Se Rosy Bindi ruba il mestiere a Papa Ratzinger
Per difendere la sua legge sui Dico, la Bindi pretende anche di riscrivere la dottrina cristiana a suo uso e consumo…
di ANTONIO SOCCI
«C’era una volta Lutero, oggi c’è Rosy, luterina». La battuta che mi ha inviato un collega laico dopo aver letto l’intervista della Bindi al Corriere della sera di domenica – farà sorridere, ma non mi piace. Il ministro Bindi – che stimo mia amica da anni – merita rispetto. Esprime una posizione diffusa nell’establishment clericale e rappresenta un problema serio per la Chiesa. Vorrei dialogare seriamente con Rosy, chiedendole se questa posizione non rischia di scivolare davvero, involontariamente nel protestantesimo. Con effetti devastanti per la Chiesa. Prendiamo la sua intervista ad Aldo Cazzullo sul Corriere di domenica. Dove dice testualmente: «Certo che ho avuto paura di dannarmi l’anima. Ma sono convinta che i Dico non siano peccato, anzi, credo possano rappresentare semi di bene». Ora, la Bindi, da politico laico e ministro, può difendere i Dico con tutti gli argomenti giuridici e politici che vuole. Ma se, da cattolica, ribalta la dottrina della Chiesa (come fa in questo caso) addirittura definendo lei ciò che è peccato e ciò che non lo è, rischia di uscire dalla Chiesa stessa, facendosi una dottrina a proprio uso e consumo come Lutero con il suo “libero esame”. Nessun cattolico (neanche se parlamentare) può definire da sé cosa è peccato e cosa no. Sul problema delle unioni omosessuali infatti c’è il pronunciamento specifico dell’autorità che è vincolante per i cattolici (recita il Catechismo della Chiesa universale, n. 890: «Cristo ha dotato i pastori del carisma dell’infallibilità in materia di fede e di costumi»).
LE INDICAZIONI DELLA CHIESA
Ancora prima dei vescovi italiani, il 3 giugno 2003, la Congregazione per la dottrina della fede (diretta dal cardinale Ratzinger) ha pubblicato il documento “Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali”. E tale documento, che Giovanni Paolo II ha firmato, dà una direttiva vincolante: «Se tutti i fedeli sono tenuti ad opporsi al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, i politici cattolici lo sono in particolare, nella linea della responsabilità che è loro propria… Sono da tener presenti le seguenti indicazioni etiche. Nel caso in cui si proponga… all’Assemblea legislativa un progetto di legge favorevole al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, il parlamentare cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge. Concedere il suffragio del proprio voto ad un testo legislativo così nocivo per il bene comune della società è un atto gravemente immorale». Ora, la parlamentare cattolica Bindi non solo dà il suo voto ai Dico, ma è lei stessa la promotrice del progetto di legge che riconosce di fatto le unioni gay. Il ministro sostiene che non sono “matrimoni”, ma i vescovi e il Papa (come la maggior parte degli italiani) li giudicano una parificazione oggettiva. Inoltre la Bindi non si limita a voler modificare così le leggi dello Stato, ma sembra addirittura voler modificare la dottrina cattolica, proclamando che i Dico «non sono un peccato», ma «semi di bene». Con ciò mi pare che si realizzi un ulteriore strappo, interno alla Chiesa. È un piccolo scisma dottrinale? Non so, ma si pone il problema se – con queste posizioni – è ancora possibile al ministro Bindi definirsi “parlamentare cattolica”. Infatti l’ex S. Uffizio nella “Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica” (approvata da Giovanni Paolo II il 21 novembre 2002) giudica incompatibile con l’appartenenza ad associazioni cattoliche un caso molto minore: «È avvenuto in recenti circostanze che anche all’interno di alcune associazioni o organizzazioni di ispirazione cattolica, siano emersi orientamenti a sostegno di forze e movimenti politici che su questioni etiche fondamentali hanno espresso posizioni contrarie all’insegnamento morale e sociale della Chiesa. Tali scelte e condivisioni, essendo in contraddizione con principi basilari della coscienza cristiana, non sono compatibili con l’appartenenza ad associazioni o organizzazioni che si definiscono cattoliche». Se la Santa Sede dichiara «incompatibile» con l’appartenenza cattolica l’appoggio a partiti che varano progetti contrari all’«insegnamento morale e sociale della Chiesa», come si devono considerare quei politici cattolici che addirittura promuovono tali progetti e che poi si avventurano perfino a voler modificare la dottrina della Chiesa? So bene che da anni, nel mondo cattolico, si usa evocare il Concilio per giustificare qualsiasi posizione. Ma il Concilio Vaticano II non può essere affatto citato a sostegno di posizioni come quelle del ministro Bindi dove la coscienza individuale pretende di dettare la norma. Perché il Concilio ha ribadito l’infallibilità del Magistero della Chiesa «nel definire la dottrina della fede e della morale» (Lumen Gentium 25 c) e perché aggiunge: «i cristiani nella formazione della loro coscienza devono considerare diligentemente la dottrina sacra e certa della Chiesa. Infatti per volontà di Cristo la Chiesa Cattolica è maestra di verità e sua missione è di annunziare e di insegnare, con competenza, la Verità che è Cristo, e nello stesso tempo di dichiarare e di confermare autorevolmente i principi dell’ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana» (Dignitatis humanae, n. 14 c).
IL CONCILIO FANTASMA
È vero però che accanto al Concilio vero ce n’è uno di fantasia al quale ama rifarsi un certo mondo cattolico. Da questo punto di vista temo che la posizione della Bindi sia solo la punta di un iceberg. C’è un establishment intellettuale – lo si è visto col recente appello per imbavagliare la Cei – che si è “costruito” un suo proprio Concilio immaginario e pretende addirittura di farne un super dogma. Il cardinale Carli scriveva lucidamente: «Al Concilio si è accompagnata l’attività del cosiddetto paraconcilio, cioè di quell’ambiente di persone e di idee che, dopo aver cercato di influire nel Concilio mentre esso si svolgeva, è rimasto in piedi anche a Concilio finito, ingrandendosi e direi quasi istituzionalizzandosi. Questo paraconcilio, con le sue vittorie e le sue sconfitte, con le sue soddisfazioni e le sue insoddisfazioni, con i suoi propositi ed i suoi spropositi, è quello che anima la crisi attuale e contrappone la sua opera alla serena fruttificazione delle idee seminate dal Concilio. Il paraconcilio, pretendendo di essere l’autentica vestale dello Spirito del Concilio, deve necessariamente abusare dei testi conciliari. Ma di quali mai santissime cose l’uomo non è capace di abusare?». Il grande padre De Lubac – che fu un protagonista del Concilio vero e proprio – si riferiva proprio a queste tendenze quando scriveva: «Il dramma del Vaticano II consiste nel fatto che invece di essere stato gestito dai santi – come fu il Tridentino – è stato monopolizzato dagli intellettuali. Soprattutto è stato monopolizzato da certi teologi, il cui teologare partiva dal preconcetto di aggiornare la fede alle esigenze del mondo, e di emanciparla da una presupposta condizione di inferiorità rispetto alla civiltà moderna. Il luogo della teologia cessa di essere la comunità cristiana, cioè la Chiesa e diventa l’interpretazione dei singoli. In questo senso il dopo-Vaticano II ha rappresentato la vittoria del protestantesimo all’interno del cattolicesimo». È una tragedia apocalittica per la Chiesa.
Rosy Bindi che in fondo è una brava cattolica – dovrebbe meditarci.
La Chiesa si trova a una svolta storica: ha bisogno di salvarsi dalla protestantizzazione, che sarebbe la sua fine.
www.antoniosocci.it
LIBERO 13 marzo 2007