo – e a non poter pagare le informazioni come faceva in passato.

E’ possibile fare un bilancio delle politiche del governo Prodi in materia di sicurezza e antiterrorismo?

Tutto quello che su questo fronte si può dire di un anno abbondante di governo Prodi – con riferimento sia alle questioni riguardanti i servizi di sicurezza sia ai tagli che anche le forze di polizia anche subito – è che, al di là delle intenzioni, questo esecutivo è oggettivamente complice del crescere del rischio criminalità in generale e del rischio terrorismo in particolare.

Quali politiche dovrebbero essere adottate nei confronti delle moschee?

La prima misura è di ordine culturale: bisogna togliersi dalla testa che le moschea per i musulmani siano l’equivalente della parrocchia per i cattolici. E’ qualcosa di più e di diverso. E’ un luogo di formazione e di aggregazione culturale e politica, quando va bene; spesso, però, è qualcosa di più, come dimostrano le indagini relative a Perugia e ancor prima Milano, Bologna, Napoli e così via.
La seconda misura riguarda più precisamente gli imam delle moschee. Se in una chiesa cattolica durante l’omelia un parroco incitasse all’odio e all’uccisione dei musulmani, tale parroco non durerebbe a lungo né in quella parrocchia né tanto meno nelle vesti di parroco. Questo è un esempio semplicemente teorico, ma nelle moschee accade realmente che gli imam incitino allo sterminio di cristiani ed ebrei. Allora, lo stesso metodo che useremmo nei confronti del parroco cattolico deve essere applicato verso gli imam musulmani radicali e verso chiunque altro nelle moschee e nei centri culturali islamici predichi la jihad e lo sterminio degli occidentali.

Come valuta le politiche del governo Prodi sull’immigrazione?

Il governo Prodi non sta attuando alcuna politica dell’immigrazione. Sta aprendo le porte a tutti in maniera incontrollata e senza regole. Non è un caso che la novità degli ultimi mesi siano gli sbarchi di clandestini in Sardegna provenienti dall’Algeria che in precedenza non c’erano mai stati. Dall’Algeria i clandestini non riescono più ad andare in Francia e in Spagna, dove le frontiere si sono irrigidite, e trovano il loro porto franco in Italia. A ciò si aggiunge anche l’abolizione del permesso di soggiorno per fini turistici, quindi è possibile entrare tranquillamente in Italia dichiarando con una sorta di autocertificazione che si desidera rimanere per soli tre mesi anche se poi in realtà la permanenza supera la scadenza dei 90 giorni.

Qual è l’atteggiamento del governo Prodi verso l’Islam radicale radicato sul nostro territorio?

Da parte del governo Prodi c’è una certa benevolenza verso l’Islam radicale e ciò a causa della sinistra estremista, quella che tiene letteralmente in vita l’esecutivo e vede nell’immigrazione extracomunitaria l’equivalente dei proletari di 150 anni fa. Oggi i proletari non esistono più nelle fabbriche e li vogliono sostituire con gli immigrati. Questo gli immigrati non lo sanno, ma la sinistra estremista li considera come tali. Hanno sbagliato a suo tempo e continuano a sbagliare anche adesso.

di Emiliano Stornelli

l’Occidentale 24 Luglio 2007