Gli eurocrati odiano i popoli e le nazioni
Bisogna essere davvero molto testardi e arroganti nei confronti del “popolo bue” per non accorgersi che forse c’è qualcosa che non va nel modo di concepire l’Europa da parte del personale politico europeo…
di Claudio Risé
Sorprendente, nella bocciatura irlandese dell’Europa, è stata la reazione dei politici e dirigenti europei. Si è andati dal «chi non è contento se ne vada» al «che vergogna sputare nel piatto in cui si mangia».
Il massimo di autocritica è venuto dai pochi che hanno pensato a un errore di comunicazione. Eppure più volte gli europei hanno bocciato le “carte” dei politici: l’Irlanda nel 2001 il Trattato di Nizza, nel 2005 Francia e Olanda la nuova costituzione, e adesso l’Irlanda quella di Lisbona, l’ultimo “trattato” costituzionale Ue.
Bisogna essere davvero molto testardi e arroganti nei confronti del “popolo bue” per non accorgersi che forse c’è qualcosa che non va nel modo di concepire l’Europa da parte del personale politico europeo. Hanno anche una strana idea di democrazia, questi politici e tecnocrati che quando il popolo dice loro che stanno sbagliando pensano che è il popolo ad essere scemo.
Infatti molti di loro si sono formati all’interno di partiti marxisti, che hanno appoggiato fino in fondo il lungo e sanguinoso totalitarismo sovietico, e molti altri vengono dalla burocrazia delle organizzazioni internazionali: i popoli non li conoscono, e non li interessano. Sono persone (li conosco bene perché anche la mia prima formazione si è svolta lì) cresciute nei circoli cosmopoliti delle burocrazie internazionali, nei quartieri e luoghi più asettici e distanti dalla cultura locale di città come Bruxelles, Ginevra, Strasburgo, New York, dove hanno perso in fretta ogni rapporto con le comunità e le famiglie d’origine. Nella loro vita s/radicata, lontana da ogni tradizione vivente, finiscono per odiarle tutte, le tradizioni: quelle famigliari, quelle del territorio, quelle alimentari, linguistiche, di costume, sessuali.
Le organizzazioni internazionali sono una cosa nuova che non ha ancora cent’anni, la prima fu la Società delle nazioni, nel 1919. Non hanno mai funzionato tanto bene, e i popoli non le hanno mai amate, proprio per questo essere “fuori” dalle tradizioni, che le porta però a essere fuori anche dalla realtà del vivente, e certamente da quella dei popoli fatti di carne e sangue, e non disegnati dagli stilisti che hanno ideato le divise dei “caschi blu” dell’Onu.
Finché la Ue continuerà a pensarsi come un’organizzazione sovranazionale avrà tutte le debolezze e le futilità dell’Onu, senza averne l’unico punto di forza: la tendenziale universalità.
L’Europa non può che essere una comunità di nazioni. Per diventarlo deve però riscoprire il senso e la funzione della Nazione, comunità molto più antica e forte, nella psiche collettiva, dello Stato moderno: il secondo legato alla conquista e gestione del potere, la prima legata all’identità e rappresentazione dei popoli.
Idee vecchie, conservatrici, un po’ fasciste? Ma no. Eurocrati e politici ex comunisti si leggano i libri del senatore democratico di New York, Patrick Moynihan (lo stesso citato da Obama nel suo inno al ritorno del padre). Insomma studino, invece di rifriggere la paccottiglia ideologica anni Settanta. Poi se ne riparla.
Tempi 27 giugno 2008