«Tutti i musulmani ci sono nemici. È una verità scomoda, ma la Fallaci l’ha colta». Libero ha dato il giusto rilievo alla comparsa del nuovo libro di Oriana Fallaci, “La forza della ragione”, non meno coraggioso del precedente, “La rabbia e l’orgoglio”.
Non a tutti potrà piacere il tono appassionato e talvolta anche enfatico della scrittrice fiorentina: ma le cose che dice, il campanello d’allarme suonato agli occidentali, l’accusa ai pacifisti, terzomondisti ed ecumenici, responsabili e complici dell’invasione islamica, sono a tal punto vere e fondate che la stampa di sinistra ha snobbato la comparsa dell’opera: per loro Oriana Fallaci non è più la coraggiosa giornalista progressista, ma un rudere anchilosato e irrecuperabile, una cassandra pessimista e reazionaria. Eppure, ciò che Oriana scrive con la doppia lama del cuore e della ragione trova conferma in quanto le scienze sociali più progredite oggi affermano. Esse hanno ormai smaltito l’ubriacatura cattocomunista con cui nacquero, si sono trovate figlie di due Chiese senza più fede: il comunismo è divenuto nichilismo puro e il cattolicesimo filantropia da Caritas. E stanno mettendo in soffitta i miti con cui nacquero. Che sono gli stessi che la Fallaci ha distrutto nei suoi libri. Anzitutto la distinzione di comodo tra islamici “buoni” e islamici “cattivi”. Non è così: non tutti gli islamici sono terroristi, ma tutti sono nell’intimo solidali nella distruzione della corrotta civiltà occidentale. I cattivi mettono le bombe, i buoni deplorano ma capiscono: in fondo la prima colpa è di chi crea le condizioni del terrorismo. Una piena analogia con i no-global: in massima parte evangelici, caritativi, solidaristi, ma tutti eurabici, uniti nell’antiamericanismo e nella distruzione dei suoi simboli (e tutti solidali nel dire che gli atti di violenza sono soltanto di “frange estremiste infiltrate”). Ecco perché il mito di Bush di importare la democrazia in Islam viene ogni giorno contraddetto con decine di morti. Gli americani in Iraq combatterebbero i terroristi “cattivi” per democratizzare gli islamici “buoni”. È una illusione: la democrazia, nei suoi principi (dignità della persona, eguaglianza, diritti naturali, libertà delle donne, separazione tra stato e chiesa) è del tutto incompatibile con la religione islamica. I milioni di immigrati sono e restano islamici, con il risentimento di chi ha bisogno di un pane e il disprezzo per le nazioni ricche dove lo trova. E sempre pronti a dare un aiuto ai “fratelli”. Un islamico per diventare democratico dovrebbe rinunciare alla sua religione. Non è democratico chiederglielo. Fra le dottrine dei geopolitici e l’appello della Fallaci v’è un’altra convergenza. Il cattocomunismo aveva creato un falso feticcio col concetto della cosiddetta “società multietnica”: una società in cui convivono “culture” diverse. Ora sappiamo che si tratta di un mito: ciò che caratterizza la società è proprio la sua cultura. Mescolare le culture è sempre difficile, e richiede comunque un minimo denominatore comune. Possiamo dare i diritti agli islamici, ma solo se riconoscono come doveri i valori fondamentali della nostra cultura. Cosa che non faranno mai. Come diceva il cardinal Biffi, «gli islamici sono decisi a rimanere diversi, in attesa di farci divenire tutti come loro; i cattolici inconsciamente preparano la propria estinzione». In ciò, fra il cardinale credente e la scrittrice atea c’è unanimità di sentire. Entrambi esprimono, religiosamente o eticamente, una scoperta della morfologia delle civiltà (Vico, Pareto, Spengler, Toynbee, Huntington): che le civiltà nascono sicure, decise e forti, muoiono deboli, filantropiche e tolleranti. E gli islamici, non appena avranno raggiunto un grado di tecnologia bellica avanzata, potrebbero vincere proprio in quanto non ancora indeboliti dalla “barbarie della civilizzazione” di cui parlava Vico: «Gli uomini prima sentono il necessario, dipoi badano all’utile, appresso avvertiscono il comodo, più innanzi si dilettano di piacere, quindi si dissolvono nel lusso». Non si tratta di profezie certe, ma di indicazioni assai probabili. Non si dovrebbe dimenticare perché cadde l’Impero Romano. Infine la Fallaci, da toscanaccia qual è, chiama le cose con i loro nomi. E smaschera così il “gioco del terrorismo” inventato dagli occidentali: non ci sarebbe nessuna guerra contro gli islamici, ma solo un pattugliamento contro il terrorismo. La stragrande maggioranza degli islamici, si dice, non vuole la guerra, purtroppo hanno fra di loro poche frange che fanno il terrorismo. È merito della Fallaci aver mostrato che le cose sono diverse: l’Islam ha dichiarato all’Occidente una guerra mondiale, che si serve del terrorismo come dell’arma privilegiata. E il terrorismo mondiale ha messo in ginocchio non solo l’America, ma tutto l’Occidente, dato che esso blocca quella libertà di produzione, vendita, viaggi, turismo, su cui si basa la sua ricchezza. Dovunque c’è guerra, oggi, c’è Islam: Afghanistan e Cecenia, Turkmenistan e Iraq, Tagikistan e Indonesia, Filippine e Kosovo, Kashmir e Sudan. E dentro gli stessi Stati islamici sulla via della modernizzazione, come Turchia, Marocco, Algeria, Egitto, dove il terrorismo serve a riportare al potere l’integralismo. Il pericolo incombe, ce lo ricorda il drammatico appello della Fallaci: «L’Europa diventa sempre più una provincia dell’Islam, una colonia dell’Islam. E l’Italia un avamposto di quella provincia, un caposaldo di quella colonia». Non chiamiamola più Europa, ma Eurabia.
di GIANFRANCO MORRA
Libero 7 aprile 2004